Dt 4,1-2.6-8;
Sal 14; Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23
La
parola di Dio questa domenica ci invita al discernimento tra ciò che è
essenziale e ciò che è periferico, ciò che è prioritario e ciò che è secondario
nella nostra vita. Così, ad esempio, nella nostra relazione con Dio siamo
tentati talvolta di aggrapparci a facili sicurezze, a una religiosità fondata
su regole chiare e precise che dispensino da una più profonda responsabilità
personale. Alla tentazione del legalismo e del formalismo, le letture bibliche
odierne rispondono invitandoci ad un rapporto con Dio fondato su scelte
maturate consapevolmente nel profondo della nostra coscienza, del nostro cuore,
e attuate poi con piena responsabilità.
Nella
prima lettura vediamo che Mosè, alla fine del lungo pellegrinaggio attraverso
il deserto verso la terra promessa, invita il popolo d’Israele ad “ascoltare” e
a mettere “in pratica” le leggi e le norme che egli stesso ha trasmesso a nome
del Signore: “perché, dice, viviate ed entriate in possesso della terra che il
Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi”. La legge di Dio quindi va
anzitutto ascoltata, recepita, personalizzata affinché la sua osservanza sia
veramente sorgente di rinnovamento nella nostra vita. Il carattere immutabile
della legge, che Gesù è venuto non ad abolire, ma a portare a compimento, non
conduce al fondamentalismo, poiché si tratta di una legge viva, affidata ad un
popolo responsabile di questo dono. Essa instaura tra Dio e noi una relazione
di amicizia fiduciosa, la cui osservanza rende testimonianza “agli occhi dei
popoli”, come dice Mosè. In modo simile, san Giacomo nella seconda lettura, ci
insegna che si tratta di accogliere “con docilità” la parola di Dio, che è
stata piantata in noi. “Piantata” in noi, deve crescere e dare frutti concreti
di vita cristiana.
Il
brano evangelico aggiunge alcuni ulteriori elementi a questo insegnamento. che
hanno come valore centrale il richiamo all’essenziale, cioè alla dimensione del
cuore, sede delle decisioni umane. Gesù polemizza contro le tradizioni dei
farisei, che appesantiscono la legge, svuotandola del suo contenuto autentico
e, riprendendo parole del profeta Isaia, il Signore afferma: “Questo popolo mi
onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. Dio ci chiede il cuore!
Chi ha il cuore puro, cioè semplice, cerca sinceramente Dio, la sua volontà, il
suo amore, e cerca anche sinceramente il prossimo, perché creatura amata da
Dio. Chi invece ha il cuore impuro, cioè egoista, cerca se stesso al di sopra
di tutto, allora questo tale pur osservando esternamente le leggi è un ipocrita
perché dà a Dio non se stesso ma solo qualcosa di se, il suo cuore è lontano
dal Signore. Per Gesù l’essenziale nella vita etica non è l’osservanza della
norma in sé, ma il “cuore”, cioè la consapevolezza e l’amore con cui si osserva
la norma. Come dice il Catechismo della
Chiesa Cattolica, il cuore “è il luogo della decisione, che sta nel più
profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo della verità, là dove
scegliamo la vita o la morte. È il luogo dell’incontro, poiché, ad immagine di
Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell’Alleanza” (n. 2563).
Certamente,
Gesù non condanna l’esteriorità a favore unilateralmente di una astratta e vaga
interiorità del cuore. Siamo corpo e anima, esteriorità e interiorità, due
dimensioni del nostro essere non opposte, ma complementari. Possiamo applicare
questo insegnamento al nostro modo di partecipare alla santa Messa: ogni nostra
preghiera, ogni nostro gesto durante il rito della Messa ha senso in quanto
proviene dal cuore e informa la nostra esistenza. Non sia che il Signore possa
rimproverare anche noi con le parole del profeta: “Questo popolo mi onora con
le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”.