Tradizionalmente si parla dei
sette doni dello Spirito Santo: “la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la
fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio” (CCC n. 1831).
Il dono della pietà. Nel
linguaggio più vicino a quello originario del latino pietas, è la disposizione
dell’animo a sentire affetto e devozione verso i genitori, verso Dio, e a
operare di conseguenza. Modello supremo è la pietà filiale di Cristo, che si
esprime in un abbandono completo alla volontà del Padre, che ha come momento
sommo il sacrifico della croce: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”
(Lc 23,46).
Il dono del timore di Dio. Il
dono di pietà è congiunto strettamente a quello del timore di Dio e si
integrano a vicenda. Il timore di Dio è un sentimento di reverenza e amore
verso Dio. Non è un timore servile, ma un timore riverenziale che allontana dal
peccato che dispiacerebbe a Colui che si ama. Il Sal 27 inizia con queste
parole: “Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è
difesa della mia vita: di chi avrò paura?”.
Il dono di fortezza. L’amore
si manifesta nelle opere e, per queste, è necessaria la virtù della fortezza,
che porta a compimento ciò che l’intelletto conosce e la volontà desidera,
assapora e propone. Lo Spirito Santo è sorgente di forza, non quella fisica, ma
la forza secondo Dio: “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per
confondere i forti” (1Cor 1,27). Si tratta quindi di una fortezza che coabita
con la nostra fragilità.
Il dono del consiglio. Nell’intimità
con Dio e nell’ascolto della sua Parola, pian piano mettiamo da parte la nostra
logica personale, dettata il più delle volte dalle nostre chiusure, dai nostri
pregiudizi e dalle nostre ambizioni, e impariamo invece a chiedere al Signore:
qual è il tuo desiderio?, qual è la tua volontà?, che cosa piace a te? In
questo modo matura in noi una sintonia profonda, quasi connaturale nello
Spirito e si sperimenta quanto siano vere le parole di Gesù riportate nel
Vangelo di Matteo: “Non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi
sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare,
ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,19-20).
Il dono della scienza. Il
dono della scienza ci permette di conoscere le cose create nella loro relazione
con Dio. Secondo san Tommaso d’Aquino, “è il dono che ha per attività propria
comunicare il retto giudizio sulle creature. Chi non ha il retto giudizio sulle
creature, pensa che in esse ci sia la felicità perfetta, le scambia per il vero
fine, così pecca e perde il vero bene” (Somma teologica II-II, 48,3,1). E
san Bernardo, nel suo Itinerarium, considera la creazione come mezzo
attraverso cui l’anima compie il suo primo grado di passaggio verso il Signore.
Il dono dell’intelletto. Non
si tratta qui dell’intelligenza umana, della capacità intellettuale di cui
possiamo essere più o meno dotati. È invece una grazia che solo lo Spirito
Santo può infondere e che suscita in noi la capacità di andare al di là
dell’aspetto esterno della realtà e scrutare le profondità del pensiero di
Dio e del suo disegno di salvezza. San Paolo descrive bene gli effetti di
questo dono: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai
entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a
noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito” (1 Cor 2,9-10).
Il dono di sapienza. Questo
dono distoglie l’anima dalle cose terrene e passeggere, per una cognizione soprannaturale
dei beni eterni. Questo discernimento e giusto giudizio delle cose divine non è
frutto di ragionamento e di riflessione, ma deriva da una luce superiore, la
quale infonde una conoscenza sperimentale. Chi è il sapiente? Non è colui che
sa le cose di Dio, ma colui che vive le cose di Dio. Non è colui che parla di
Dio, ma è colui che contempla Dio. “Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre
della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più
profonda conoscenza di Lui” (Ef 1,17).