Secondo il grande studioso del Magnificat Alberto
Valentini, Lc 1,46-55 è una composizione poetica di ringraziamento prelucana, o
almeno non lucana, inserita dall'evangelista nel suo racconto. Considerando la
particolare struttura del testo, il linguaggio e i temi sviluppati, si pensa
che possa trattarsi di una composizione sorta in ambito liturgico, in una
comunità ebraico-palestinese delle origini[1].
Già nell'Antica Alleanza, la festa, il
ringraziamento e la gioia sono la risposta di tutto il popolo, o di alcuni dei
suoi membri, quando Dio interviene in suo aiuto. Tra i canti comunitari
ricordiamo quello di Mosè e dei figli d'Israele al passaggio del Mar Rosso (cfr
Es 15,1-18) e quello di Maria, sorella di Mosè, con tutte le donne che uscirono
dietro di lei con i tamburelli per ballare nella stessa occasione (cfr Es
15,21-22). Tra i singoli cantici, possiamo ricordare anzitutto il cantico di
Anna, madre di Samuele (cfr 1 Sam 2,1-10), di cui è evidente la somiglianza con
il Magnificat, o anche il cantico di Debora e Barak (Gdc 5,1-31). D'altra
parte, la preghiera dei Salmi, che serviva in gran parte al culto liturgico,
educava il popolo eletto e ciascuno dei suoi membri a magnificare e rendere
grazie a Dio per le meraviglie compiute in loro favore, a cominciare dalla
creazione stessa. Lo testimonia il gruppo dei salmi classificati come inni o
canti di ringraziamento, individuali (cfr Sal 4,18; 30,32; 34; 40,2-11; 66,92;
116; 118) o collettivi (cfr Sal 124; 129; 135; 136). Il Magnificat è un mosaico
di testi tratti dall'Antico Testamento. Nessun verso è originale, ma il
risultato lo è. Le pietre sono vecchie, ma la costruzione è nuova. Si tratta di
una vera e propria rilettura dell'Antico Testamento.
Nella struttura del testo, il cantico del
Magnificat è la risposta di Maria alla lode di Elisabetta: “Beata colei che
ha creduto, perché si adempirà ciò che il Signore ha detto” (v. 45). Maria
non nega la lode di Elisabetta, ma la mette nella giusta prospettiva: ciò che
sta accadendo è un puro dono della bontà di Dio. Il Magnificat non si rivolge
direttamente a Dio con il "tu", ma celebra in modo lirico l'irruzione
di Dio nella storia. È impressionante osservare che undici dei quindici verbi
che risuonano nel cantico hanno Dio come soggetto. Il cantico si apre con due
versetti (vv. 46b-47) in stretto parallelismo che costituiscono l'introduzione
all'intero testo. L'anima del Magnificat è la celebrazione della grazia divina,
che ha fatto irruzione nel cuore e nell'esistenza di Maria, rendendola la Madre
del Signore. Ma questa testimonianza personale non è solitaria. La Vergine
Madre è consapevole di avere una missione da svolgere a favore dell'umanità e
che la sua storia personale si inserisce nella storia della salvezza
dell'umanità. Così può dire: “La sua misericordia va incontro ai suoi fedeli
di generazione in generazione” (v. 50).[2]
Il Dio che si rivela nel Magnificat è il Dio
degli umili, dei poveri, degli affamati. Nell'esperienza dell'umiltà e
dell'esaltazione di Maria c'è la speranza di tutti gli oppressi: l'Onnipotente
esalta gli umili, riempie di beni gli affamati (cfr vv. 52 e 53). In queste e
in altre azioni divine citate nel Magnificat, è evidente lo "stile"
con cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: si schiera dalla
parte degli ultimi. Maria diventa non solo solidale con tutti loro, ma anche motivo
di speranza nella misura in cui l'immensa bontà di Dio si è già manifestata in
lei.
Al termine del Magnificat (vv. 54-55), la
Vergine, consapevole delle grandi opere che l'Onnipotente aveva compiuto in
lei, passa naturalmente da se stessa al suo popolo. Alla relazione tra Dio e il
servo segue quella tra Dio e Israele servo. In questo modo, il canto di Maria
coinvolge nell'esperienza salvifica tutta la discendenza di Abramo, sulla base
delle promesse fatte ai Padri. Il canto della Vergine Maria è una vera e
propria rilettura dei grandi interventi di Dio nella storia di Israele; è la
celebrazione stessa della salvezza definitiva operata da Cristo; è una profezia
radicale di un futuro in cui la vittoria di Dio trasformerà tutte le cose. Si
tratta di una negazione radicale della logica del potere che domina la cultura
e la società di tutti i tempi. Il Magnificat canta l'utopia del Regno che ha
fatto irruzione nella pienezza dei tempi, ma attende ancora al compimento
definitivo[3].
Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, "il Magnificat rappresenta
ad un tempo il cantico della Madre di Dio e quello della Chiesa, cantico della
Figlia di Sion e del nuovo Popolo di Dio, cantico di ringraziamento per la
pienezza di grazie elargite nell'Economia della salvezza, il cantico dei
'poveri' la cui speranza si realizza mediante il compimento delle promesse
fatte ai nostri padri, “ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre"
(CCC n. 2619).
Alla fine dei tempi sorgerà il grande giorno
della speranza, la Pasqua di Cristo e nostra, quella salvezza piena cantata
alla fine del libro per eccellenza della speranza, l'Apocalisse. E allora si
compirà ciò che san Paolo desidera per i cristiani di Roma: "Il Dio
della speranza vi riempia di gioia e di pace, vivendo la vostra fede, perché
possiate essere inondati di speranza per la forza dello Spirito Santo"
(Rm 15,13).[4]
[1]
Cfr. Alberto Valentini, Il Magnificat.
Genere letterario. Struttura. Esegesi, Dehoniane, Bologna 1987 (copia
anastatica 2016), p. 95.
[2] Cfr. Benedetto XVI, discorso all'udienza generale
del 15 febbraio 2006.
[3]
Cfr. Alberto Valentini, La
lode delle generazioni a Maria secondo il Magnificat, en AA. VV, “Tutti mi chiameranno Beata”. L’Onore
a Maria nel popolo di Dio (Biblioteca di Theotokos 22), pp. 26-27.
[4] Cfr. Gianfranco Ravasi, L’alfabeto di Dio,
San Paolo, Cinisello Balsamo 2023, p. 222.