Translate

domenica 30 maggio 2021

LA SCOMPARSA DEI RITI?

 



 

Byung-Chul Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente (Saggi Figure), Nottetempo srl, Milano 2021. 138 pp. (€ 15,00).

 

Indice: Coazione a produrre – Coazione all’autenticità – Rituali di chiusura – Festa e religione – La vita in gioco – La fine della Storia – L’impero dei segni – Dal duello alla guerra coi droni – Dal mito al dataismo – Dalla seduzione al porno.

 

Alcune affermazioni dell’autore (pp. 34, 35, 88):

 

Oggi il mondo non è un teatro in cui s’interpretano ruoli e vengono scambiati gesti rituali, bensì un mercato sul quale ci si mette a nudo e ci si esibisce. La rappresentazione teatrale cede il passo all’esibizione pornografica del privato.

 

Oggi viviamo in una cultura degli impulsi bestiali: laddove vengono a mancare gesti rituali e le forme di cortesia, ecco che gli eccessi e le emozioni forti prendono il sopravvento.

 

Oggi viviamo i una cultura del significato che toglie ai significanti la forma considerandola qualcosa di puramente esteriore rispetto a essi, una cultura avversa al godimento e all’estetica.

 

E’ quindi pensabile una svolta rituale contrassegnata dalla preminenza delle forme. Essa ribalterebbe il rapporto tra Interno ed Esterno, tra spirito e corpo.

 

Un’opera originale, che vale la pena leggere.

 

venerdì 28 maggio 2021

SANTISSIMA TRINITA’ (B) – 30 Maggio 2021

 



 

 

Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

 

La celebrazione della solennità della Santissima Trinità alla fine dell’itinerario che abbiamo percorso da Natale al Calvario e dalla Tomba vuota all’effusione dello Spirito è un invito a contemplare le radici di tutto quanto abbiamo commemorato nel decorso dell’anno liturgico. Si tratta di una storia di salvezza il cui protagonista è Dio Uno e Trino. Alla luce del mistero trinitario tutto acquista il suo senso. Tutto discende dal Padre, per Gesù Cristo, suo Figlio fatto uomo, grazie all’azione dello Spirito Santo e alla sua presenza nei nostri cuori. Tutto risale al Padre per il suo Figlio, nello Spirito. E’ questo il doppio movimento, discendente e ascendente, del mistero della salvezza.

 

Noi sappiamo qualcosa di Dio perché egli si è manifestato nella storia come creatore e salvatore. Le letture bibliche di questa celebrazione ci invitano ad approfondire, in una prospettiva di fede, i modi in cui Dio si rivela e si fa presente nella storia della salvezza e nella nostra vita di ogni giorno. La prima lettura propone un brano del discorso tenuto da Mosè al popolo d’Israele uscito dall’Egitto e vicino ormai alle soglie della terra promessa. Mosè invita i suoi ascoltatori a prendere coscienza della benevola vicinanza che Dio ha mostrato con loro. Egli è il Santo al quale l’essere umano non può accostarsi. Eppure ha parlato ai figli di Israele ed essi hanno udito la sua voce e sono rimasti vivi. Poi Mosè trae la conseguenza di tutto ciò: la fedeltà a Dio unico Signore è la garanzia della libertà e della felicità. Questa pagina della Scrittura ricorda ciò che non bisogna mai dimenticare: Dio non si dimostra, si mostra. Nel Nuovo Testamento segno di questa presenza di Dio è Gesù, il quale ci rassicura nel brano evangelico d’oggi: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

 

Dio non è il gendarme della nostra vita, ma il Padre che attraverso il suo Spirito ci rende sempre più figli ed eredi sul modello di suo Figlio unigenito Gesù. Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ci esorta ad aprire il nostro cuore a questo Spirito. Trasformati dall’amore dello Spirito, i nostri rapporti devono essere filiali verso il Padre e fraterni verso il Cristo.

 

Nel brano evangelico, Gesù ci invita a passare dalla comunione interpersonale con Dio alla testimonianza di questa esperienza. Infatti, congedandosi degli apostoli, Gesù afferma solennemente: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che ci ho comandato”. 

 

Alla luce del mistero trinitario, Dio ci si manifesta come un Dio che esce da se stesso, ama il mondo e l’uomo; si comunica e dialoga con lui. Un Dio quindi vicino, che viene al nostro incontro per mezzo di suo Figlio. Un Dio che addirittura ci fa partecipi della sua vita. Un Dio di cui possiamo ben dire: “grande è il suo amore per noi” (antifona d’ingresso).

 

giovedì 27 maggio 2021

ALCUNE NUOVE CARICHE NELL’AMBITO DELLA LITURGIA

 


S.E.R. Mons. Arthur Roche, dal 2012 Segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, è stato nominato Prefetto della medesima Congregazione.



S.E.R. Mons. Vittorio Francesco Viola OFM, dal 2014 vescovo di Tortona, è il nuovo Segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.




Il Rev.do Mons. Aurelio García Macías, finora Capo Ufficio della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, è stato nominato Sotto Segretario della suddetta Congregazione, con carattere episcopale e assegnandogli la Sede titolare di Rotdon.


In queste nomine si può notare una certa continuità. Infatti Mons. Roche fu nominato Segretario della CCDDS da papa Benedetto XVI. C’è pero anche una chiara novità. Il nuovo Segretario è un liturgista, che si è formato nel Pontificio Istituto Liturgico di Sant’Anselmo di Roma, dove da qualche anno insegna. Pure il nuovo Sotto Segretario è un liturgista formato nel suddetto Istituto. Credo, poi, che sia la prima volta che il Sotto Segretario sia anche vescovo.

 

 

Auguro ai nuovi eletti un illuminato e fruttuoso servizio alla liturgia della Chiesa.

domenica 23 maggio 2021

UNA MISTAGOGIA PER I NOSTRI TEMPI

 


 

 

Elmar. Salmann, Metaphorein, Passaggi aperti tra vita e sacramento, a cura di Gianluca De Candia (Leitourgia, Lectiones Vagagginianae), Cittadella, Assisi - Pontificio Ateneo Sant’Amselmo, Roma 2021. 101 pp. (€ 9,00).

 

Le lezioni raccolte in questo volume rappresentano una sorta di “mistagogia” per il nostro tempo, in cui Salmann, con quello stile che in molti hanno imparato ad apprezzare, attinge alla letteratura, alla fenomenologia della vita, alla filosofia, alle risorse della teologia classica e più recente, per proporre una introduzione al significato dei sacramenti e alla loro rilevanza per l’esistenza. L’approccio proposto dall’autore, procede dal visibile per giungere all’invisibile, ed ha il suo modello di riferimento nel metodo della catechesi mistagogica.

 

(Dall’Introduzione, p. 9)

venerdì 21 maggio 2021

DOMENICA DI PENTECOSTE (B) – 23 Maggio 2021 Messa del giorno

 

 


 

At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-15

 

La prima lettura narra l’evento di cui facciamo oggi memoria: cinquanta giorni dopo pasqua, gli apostoli con Maria e gli altri discepoli di Gesù erano raccolti in preghiera nel cenacolo a Gerusalemme. All’improvviso apparve lo Spirito Santo in forma di lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di loro. In questo modo si adempiva la promessa che Gesù aveva fatto prima di salire in cielo, di cui parla anche il vangelo d’oggi.

 

Per gli Ebrei la festa della pentecoste era inizialmente una gioiosa festa contadina chiamata “festa della mietitura” o “dei primi frutti”. Lo scopo primitivo di questa festa era il ringraziamento a Dio per i frutti della terra. Però col passar delle generazioni, gli Ebrei diedero alla festa un significato nuovo. Nel giorno di pentecoste s’iniziò a commemorare il dono della Legge di Dio sul Sinai.

 

La Pentecoste cristiana ricorda un altro dono, non una legge scritta ma lo Spirito Santo, che è l’amore del Padre e del Figlio. Nel secondo discorso d’addio, riportato dal vangelo d’oggi, Gesù promette agli apostoli l’invio dello “Spirito della verità”, espressione ripetuta ben due volte. “Della verità”, cioè in stretto rapporto con la verità rivelata da Gesù Cristo. Lo Spirito è il dono di comprensione piena di tutta la verità rivelata da Gesù, interpretandola in riferimento agli eventi che man mano accadranno fino alla fine dei tempi.

 

Della vita nuova che scaturisce dal dono dello Spirito ci dà una descrizione essenziale san Paolo nella seconda lettura. Tutti noi che abbiamo ricevuto lo Spirito, dobbiamo camminare “secondo lo Spirito”. Lo Spirito è fonte e garanzia di libertà per quelli che si lasciano guidare dal suo impulso interiore. Siccome tutta la volontà di Dio è concentrata nel precetto dell’amore, per quelli che seguono l’impulso interiore dello Spirito non c’è bisogno del controllo esterno della legge, perché ne attuano spontaneamente tutte le esigenze. La pentecoste ebraica ricordava il dono della Legge sul Sinai. La pentecoste cristiana celebra il dono dello Spirito, che effonde nei nostri cuori l’amore di Dio, la nuova legge interiore che deve guidare la vita del cristiano. Nella pentecoste cristiana il cenacolo appare come il nuovo Sinai e il dono della Legge, che inaugurò a suo tempo il periodo dell’antica alleanza, è sostituito ora con il dono dello Spirito, che inaugura invece l’era della nuova alleanza.

 

Con l’effusione dello Spirito viene “portato a compimento il mistero pasquale” (prefazio). La pasqua non sarebbe completa senza il dono dello Spirito. Il disegno del Padre portato a termine dal Figlio incarnato nel mistero della sua morte e risurrezione trova compimento nel dono dello Spirito, dono di Cristo che proviene dal Padre, fonte ultima dalla quale anch’egli viene.

  

Dio vivifica e rinnova continuamente ogni cosa col soffio dello Spirito Santo. Soltanto la durezza del nostro cuore può rendere ciechi e oscurare questa presenza vivificante dello Spirito.

 

domenica 16 maggio 2021

I RITI TRISTI

 



 

Manuel Belli, L’epoca dei riti tristi (Nuovi saggi Queriniana 101), Brescia 2021. 233 pp. (€ 16,00).

 

Dopo il volume di Byung-Chul Han, La scomparsa dei riti, di cui ho postato una sintesi lo scorso 11 aprile, ecco un’altra opera che si  occupa della crisi della ritualità. Abbiamo constatato che l’assioma “spiegare di più per celebrare meglio” non funziona. Come anche fallimentari si sono dimostrati i tentativi che molti fanno di rendere i riti “stravaganti”: celebrare con paramenti settecenteschi in latino o con il naso da clown e sostituendo scenette alla predica non differiscono. Si tratta di fraintendimenti rituali opposti, ma con la stessa matrice: l’illusione sottesa è che il problema siano i riti proposti dal libro liturgico. Le soluzioni cambiano poi a seconda dei gusti personali: qualcuno preferisce “fughe retrò” e qualcuno “slanci cabarettistici”, ma sono solo due lati della stessa medaglia.

 

Occorre guardare oltre: il problema non è né spiegare la messa né renderla meno noiosa. L’attuale generazione non ha problemi solo con i riti religiosi: ad essere in crisi è la ritualità in genere. Infatti, la ritualità è la parte fondamentale della nostra umanità: noi esistiamo istituendo riti. E anche i riti più complessi (come quelli religiosi) scaturiscono dalla combinazione di azioni simbolico/rituali elementari: camminare, mangiare, toccare, leggere, cantare, illuminare, lavare, pregare.

 

Abbiamo problemi con i riti liturgici perché abbiamo problemi più ampi con i riti, e viceversa. Qualcuno ha definito il nostro tempo, l’epoca delle passioni tristi. Potrebbe essere che la tristezza che ammala la nostra epoca dipenda dai “riti tristi” che la costellano. Viviamo un’epoca di riti tristi caratterizzata da basse densità di significato. Nei riti che costellano la vita c’è un potenziale di tristezza che si riversa nei riti liturgici.

 

Se si perde il senso del far festa, vista soprattutto come semplice tempo libero, si perde anche il senso della domenica come “festa primordiale” dei cristiani. Se diventa una prassi frequente mangiare da soli in un fast food, si perde il senso conviviale del pasto e quindi si affievolisce il senso conviviale dell’eucaristia. La parola di Dio custodita in un libro e affidata alla lettura e alla predicazione sembra non collimare con le esigenze della ritualità comunicativa indotte dalla rivoluzione informatica. E ancora, visto che siamo sempre on line e sempre meno in presenza, a che scopo insistere sulla convocazione dell’assemblea? Sono solo alcuni esempi che ci invitano a riflettere. Il libro del Prof. Manuel Belli ci aiuta in questa riflessione.  

 

 

venerdì 14 maggio 2021

ASCENSIONE DEL SIGNORE (B) – 16 Maggio 2021

 


 

 

At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20

 

Il racconto dell’evento dell’ascensione del Signore è affidato alla prima lettura, costituita dai versetti iniziali degli Atti degli Apostoli. Tuttavia la preoccupazione maggiore dei brani della Scrittura che vengono proposti oggi alla nostra attenzione è di dare indicazioni sul senso del tempo che noi stiamo vivendo tra l’ascensione del Signore e il suo ritorno alla fine dei tempi. Collocando all’inizio degli Atti degli Apostoli, come alla fine del suo Vangelo, un riferimento all’ascensione del Signore, san Luca lascia immediatamente intendere che la missione della Chiesa continua quella di Gesù. Ecco quindi che il messaggio dell’ascensione può essere colto secondo due dimensioni complementari: da una parte l’ascensione è il punto di arrivo della vita di Gesù; dall’altra è il punto di partenza della vita della Chiesa. La festa dell’ascensione del Signore è la celebrazione della partenza-assenza di Cristo a beneficio della presenza-responsabilità della Chiesa. Nei brani della Scrittura che ascoltiamo oggi, predomina questa seconda prospettiva. Nella lettura evangelica, il fatto dell’ascensione appare come lo spartiacque tra Gesù e la Chiesa, ma nel tempo stesso come l’evento che fonda la continuità tra le rispettive missioni. La seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, dice la stessa cosa quando afferma che Cristo “asceso in alto […] ha distribuito doni agli uomini”, e cioè ha comunicato al mondo quella ricchezza di vita che ha conquistato per sé. Con la fine della sua presenza nel nostro mondo e la sua conseguente glorificazione presso il Padre, Cristo inizia una nuova presenza al mondo tramite la missione e la testimonianza affidate ai suoi discepoli.

 

Se il fatto della piena glorificazione di Cristo apre il nostro cuore alla speranza, la certezza della sua presenza ci dona il coraggio dell’impegno. Non basta stare a guardare verso il cielo, in attesa degli eventi; il comando del Signore ai discepoli è chiaro: “di me sarete testimoni […] fino ai confini della terra”. La speranza cristiana non legittima alcuna fuga dal mondo, dalla storia. Viceversa è connaturale alla nostra speranza offrire dal di dentro della città terrena una concreta testimonianza della città celeste. Per Cristo l’ascensione è un traguardo raggiunto, per noi ancora un cammino da fare. La vita del Signore è stata un’esistenza pienamente disponibile al servizio degli uomini. E’ percorrendo la stessa strada di Cristo che noi raggiungeremo lo stesso suo traguardo. E’ soltanto attraverso la testimonianza di un amore fattivo che possiamo raggiungere la giusta statura e la piena maturità così da essere degni di partecipare all’esaltazione di Cristo alla destra del Padre.

 

Nell’eucaristia, la Chiesa pellegrina sulla terra riaccende continuamente la speranza della patria eterna (cf. orazione dopo la comunione).

 

domenica 9 maggio 2021

LA LITURGIA DELLE ORE ADATTA AL PROPRIO CARISMA

 



 

La rivista Testimoni ha pubblicato, nel fascicolo dello scorso mese di aprile, una pagina sulle “Congregazioni americane e la liturgia delle Ore” firmata da Sr. Elsa Antoniazzi, membro della Redazione della rivista. L’autrice ci informa su una iniziativa sorta negli USA, dove “molte Congregazioni stanno cercando di redigere un testo per la liturgia delle Ore che sia proprio, così che i testi della Scrittura e le orazioni diano corpo a una preghiera che sia più consona ai diversi specifici carismi”.  Non conosco l’entità e le caratteristiche di questa iniziativa, ma la possiamo collocare nel contesto della giusta ricerca di una liturgia delle Ore in cui il “vissuto possa intrecciarsi con essa”. L’iniziativa va oltre quanto è regolato dall’Istruzione della Congregazione per il culto divino sui Calendari particolari (AAS 62, 1970, 651-663).

La rivista colloca questa pagina sotto il titolo “Monachesimo”. Credo però che la problematica non riguarda i grandi Ordini monastici, alcuni dei quali hanno una propria e collaudata tradizione in questo settore, ma piuttosto molte Congregazioni femminili e anche maschili che pregano regolarmente in comune parte della liturgia delle Ore, in particolare le Lodi mattutine ed i Vespri. Queste comunità desiderano giustamente esprimere attraverso la preghiera della Chiesa la propria sensibilità spirituale. Si tratta sempre della “preghiera della Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo” (Sacroanctum Concilium 83). Ma progettare “un testo della liturgia delle Ore che sia proprio” può favorire una preghiera autoreferenziale e affievolire quindi la sua dimensione ecclesiale.

Si deve applicare alla liturgia delle Ore l’affermazione del Vaticano II contenuta in SC 10, riguardante la liturgia come culmen et fons della vita della Chiesa. Possiamo affermare che la preghiera liturgica è culmine, norma, criterio, punto di riferimento, sorgente, sacramento di ogni preghiera cristiana, non in senso meramente giuridico – istituzionale ma oggettivo – contenutistico. Oggettivamente, dato il suo carattere normativo, il contenuto della preghiera liturgica si accorda perfettamente con l’ideale della preghiera cristiana. Quando la Chiesa afferma che una preghiera è liturgica, garantisce che quel testo particolare manifesta la sua fede e la sua coscienza di comunità orante. Naturalmente questo non esclude che altri testi, anche le preghiere spontanee di persone umili e senza particolare cultura teologica, siano preghiera veramente ecclesiale. L’atto giuridico di riconoscimento ufficiale compiuto dalla gerarchia della Chiesa è da considerarsi quindi conseguente alla realtà oggettiva preesistente di cui esso ne è la garanzia. Nella preghiera liturgica le diverse espressioni della preghiera cristiana trovano non solo il loro nutrimento naturale, ma anche la possibilità di riconoscersi come appartenenti a una “tradizione” e di confrontarsi con la norma oggettiva.

Nell’attuale ordinamento della liturgia delle Ore ci sono delle possibilità che possono soddisfare, almeno in parte, le giuste richieste delle consacrate e dei consacrati di esprimere il proprio carisma. Ne indico alcune. Gli inni e gli altri canti non biblici di solito caratterizzano l’aspetto particolare delle diverse Ore. Le Conferenze Episcopali hanno la facoltà di introdurre inni di nuova composizione purché si adattino al carattere dell’Ora, o del tempo o della celebrazione. In questo contesto, gli istituti di vita consacrata possono proporre inni adatti alla propria tradizione spirituale. Le letture brevi delle diverse Ore sono state scelte in modo di esprimere brevemente ma chiaramente una sentenza o una esortazione. Nulla vieta di aggiungere un breve commento adatto all’assemblea celebrante. Alle invocazioni e alle intercessioni delle Lodi e dei Vespri possono essere aggiunte alcune intenzioni particolari che, pur rispettandone la struttura, esprimano le esigenze del proprio carisma. Un altro elemento che si è introdotto nelle celebrazioni delle Ore è la cosiddetta colletta salmica, recitata dopo ogni salmo, che pur non essendo prevista nell’attuale ordinamento liturgico, è un’antica tradizione che non intacca la struttura della liturgia delle Ore. Come è noto, la Congregazione per il culto divino ha da tempo allo studio la pubblicazione di una serie di preghiere salmiche da adoperarsi nella liturgia delle Ore. I consacrati possono esprimere in queste preghiere il proprio modo di interpretare i salmi alla luce della loro specifica tradizione spirituale.  

Al di fuori di quanto detto, ogni iniziativa individuale o di gruppo che si allontana dalla liturgia proposta dalla Chiesa, rischia di essere un abuso. La liturgia delle Ore è codificata e disciplinata nei libri liturgici, sottratta alla moda mutabile. In ogni modo, essa non si esprime con un linguaggio asettico né anonimo. È come uno spartito musicale, preciso e perfetto in sé, però da “interpretare” ogni volta che è impiegato nella celebrazione. Papa Francesco ha detto: “La liturgia non è ‘il campo del fai-da-te’ ma l’epifania della comunione ecclesiale. Perciò, nelle preghiere e nei gesti risuona il ‘noi’ e non l’ ‘io’; la comunità reale, non il soggetto ideale” (Discorso alla Plenaria della CCDDS, 14.02.2019). La celebrazione liturgica ci sradica dal nostro individualismo e ci educa a stare insieme, a condividere, a pregare insieme. L’individualismo soffoca il senso della comunità.

La liturgia delle Ore ha una sua dimensione formativa che, come dice Elsa Antoniazzi, “forgia mente e cuore mentre è quotidianamente celebrata”. E, come afferma la Costituzione SC 84, quando è pregata “secondo le forme approvate, allora è veramente la voce della Sposa che parla allo Sposo, anzi è la preghiera che Cristo unito al suo corpo eleva al Padre”.

venerdì 7 maggio 2021

DOMENICA VI DI PASQUA (B) – 9 Maggio 2021

 

 


 

At 10,25-26.34-35.44-48; dal Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17

  

Amare ed essere amati è il desiderio più profondo, il bisogno più vitale della persona umana fin dalla più tenera infanzia e in tutte le età della vita. Ma che cos’è l’amore? A questa domanda sono state date molte risposte. Il tema centrale della parola di Dio proclamata in questa domenica è l’amore cristiano, che ha la sua sorgente in Dio. Domenica scorsa abbiamo ricordato le parole di Gesù: “chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto”. Oggi viene chiarito il senso di questo rimanere in Cristo, si tratta di rimanere nel suo amore. Nella seconda lettura, san Giovanni afferma che “Dio è amore”. Nell’amore sta racchiusa tutta l’essenza della vita divina che circola nella Trinità. In Dio l’amore non è solo un aspetto tra altri, ma coincide con il suo stesso essere: Dio è relazione, rapporto, comunicazione, insomma amore. Infatti san Giovanni afferma che l’amore di Dio si manifesta nel fatto che egli ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, “perché noi avessimo la vita per mezzo di lui”. L’ampiezza dell’amore di Dio si manifesta quindi nel mistero pasquale di morte e risurrezione. La pasqua di Gesù è il segno più evidente della serietà del suo amore, perché come ci ricorda egli stesso nel brano evangelico, “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. La discesa dello Spirito Santo sul pagano Cornelio ed i suoi familiari, di cui parla la prima lettura, fa capire a Pietro e alla prima comunità cristiana che l’amore salvifico di Dio non conosce barriere: Dio “accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. La morte di Cristo sulla croce è donata da Dio a tutti gli uomini, senza distinzione: “per noi uomini e per la nostra salvezza…”, recitiamo nel Credo.

 

Come si fa a rimanere nell’amore di Cristo? Lo spiega Egli stesso: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”. I comandamenti di Cristo si riassumono nel comandamento dell’amore: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri”. San Giovanni, che ci tramanda queste bellissime parole del Signore, ha scoperto il vero volto di Dio nell’impegno di Cristo per l’uomo. Arriveremo a capire chi sia Dio e ad entrare in comunione con lui non tanto attraverso sapienti discorsi su Dio, quanto piuttosto attraverso la nostra concreta testimonianza di amore e di dedizione agli altri (cf. orazione colletta). Amare è entrare nella vita dell’altro per camminare con lui e condividere qualcosa di nuovo e di grande.

 

L’eucaristia è mistero d’amore anzitutto nel suo essere sacramento della Pasqua del Signore: essa è la memoria efficace dell’atto d’amore compiuto dal Padre, che ha tanto amato gli uomini da consegnare il suo Figlio per la loro salvezza. Perciò la celebrazione eucaristica è il centro della vita cristiana, fonte di nutrimento, ritrovo tra fratelli, che amano lo stesso Padre, di cui siamo chiamati a comunicare l’incredibile e immenso amore.

 

domenica 2 maggio 2021

LITURGIA E SECOLARISMO

 



 

Joris Geldhof, Oltre il sacro e il profano. La liturgia nel tempo, Edizioni Qiqajon, Comunità fi Bose 2020. 176 pp. (€ 20,00).

 

Per molto tempo liturgisti e teologi hanno guardato al rapporto tra liturgia e secolarismo in modo troppo ristretto e schematico. Spesso si presume che nell’accogliere la cultura del ‘secolo’ si debba abbandonare la liturgia o, al contrario, che nello scegliere la liturgia si debba chiudere la porta alla cultura secolare. A partire dal solco tracciato dai documenti conciliari, l’autore respinge la presunta incolmabile frattura fra liturgia e cultura secolare, cercando di mostrare che, se si è sinceramente preoccupati del futuro della fede cristiana, tali modelli di pensiero debbono essere lasciati alle spalle e hanno bisogno di essere risignificati nel modo più profondo possibile. Le riflessioni di questo testo contribuiscono a una più profonda comprensione di come un rinnovato dialogo tra liturgia e cultura può diventare fertile per il futuro della fede cristiana.

 

(Quarta di copertina).

 

 Introduzione.


Parte prima - Situare la liturgia nel mondo: 1. Liturgia, modernità e secolarizzazione; 2. Liturgia, ideologia e politica; 3. La liturgia oltre il sacro e il profano.

Parte seconda - Situare il mondo nella liturgia: 4. Liturgia, desacralizzazione e santificazione; 5. Riscoprire il movimento liturgico; 6. Il potenziale critico della liturgia.


Osservazioni conclusive.

 “La liturgia cristiana non esiste per alimentare un senso del sacro ma per santificare il mondo e per adorare Dio” (p. 31).