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mercoledì 30 marzo 2016

IDENTIKIT DELLA VI ISTRUZIONE (/ 9): LA TRADUZIONE NON E' MAI SOLO UN ATTO DI AUTORITA'

di ANDREA GRILLO

Come abbiamo visto già in altri casi – all’interno di questa rubrica “Identikit della VI Istruzione” – La TRADUZIONE LITURGICA deve essere intesa come ATTO ECCLESIALE e come delicata operazione di INCULTURAZIONE. Nel suo... altro »

martedì 29 marzo 2016

LA SEQUENZA “VICTIMAE PASCHALI LAUDES”


I Messali del tardo Medioevo contengono nei paesi del settentrione europeo, per lo più per ogni giorno di festa, e persino per ogni formulario di Mesa che rechi l’Alleluia, una Sequenza. Altrove, e soprattutto a Roma, si era più restii al riguardo e, in perfetta aderenza alla loro origine, non le si usava nella Messa. Con la riforma del Messale sotto Pio V ne vennero conservate solo quattro. Anche nel Messale di Paolo VI ne abbiamo solo quattro: Victimae paschali laudes a Pasqua; Veni, Sancte Spiritus a Pentecoste; Lauda, Sion, Salvatorem nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo; Stabat Mater nella memoria della beata Vergine Addolorata, il 15 settembre. L’Ordinamento generale del Messale Romano afferma: “La Sequenza, che, tranne nei giorni di Pasqua e Pentecoste, è facoltativa, si canta prima dell’Alleluia” (n. 64).

La Sequenza Victimae paschali laudes, dalla forma elegante e piena di lirico entusiasmo, schiettamente austriaco, è attribuita a Vipo (+ ca. 1050), cappellano alla corte dell’imperatore Corrado II. Gli studiosi, notando che nella prima parte della Sequenza, a differenza della seconda, non si trovi la rima, ma solo l’assonanza, deducono la probabilità che la prima parte dell’inno possa essere esistita già anteriormente a Vipo.

La Sequenza, che viene cantata nel giorno di Pasqua e durante l’ottava, inizia con l’invito a lodare la Vittima pasquale; passa, poi, al dialogo, veramente originale, tra la comunità e la risposta della Maddalena, che ha incontrato il Signore risorto con evidente riferimento ai racconti evangelici di Mt 28,1-10 e Gv 20,1-2.11-18. Questa forma dialogica era tipica della poesia ecclesiastica orientale.

Il testo che abbiamo attualmente nel Lezionario della Messa, come già nel Missale Romanum del 1570, è mancante della quinta strofa: “Credendum est magis soli Mariae veraci, quam Iudeorum turbae fallaci” (= Si deve credere soprattutto a Maria [Maddalena] veritiera, piuttosto che alla turba mentitrice dei Giudei).

I capi dei sacerdoti con gli anziani, infatti, prezzolarono i soldati posti a guardia del sepolcro perché dicessero che, mentre dormivano, i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù (cf. Mt 28,11-15). La strofa mancante giustificava meglio l’atto di fede contenuto in quella seguente: “Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto”. Anche la frase praecedet suos della penultima strofa è stata cambiata in praecedet vos. Gli studiosi credono che questa mutazione sia probabilmente dovuta a una svista di trascrizione di qualche amanuense. L’Amen e l’Alleluia sono posteriori.

Alla Sequenza un tempo era aggiunto il seguente testo in prosa ritmica: “Fulgens preclara rutilat per orbem hodie dies, in qua Christi lucida narrantur ovantes praelia” (= Oggi in tutto il mondo brilla di luce ammirabile il giorno in cui si annuncia tra gli osanna la gloriosa vittoria di Cristo).

1. Victimæ paschali laudes immolent christiani.

2. Agnus redemit oves: Christus innocens Patri reconciliavit peccatores.

2a. Mors et Vita duello conflixere mirando: dux vitæ mortuus regnat vivus.

3. Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?

3a. Angelicos testes, sudarium et vestes.

4. Sepulcrum Christi viventis: et gloriam vidi resurgentis,

4a. Surrexit Christus spes mea, præcedet vos [suos] in Galileam.

5. [Credendum est magis soli Mariae veraci quam Iudaeorum turbae fallaci.]

5a. Scimus Christum surrexisse a mortuis vere, tu nobis, victor rex, miserere.

Amen. Alleluia.

 

Bibliografia minima: A. Bergamini, Le Sequenze nella liturgia della Parola, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, pp. 49-62 (l’autore studia anche i contenuti teologici); J.A. Jungmann, Missarum sollemnia, Àncora, Milano (in edizione anastatica) 2004, I, pp. 352-353; M. Righetti, Manuale di storia liturgica, II, Àncora, Milano (in edizione anastatica II) 2005, p. 284.  

lunedì 28 marzo 2016

L’UOVO DI PASQUA


 
L’uovo appare come uno dei simboli del rinnovamento periodico della natura: di qui la tradizione dell’uomo di Pasqua, delle uova colorate, in numerosi paesi. Esso illustra il mito della creazione periodica. Eliade si leva contro una interpretazione empirico-razionalista dell’uovo come germe: il simbolo che l’uovo incarna non si ricollega tanto alla nascita quanto alla rinascita, ripetuta secondo il modello cosmico. L’uovo conferma e promuove la risurrezione.

Ci sembra che le due interpretazioni non siano affatto incompatibili come sembra credere Mircea Eliade. È chiaro che l’uovo rappresenta la rinascita e la ripetizione, tuttavia secondo i testi più antichi l’uovo è alle origini un germe o una realtà primordiale. La sua funzione ciclica è consecutiva al suo ruolo iniziale. Una concezione ispirata a un modello cosmogonico che si ripete sarebbe una costruzione razionalistica. Ciò non toglie che l’uovo rappresenta anche un ciclo biologico.

Fonte: Jean Chevalier – Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli. Miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, BUR Rizzoli, 201512, p. 1083



 

domenica 27 marzo 2016

II DOMENICA DI PASQUA – CANTI DELLA MESSA


 
Antifona di introito: Come bambini

Ritornello del salmo responsoriale: Rendete grazie

Antifona di comunione: Accosta la tua mano


Troverete la musica nel blog del Maestro Aurelio Porfiri:

http://ilnaufrago.com/
 
 

sabato 26 marzo 2016

DOMENICA DI PASQUA: MESSA DEL GIORNO – 27 Aprile 2016



At 10,34a.37-43: Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la risurrezione dai morti

Sal 117 (118): Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo

Col 3,1-4 (oppure: 1Cor 5,6b-8): Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo (Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato)

Lc 24,1-12: Non è qui, è risorto!

Illustro brevemente il contenuto della seconda lettura (Col 3,1-4). Il mistero che celebriamo viene visto in stretto rapporto con la vita cristiana. Paolo nella Lettera ai Colossesi sviluppa il tema della centralità di Cristo nella vita del cristiano: la vita del cristiano è una vita in Cristo. In questo contesto acquista senso il breve brano odierno. Se il cristiano è risorto in Cristo, non può che condurre una vita da risorto, interessandosi cioè delle “cose di lassù” (v.2). Le “cose di lassù” è Cristo stesso “seduto alla destra di Dio” (v.1), cioè il Risorto costituito in potere rappresenta “le cose di lassù”: non un mondo evanescente, astratto, fantastico ma illusorio, un mondo quindi fuori della storia, ma una persona storica, la cui vicenda di morte e risurrezione diventa norma di comportamento, profezia, tipo di ogni vita impegnata per i valori del regno di Dio. L’Apostolo pone quindi alla base dell’etica cristiana non una filosofia, ma un concreto evento di salvezza con cui confrontarsi, anzi, una persona: la persona di Cristo. Cercare le “cose di lassù” significa spogliarsi dell’uomo vecchio con le sue azioni e rivestirsi dell’uomo nuovo. Sentimenti, ovvero “valori” pasquali che presiedono a questa novità di vita, sono: misericordia, bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza, perdono, soprattutto carità, pace e fedeltà alla Parola di Cristo (cf. Col 3,5-17). Ecco qui un programma di vita cristiana pasquale.

 

venerdì 25 marzo 2016

IL SALMO "MISERERE" E IL CULTO


Gianfranco Ravasi nel suo recente volumetto sul Miserere (Miserere. Il più celebre salmo penitenziale, EDB 2016) commenta i vv. 20-21 del Sal 50 (51) sotto il titolo “Appendice liturgica” (pp. 122-123). Ecco il testo:

Già Teodoreto di Cirro aveva riconosciuto il carattere secondario di quest’aggiunta che trasforma il canto di supplica individuale in  un carme nazionale. Dopo l’esilio visto come un lungo atto penitenziale che ha reso “contrito” il cuore peccatore di Israele, il popolo di Dio può ritornare a celebrare il culto a Sion nel tempio ricostruito, secondo lo spirito proposto dalla profezia (Ger 31,38; Is 16,1; 33,20; 62,6; Sal 102,14; 147,2). Il moderno commentatore ebreo dei salmi che si nasconde sotto lo pseudonimo di Emmanuel, nella linea della tradizione rabbinica (Ibn Ezra), scrive:

“I due ultimi versetti del Sal 51 furono aggiunti dopo l’esilio di Babilonia e così questo salmo, che esprime il dolore di ogni uomo in particolare, riceve bruscamente una nuova e meravigliosa interpretazione. Non è più solo il peccatore che si pente e sollecita il perdono, è il popolo intero che domanda a Dio di dimenticare le sue trasgressioni perché possa di nuovo essere degno di guidare tutti gli uomini verso la santità…” (Emmanuel, Commentaire juif des Psaumes, Paris 1963, 101-102).

Chi invece sostiene l’unità del salmo e lo colloca totalmente nell’ambito post-esilico pensa che i vv. 20-21 sono l’esempio vivo dell’attualizzazione della parola di Dio secondo nuovi contesti e nuovi interrogativi. Israele, dopo aver “scontato la sua iniquità ed aver ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati” (Is 40,2) attraverso l’esilio, ritorna a rialzare il tempio e la città santa. L’allusione alle mura fa pensare a Neemia (Ne 2,17-20). Se nell’esilio poteva solo offrire il sacrificio del suo pianto (Sal 137), ora può nel tempio ricostruito riprendere un culto più puro perché sgorgato da un cuore contrito e purificato attraverso le prove dell’esilio […]

mercoledì 23 marzo 2016

Fare Pasqua: RiconoscerSi Corpo di Cristo. Analogie tra il Triduo Pasquale e la Messa domenicale

di ANDREA GRILLO

Proviamo a mettere insieme le cose. Nel nostro avvicinarci alla Pasqua, permettiamo alla coscienza pasquale di gettare luce sulla eucaristia e, viceversa, alla celebrazione eucaristica di illuminare la Pasqua. 1. La mia “scoperta”... altro »

domenica 20 marzo 2016

LA LAVANDA DEI PIEDI


Era scontato che il rito della lavanda dei piedi del prossimo Giovedì Santo avrebbe attirato l’attenzione di molti dopo l’apertura del gesto rituale a tutti i membri del popolo di Dio, comprese naturalmente le donne (Decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti del 6 gennaio 2016). Un decreto chiaro e semplice che cambia una rubrica del Messale è stato sottomesso a interpretazioni di parte, ideologiche e a polemiche inutili. Vedi ad esempio:

http://it.aleteia.org/2016/03/16/card-sarah-i-sacerdoti-non-sono-tenuti-a-lavare-i-piedi-alle-donne-il-giovedi-santo/
 A me  è parso più utile segnalare il volumetto di François Nault (La Lavanda dei piedi. Un “sacramento” [Liturgia e vita], Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2012) sul significato “eversivo” della lavanda dei piedi. Il libro merita di essere letto con attenzione. Perché eversivo? E’ il gesto rituale che manifesta la subordinazione di ogni rito alla relazione etica. La lavanda dei piedi può allora essere a ragione definita un “sacramento”, poiché sovverte l’ordine sacramentale, del quale afferma al contempo la necessità e l’insufficienza. E’ “il rito della crisi del rito”.

Dopo che nel 1956 l’Ordo della Settimana Santa inserì “ad libitum” la lavanda dei piedi all’interno della messa del Giovedì santo, il rito nella prassi delle parrocchie non ebbe molta fortuna; era considerato da alcuni un gesto estraneo alla nostra civiltà e fu oggetto di modifiche bizzarre: viene citato, ad esempio, il caso di un prete tedesco che aveva deciso di lucidare le scarpe di dodici uomini della sua parrocchia durante la liturgia del Giovedì santo!

Se nell’ambito propriamente liturgico la lavanda non ebbe grande fortuna. Ci sono state iniziative che possiamo chiamare “paraliturgiche”, di grande spessore simbolico, come quella delle Comunità dell’Arca.

Le Comunità dell’Arca, fondate dal canadese Jean Vanier, sono costituite ognuna da una o più case dove sono accolti i disabili. Il fondatore (nel suo libro La lavanda dei piedi. Lo scandalo di amare fino alla fine, Bologna 1997) descrive la lavanda dei piedi così come viene praticata all’Arca e fa emergere il significato di questo gesto “paraliturgico”. La lavanda viene ripetuta in tutte le case dell’Arca, secondo un modo di procedere di cui Vanier illustra i momenti chiave: Dopo un canto, il responsabile legge il testo di Giovanni (13,1-15). Poi si mette in ginocchio, lava i piedi della persona alla sua destra e li asciuga con rispetto e tenerezza. Quando ha terminato, colui o colei  a cui sono stati lavati i piedi pone le sue mani sulla testa di chi li ha lavati e prega in silenzio per alcuni istanti; è un gesto che esprime la riconoscenza e il desiderio di vivere la comunione dei cuori. Il responsabile ritorna al suo posto. Tocca a chi ha ricevuto la lavanda mettersi in ginocchio e lavare i piedi del suo vicino di destra. Si continua in silenzio finché a tutti sono stati lavati i piedi e tutti hanno lavato i piedi del vicino. Alla fine di questa “paraliturgia” si prendono per mano e recitano insieme il padrenostro.

sabato 19 marzo 2016

DOMENICA DI PASQUA – CANTI DELLA MESSA DEL GIORNO


 
Antifona di introito: Sono risorto

Ritornello del salmo responsoriale: Questo è il giorno

Antifona di comunione: Cristo, nostra Pasqua

 
Troverete la musica nel blog del Maestro Aurelio Porfiri:

http://ilnaufrago.com/
 

DOMENICA DELLE PALME: PASSIONE DEL SIGNORE - 20 MARZO 2016


Is 50,4-7: Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato
Sal 21 (22): Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Fil 2,6-11: Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte
Lc 22,14-23,56: Passione del Signore Gesù Cristo secondo Luca
Il racconto della passione del Signore Gesù Cristo secondo Luca è pieno di tenerezza, impostato secondo un’ottica personale ed esortativa: spuntano nel succedersi degli eventi le continue reazioni tra il discepolo che assiste e il Cristo sofferente. Seguendo Gesù nella passione, il discepolo – ciascuno di noi – è invitato ad una adesione personale ed esistenziale. Come Simone di Cirene e le pie donne, che seguono Gesù anche in questi momenti decisivi e drammatici, pure noi siamo invitati a seguirlo e a portare la croce dietro a lui. Nel racconto del momento supremo della crocifissione e morte di Gesù, Luca ricorda tre espressioni del Salvatore che non trovano riscontro negli altri evangelisti. Anzitutto le parole di perdono per i crocifissori: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Il Salvatore con la sua preghiera di perdono per i suoi carnefici si fa norma ed esempio vivente di quanto aveva insegnato ai discepoli. Poi al buon ladrone Gesù morente rivolge queste parole: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. Anche queste sono parole di perdono e di bontà; parole, poi, che aprono il cuore di tutti noi alla speranza e invitano a guardare in avanti verso la luce della Pasqua di risurrezione. Finalmente nel racconto lucano, Gesù muore con la preghiera sulle labbra: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, parole prese dal Sal 31,6 che faceva parte della preghiera serale degli ebrei. Con queste parole Gesù morente non manifesta soltanto il suo abbandono fiducioso, ma anche la sua piena accettazione del piano di salvezza voluto dal Padre; in tal modo Gesù muore come il perfetto giusto che si rimette nelle mani del Padre.   
 

venerdì 18 marzo 2016

AVVISTATO PIEDE NUDO DI DONNA. ALLERTA PER IL GIOVEDI SANTO

di ANDREA GRILLO

Dopo la piccola riforma di una sola rubrica del messale romano, relativa al rito della lavanda dei piedi nella Missa in Coena Domini del giovedì santo, non hanno certo portato chiarezza le parole del Prefetto... altro »

mercoledì 16 marzo 2016

LA RIFORMA DELL’ANNO LITURGICO. FATTA MALE?


 
“L’anno liturgico sia riveduto in modo che, conservati o restaurati gli usi e gli ordinamenti tradizionali dei tempi sacri secondo le condizioni di oggi, venga mantenuto il loro carattere originale, per alimentare debitamente la pietà dei fedeli nella celebrazione dei misteri della redenzione cristiana, ma soprattutto nella celebrazione del mistero pasquale”. Così avevano deciso i padri conciliari nella Costituzione Sacrosanctum Concilium 107.

La riforma dell’anno liturgico fu affidata al Coetus del Consilium n. 1 (De Calendario) (1) che, oltre al cap. V della SC, si avvalse della “Memoria sulla riforma liturgica” preparata dalla Commissione istituita da Pio XII nel 1948, che aveva dedicato la parte più rilevante del suo lavoro al Calendario (2) e del Supplemento III alla stessa Memoria (3).

Il Coetus 1 lavorò in stretto collegamento con il Coetus 17 sui riti particolari, e dal gennaio 1965 al dicembre del 1967 elaborò ben 17 schemi.

Il 18 aprile del 1967 lo schema XIII fu presentato a papa Paolo VI il quale, fatte le sue osservazioni, volle che fosse sottoposto all’esame delle Congregazioni dei Riti e per la Dottrina della fede, che, particolarmente quest’ultima, lo esaminarono dettagliatamente. Le loro osservazioni furono esaminate e discusse in una commissione mista. Il Papa ne accettò le conclusioni e con il Motu proprio Mysterii Paschalis del 14 febbraio 1969, festa dei santi Cirillo e Metodio e XI centenario della morte di san Cirillo, promulgò le Norme Generali sull’anno liturgico e unitamente il Calendario Romano generale, che furono resi pubblici però il 9 maggio dello stesso anno, con un commento dello stesso Consilium, che non ha però carattere ufficiale (4).

Noto i diversi passaggi del lavoro (ben 17 schemi e più di tre anni di lavoro), la continuità con la riforma avviata da Pio XII, la supervisione delle Congregazioni Romane dei Riti e della Dottrina della fede, il personale coinvolgimento di Paolo VI.

 

(1) Esso era composto da A. Bugnini (Segretario del Consilium), A. Dirks (segretario), R. Van Doren, J. Wagner, A. G. Martimort, P. Jounel (nominato relatore nel 1967), A. Amore, H. Schmidt. Lo studio del Proprio del tempo fu affidato a P. Jounel e quello del Proprio dei santi ad Agostino Amore (cf. A. Bugnini, La Riforma liturgica (1948-1975), CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 1983, p. 302).

(2) Memoria sulla riforma liturgica, in C. Braga, La riforma liturgica di Pio XII. Documenti (BEL 128), CLV- Edizioni Liturgiche, Roma 2003, pp. 5-169.

(3) Supplemento III. Materiale storico, agiografico, liturgico per la riforma del Calendario (C. Braga, ibid., pp. 447-647).

(4) A. Bugnini, La Riforma liturgica, pp. 306-311.

lunedì 14 marzo 2016

UNA LETTERA DI 1600 ANNI FA


LA DECRETALE DI PAPA INNOCENZO I A DECENZIO VESCOVO DI GUBBIO

Pontificio Ateneo S. Anselmo – Roma

18 marzo – dalle ore 9 alle ore 13

Prof. Ubaldo Cortoni (Roma), Innocentius Decentio episcopo Eugubino salutem. Storia di un rescritto e del suo destinatario.

Prof. Geoffrey D. Dunn (Virginia), Innocent I and the Authority of the Roman Church: The Letter to Decentius of Gubbio.

Prof. Manlio Sodi – Prof. Alessandro Toniolo (Roma), “Per philologiam ad theologiam”. Il contributo di Innocenzio I nell’elaborazione del linguaggio teologico-liturgico alla vigilia dei grandi sacramentari.

Prof. Andrea Grillo (Roma), Il ministro dell’unzione dei malati nella Decretale di Innocenzo I e sua problematica recezione nella dottrina ecclesiale successiva.

Prof. Harald Buchinger (Regensburg), “Biduo” senza celebrazione di sacramenti: Innocenzo I e lo sviluppo della liturgia pasquale.

Prof. Josep Vilella (Barcelona), La extensión del ayuno sabatino a todo el año litúrgico por Inocencio I.

Prof. Giovanni Di Napoli (Napoli), La Decretale di Innocenzo I a Decenzio e la configurazione della “Prex” a Roma.
 

Introduzione a cura di P. Juan Javier Flores Arcas, Rettore, e di Mons. Mario Ceccobelli, Vescovo di Gubbio.

Conclusioni a cura del Prof. Matteo Monfrinotti.

Organizzazione: Pontificio Ateneo S. Anselmo in collaborazione con Diocesi di Gubbio.


Info e contatti: tel. +39.3927360241 - codecretale@gmail.com - www.decretalegubbio.it
 

 

domenica 13 marzo 2016

DOMENICA DELLE PALME (C): CANTI DELLA MESSA


 
Antifona di introito: Osanna al Figlio

Ritornello del salmo responsoriale: Dio mio

Antifona di comunione: Padre se questo

 
Troverete la musica nel blog del Maestro Aurelio Porfiri:

sabato 12 marzo 2016

DOMENICA V DI QUARESIMA (C) – 13 Marzo 2016


Is 43,16-21: Dio sa ripetere l’esodo e rinnovare i miracoli di quel tempo

Sal 125 (126): Grandi cose ha fatto il Signore per noi

Fil 3,8-14: Anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù

Gv 8,1-11: Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei

 
Dio è grande e fedele, ma ogni gioia passa attraverso la faticosa purificazione del cuore. Come il Signore ha un tempo liberato il suo popolo dalla schiavitù, così egli offre oggi a noi la libertà dalla schiavitù di noi stessi, dei nostri peccati.
Filo conduttore dei vari testi odierni potrebbe essere il tema dell’ “esodo”. Una delle costanti nelle pagine dell’Antico Testamento, che si espande nel messaggio cristiano del Nuovo Testamento, è quella della liberazione dalla schiavitù personale, interiore, sociale e politica.
Isaia evoca l’evento dell’esodo, come incentivo che apre il cuore d’Israele al futuro in cui Dio si ripromette di intervenire con nuovi prodigi in favore del suo popolo. San Paolo dice di voler dimenticare il passato e di essere proteso verso il futuro; si tratta quindi anche qui di un esodo, sia pure a livello personale.
Il Vangelo ci invita a guardare le cose dei nostri simili con occhi di misericordia. Là dove c’è una persona piegata in due sotto il peso delle colpe, là ci deve essere il dono della liberazione e della vita nuova. Dopo il dono del perdono all’adultera, Gesù aggiunge: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”, parole che rivelano il senso dell’intero racconto che, possiamo dire, viene interpretato come un esodo morale di conversione. 
 

IDENTIKIT DELLA VI ISTRUZIONE ( / 5): FANTASCIENZA E REALTA' PASTORALE

di ANDREA GRILLO

Altri due esperti intervengono nel dibattito sulla “VI Istruzione” con letture e considerazioni differenziate . Nel primo intervento la ipotesi di una VI Istruzione viene definita “fantascienza” rispetto all’attuale assetto e orientamento della Congregazione... altro »

IDENTIKIT DELLA VI ISTRUZIONE ( / 4 ): BENEDETTA "INFEDELTA" FRANCESE

di ANDREA GRILLO

Blog Come se non

“In contesto francese, credo sia saggio cominciare con una azione di grazie per la infedeltà materiale di certe nostre traduzioni liturgiche, la cui fecondità prova come essere fossero più fedeli di quanto non sarebbero…

Leggere tutto: http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/

giovedì 10 marzo 2016

IDENTIKIT DELLA VI ISTRUZIONE ( / 3): CHE TIPO DI LINGUA E' IL LATINO LITURGICO

di ANDREA GRILLO

Blog Come se non

“Il dibattito nato attorno alla traduzione dei testi liturgici nelle principali lingue moderne mi sembra che viva e si nutra principalmente di fraintendimenti, nati da una certa confusione tra lingue veicolari e lingue vernacolari,…

Leggere in:

http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/

mercoledì 9 marzo 2016

IDENTIKIT DELLA VI ISTRUZIONE (/2): LE PRIME RISPOSTE DEGLI ESPERTI


 


 

Pubblicato il 9 marzo 2016 nel blog: Come se non

La condizione della “traduzione” a livello liturgico è giunta a una “impasse”. L’effetto di distorsione che la V Istruzione ha prodotto a livello universale è ormai noto anche ai più strenui difensori della “svolta letteralista”. Le Conferenze episcopali anglofone, quella tedesca, quella francese, quella italiana, sia pure in modi e forme diversi, hanno preso atto che i libri prodotti da Liturgiam Authenticam non sono fruibili. Se si osservano i criteri della Istruzione, si producono testi inutilizzabili. Se si vogliono produrre testi utilizzabili, occorre discostarsi sensibilmente dai criteri “irreali” di LA. Oggi tutto si è bloccato: i libri approvati non funzionano, e le conferenze episcopali rinunciano a presentare i nuovi, per evitare ulteriori guai, sia con i destinatari, sia con le autorità di controllo. 
Per uscire da questa paralisi ho sollevato una serie di questioni in vista di una nuova Istruzione e le ho proposte al pubblico dibattito ecclesiale. Le richiamo qui sotto:
a) Quale bilancio possiamo fare della V Istruzione, dopo 15 anni dalla sua approvazione ed entrata in vigore?
b) Per quali ragioni appare urgente una “VI Istruzione” per la attuazione della Riforma Liturgica?
c) Quali sono i contenuti fondamentali che una tale Istruzione dovrebbe prevedere?
Ho anche provveduto a indirizzare direttamente ad “esperti” – direttamente impegnati nel lavoro di traduzione – le medesime questioni e alcuni di loro hanno iniziato a rispondere. Con grande parresia e dicendo cose del massimo interesse. Riporto le prime reazioni significative.
Abrogazione di LA o rilancio della inculturazione?
Nelle risposte vi è una comunanza di orientamento sulla esigenza di operare una svolta decisa rispetto alle pretese di “letteralismo” di LA. Una prima proposta è così formulata:
 “Non credo che la via della "VI istruzione" sia davvero praticabile. Io desidererei la cancellazione pura e semplice di "Liturgiam Authenticam", che ammetto essere altrettanto impraticabile, ma almeno eviterebbe di manifestare delle contraddizioni palesi che getterebbero nel ridicolo. A che pro scrivere documenti, se quello successivo può apertamente contraddirlo? Non potrebbe fare altrettanto una "VII istruzione" posteriore di quindici anni?”
La questione è effettivamente piuttosto seria. LA ha preteso di abrogare ogni documento precedente e così ha bloccato la produzione significativa nelle lingue vernacole. La via di uscita è comunque la abrogazione di LA: o mediante un nuovo documento che la abroghi, o con una abrogazione che rimetta in vigore i documenti precedenti. A me sembra più coerente “avanzare” piuttosto che retrocedere, ma è legittimo ipotizzare che la seconda soluzione sia più semplice e sicuramente più “economica”.
Un altro interlocutore dice invece:
 “Bisogna finirla con un concetto di traduzione “letterale” che mortifica sia la ricchezza del testo latino sia la stessa lingua parlata in cui questo testo si deve esprimere. Bisogna decentralizzare e quindi dare fiducia alle Conferenze episcopali che possono giudicare meglio il linguaggio adoperato sul territorio. Anzi, bisognerebbe dare ai vescovi una certa libertà in modo che la traduzione dei testi sia veramente un atto di inculturazione del testo latino in un determinato ambito linguistico”.
Questo avviso ritiene importante riaprire il confronto con le diverse culture, prendendo sul serio non solo la lingua e la cultura di partenza, ma anche quella di arrivo, come richiede ogni traduzione che voglia essere realmente utilizzabile e che non abbia bisogno di una continua “esplicazione” parallela.
La ricchezza espressiva della tradizione latina e delle lingue moderne
Un terzo esperto propone una considerazione più articolata, che voglio riportare integralmente. In essa appare con molta chiarezza il compito di “fedeltà” all’originale che le lingue moderne possono e devono realizzare, secondo la loro cultura e il loro “genio”, superando sia le tentazioni tradizionalistiche, sia le semplificazioni funzionalistiche.
Varie ragioni mi hanno spinto a occuparmi dei testi liturgici presenti negli attuali libri per la Chiesa italiana. Mi sono dedicato alla questione della lingua/traduzione e ho dovuto affrontare anche LA. È chiaro che quel documento presenta grandissime difficoltà che molti esperti hanno rilevato (ad esempio, R. De Zan su “Rivista Liturgica”) e soprattutto il tentativo di rinchiudere l’affidabilità del testo soltanto nel suo originale come se la traduzione fosse “spuria”, inaffidabile. A mio avviso il grande peccato originale di LA è la totale sfiducia nei confronti delle lingue vive e delle culture d’arrivo e un eventuale VI Istruzione dovrebbe dipendere innanzitutto da una seria riflessione su che cos’è la lingua a partire dalla “svolta linguistica” in ambito filosofico.
Detto questo, credo che un richiamo alla fedeltà dell’originale sia quanto mai necessario. Ad es., le sfumature emotive dell’eucologia sono state rese in chiave etica o noetica. Era la temperie culturale degli anni ’70 (e primissimi ’80)? Certo è che se LA è figlia di un’ideologia conservatrice e miope di fronte alle culture e alla Weltanschauung di ogni lingua, certe traduzioni lo sono altrettanto per altre ragioni. Si può perdere tutto il bagaglio affettivo, metaforico, simbolico, immaginifico dell’originale, per traduzioni “piane” (o piatte) preoccupate soltanto di appianare e svelare il contento? Ma quale contenuto? È proprio vero che eliminando l’immagine della rugiada dal post-Sanctus della preghiera eucaristica II (Spiritus tui rore sanctifica) e rendendola con “effusione” ci guadagna la trasmissione/recezione del significato? La “trasmissione/percezione del senso” è data dalla comprensione del contenuto o dal quel “per ritus et preces” che è attuato anche dall’immagine contenuta nel test che poi sarà detto o cantato?
Sappiamo come le realtà misteriche, e tra queste lo Spirito, necessitino di essere dette con un linguaggio “altro”, poco tecnico e molto metaforico. E su questo la grande tradizione ecclesiale è maestra. Faccio un altro esempio. L’orazione dell’ultima raccomandazione e commiato del Rito delle Esequie si chiude in forma di intercessione per il defunto con l’immagine delle porte del paradiso che solo la misericordia infinita di Dio possono dischiudere. Nell’originale latino c’è una sorta di parallelismo istituito tra le orecchie della misericordia di Dio che si aprono per le preghiere dei credenti e le porte del paradiso che si spalancano per il defunto: «Pateant ergo, Dominem, precibus nostris aures misericordiae tuae, ut portae paradisi aperiantur famulo tuo». Così per le preghiere dei fedeli si aprono le orecchie misericordiose del Padre e si spalancano le porte del paradiso per coloro che terminano la giornata terrena. Ora il testo italiano (del 2011) omette questo parallelismo giocato sul concetto di “apertura” e a mio avviso è un impoverimento dal momento che l’emozione accesa dal parallelismo verbale è più forte di ogni persuasione intellettualistica.
Che fare?
a) Occorrono traduzioni “graziose”, non impacciate e rigide, ma anche davvero fedeli al senso dell’originale per non avere effettivamente un altro senso con un altro testo e per non smarrire un patrimonio che la tradizione ci ha consegnato. Mi rendo conto che non è sempre facile, ma non è impossibile. È in gioco anche una certa comunione tra le generazioni di cui tu hai parlato a proposito dell’idea di riforma liturgica oltre che di condivisione di un medesimo repertorio simbolico-testuale da parte di chi appartiene ad uno stesso milieu rituale. Per non parlare del fatto che buona parte delle metafore impiegate nei testi liturgici trovano la loro culla nel testo biblico.
b)      Occorrono testi nuovi nelle lingue vive da affiancare ai testi antichi tradotti, in modo tale che l’italiano, l’inglese, il malgascio del XXI, secolo possano pregare nella propria lingua e secondo il proprio genio. Su questo la Congregazione è molto cauta in ragione della “sostanziale unità del rito romano”. Eppure, se grande è la ricchezza che la tradizione ecclesiale ci ha consegnato (per lo più dell’Europa occidentale in epoca altomedievale, come gli antichi Sacramentari), non è accettabile che le comunità oranti del mondo rimangano semplicemente debitrici di questa tradizione e inabili alla composizione di testi che rispecchino il loro stile e il loro genio.”
Una nuova Istruzione dovrebbe unire, con grande autorevolezza, questi due “corni” della questione: valorizzare la ricchezza espressiva della tradizione, e incentivare le “nuove culture” ad esprimere “ex novo” la forza e la bellezza del mistero pasquale.

martedì 8 marzo 2016

IL PERDONO


Carmine Di Sante, Il perdono. Nella Bibbia, nella teologia, nella prassi ecclesiale (Giornale di teologia 386), Queriniana, Brescia 2016. 172 pp.
Terminato il concilio Vaticano II (1962-1965) e avviata la riforma liturgica in lingua  volgare, il moralista Barnhard Häring auspicava la revisione radicale del sacramento della penitenza (la “confessione”) rinunciando a “determinare con esattezza cosa sia un peccato mortale” e proponendo la celebrazione eucaristica come il luogo privilegiato della remissione dei peccati che “permetterà a tutti i cristiani di buona volontà l’accesso alla comunione”.
L’autore di questo saggio riprende la proposta coraggiosa e disattesa del grande teologo tedesco e ne dimostra la legittimità e coerenza, sia alla luce di una originale reinterpretazione del dato biblico e teologico, sia attraverso la rilettura critica della plurisecolare prassi ecclesiale relativa al sacramento del perdono.
E’ forse questo, fra tutti i sacramenti della chiesa quello che – più di ogni altro – attende ancora di essere ripensato nel suo senso teologico e antropologico più autentico.
(Quarta di copertina) 


domenica 6 marzo 2016

DOMENICA V DI QUARESIMA (C) - CANTI DELLA MESSA


 
Nel blog Il Naufrago del Maestro Aurelio Porfiri troverete i canti della Messa della V Domenica di Quaresima (C):

Antifona di introito: Fammi giustizia

Ritornello del salmo responsoriale: Grandi cose

Antifona di comunione: Donna, nessuno



http://ilnaufrago.com/

 

sabato 5 marzo 2016

DOMENICA IV DI QUARESIMA (C) – 6 Marzo 2016



Gs 5,9a.10-12: Israele celebra nella gioia della pasqua il dono della terra promessa
Sal 33 (34): Gustate e vedete com’è buono il Signore

2Cor 5,17-21: Dio ci ha riconciliato con sé mediante Cristo
Lc 15,1-3.11-32: Padre, ho peccato verso il cielo e davanti a te

 

L’antifona d’ingresso invita alla gioia: “Rallegrati (Laetare), Gerusalemme… Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza…” (cf. Is 66,10-11). Il salmo responsoriale riprende questa tematica in chiave di ringraziamento: “Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode…” Perciò questa domenica si chiama anche “Domenica Laetare”. Il tema ritorna nel vangelo al termine della parabola del figliol prodigo: “Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita…”
Le letture bibliche odierne, nel cuore del cammino quaresimale, sono una solenne proclamazione della misericordia di Dio e un pressante invito a riconciliarci con Lui. In questa domenica, come in quella precedente, ritroviamo il tema della conversione, vista però sotto l’aspetto della riconciliazione come dono dell’amore di Dio.
La prima lettura parla della sollecitudine di Dio per il suo popolo, al quale, dopo la traversata del deserto, offre in dono una terra e una patria. Il brano del vangelo riporta la bellissima parabola del figliol prodigo, che viene accolto dal padre misericordioso nella casa paterna. Nella seconda lettura ascoltiamo Paolo che parla di un Dio misericordioso che ha riconciliato a sé il mondo in Cristo; l’amore fedele di Dio ci viene comunicato tramite la fedeltà solidale di Gesù crocifisso. All’azione di Dio che salva, noi siamo invitati a corrispondere: come Israele che celebra nella gioia della pasqua il dono della terra promessa; come il figliol prodigo che riconosce il suo peccato e si getta nelle braccia del padre.