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domenica 30 ottobre 2022

TUTTI I SANTI – 1° novembre 2022

 



 

 

Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a

         

Il Sal 23, nella sua prima parte riportata dal salmo responsoriale odierno, è un cantico di pellegrinaggio e riflette una situazione storica ben concreta. Giunti nella prossimità del tempio di Gerusalemme, i pellegrini si pongono la domanda: “Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?”. La risposta è categorica: “Chi ha mani innocenti e cuore puro”. I cristiani possiamo riprendere le parole del salmo perché pure noi siamo in cammino, pellegrini verso il luogo santo, verso la dimora del Signore, verso “la città del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre” (prefazio). Ricuperando e attualizzando il messaggio del salmo, la Chiesa ribadisce che saranno ammessi all’assemblea festosa della gloria e vedranno Dio “i puri di cuore”. 

 

La prima lettura, tratta dall’Apocalisse, propone due visioni di san Giovanni: nella prima, contempliamo la schiera dei santi che si trovano ancora nel tempo del loro pellegrinaggio terrestre; nella seconda, vediamo la moltitudine di quelli che già godono della gloria eterna. Il numero degli eletti è simbolico, ad indicare la pienezza: centoquarantaquattromila, il quadrato di dodici moltiplicato per mille. Esso ha inoltre il carattere dell’universalità; infatti, gli eletti o “segnati con il sigillo” provengono da “ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. Nel brano del vangelo viene proclamata una pagina centrale del messaggio di Gesù, il programma di vita che egli propone a coloro che intendono seguirlo: le Beatitudini. E’ un programma impegnativo; un progetto costruito non secondo i valori del mondo e le possibilità di successo ad essi collegate ma secondo i valori di Dio e i doni che da lui ci vengono offerti gratuitamente. La santità è, come in Cristo, donazione totale dell’essere nella “povertà”, cioè nell’apertura dell’essere intero a Dio, al suo regno e al prossimo.

 

La santità non è impresa per pochi eroi: tutti “siamo chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (Lumen Gentium, n. 40). Il traguardo della santità è per tutti perché, come dice san Giovanni nella seconda lettura, tutti siamo stati oggetto dell’amore di Dio. Infatti, la santità è anzitutto il dono di Dio che ci ama e ci si dona nel suo proprio Figlio. Il progetto del Padre è che noi siamo simili all’immagine del Figlio suo Gesù Cristo. In ciascuno di noi è quindi presente il germe della santità; compito nostro è svilupparlo in pienezza per la vita eterna. Al traguardo della santità ci si arriva attraverso un impegno costante, come ricorda san Giovanni: “Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli - cioè Gesù - è puro”. In modo simile, san Paolo afferma: “purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio” (Secondi vespri, lettura breve: 2Cor 7,1).

 

Nel Credo professiamo la fede nella “comunione dei santi”. La solennità odierna celebra i santi appunto come nostri “amici e modelli di vita” (prefazio). Cristo è l’archetipo di ogni santità, il santo per eccellenza, anzi il “solo santo”. Coloro che noi chiamiamo santi sono quindi tali nella misura in cui si identificano con Cristo. Nei santi noi possiamo contemplare realizzata in modo multiforme ed esemplare l’immagine di Cristo ed in essi abbiamo degli amici che ci proteggono nel nostro pellegrinaggio e intercedono perché anche noi possiamo raggiungere l’ambito traguardo. 

         

L’eucaristia è la sorgente di ogni santità e il nutrimento spirituale “che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno” verso il traguardo (orazione dopo la comunione).

LITURGIA E BELLEZZA

 



Loris Maria Tomassini, Nel segno della bellezza. Bellezza, liturgia e sensi spirituali (Spiritualità del nostro tempo. Nuova serie), Cittadella Editrice, Assisi 2022. 219 pp. (€ 15,90).

Si può facilmente constatare come abbiamo perso, nel nostro tempo confuso, la capacità di vedere, sentire, gustare il bello: la bellezza non è il lusso ma una necessità, e certamente non appartiene al novero delle cose superflue. Cristo è la “bellezza di ogni bellezza”, e per questo la liturgia della Chiesa si offre in modo singolare come la via della Bellezza che libera e salva. Ma anche l’esperienza mistico-contemplativa dovrebbe essere riconsiderata nella liturgia e non soltanto a partire dalla liturgia.

Questo libro cerca di cogliere le connessioni tra bellezza, liturgia ed esperienza spirituale che il credente è chiamato a vivere in modo attivo e consapevole, valorizzando quelli che la grande Tradizione chiama i “sensi spirituali” (Quarta di copertina).

Capitoli:

Introduzione – La via della bellezza – La bellezza, epifania di Dio – Liturgia e bellezza – Il sensibile nella liturgia – Gustare, vedere, toccare, udire la bonta-bellezza di Dio – Esperienza mistica del mistero nella liturgia – Educare alla bellezza nella liturgia: simbolica cristiana e mistagogia – Celebrare la bellezza nella bellezza – Conclusione.

 

venerdì 28 ottobre 2022

DOMENICA XXXI DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 30 Ottobre 2022

 



 

Sap 11,22-12,2; Sal 144; 2Ts 1,11-2,2; Lc 19,1-10

 

Grandezza, maestà, gloria e splendore rifulgono nelle opere di Dio; ma è sempre l’uomo la manifestazione più alta dell’opera di Dio. Come ha detto san Ireneo: “la gloria di Dio è l’uomo vivente”.

 

L’assioma “la gloria di Dio è l’uomo vivente” è atto ad esprimere la “giusta” relazione tra Dio e l’uomo. Come ciò si realizza lo illustrano le letture bibliche di questa domenica. La prima lettura ci ricorda che siamo piccola cosa davanti a Dio, ma siamo pur sempre oggetto del suo amore, per questo siamo preziosi: Dio ama tutte le cose esistenti e nulla disprezza di quanto ha creato. Inoltre, c’è in noi una particella, un riflesso dello “spirito incorruttibile” di Dio, siamo quindi gloria di Dio e sua manifestazione. Il racconto evangelico parla di Zaccheo, piccolo di statura e pubblicano, anzi capo dei pubblicani, e quindi un dannato agli occhi dei zelanti farisei. Per Gesù Zaccheo è invece anzitutto un figlio di Abramo da ricuperare, perché è chiamato anche lui all’eredità promessa da Dio (cfr. Ef 3,6). Dio cerca l’uomo, in particolare il peccatore, nella sua stessa casa per offrirgli la sua amicizia. La seconda lettura afferma che Dio si avvicina all’uomo, ma vuole che anche l’uomo faccia la sua parte, come d’altronde ha fatto pure Zaccheo riparando le ingiustizie commesse, anzi andando molto più in là di quanto la legge prescriveva o anche solo consigliava: l’autore della seconda lettera ai Tessalonicesi dopo aver affermato che Dio con la sua potenza è all’opera nella nostra vita, ci invita ad assumerla dando ad essa un significato in funzione dell’attesa del regno di Dio. Così anche l’orazione colletta chiede al Signore che “corriamo senza ostacoli” verso i beni da lui promessi.

 

La parola di Dio che viene proclamata oggi ci invita a contemplare ed onorare la dignità della persona umana, la nostra dignità di creature di Dio. Tutto ciò che offende la dignità dell’uomo, offende anche Dio, creatore e redentore dell’uomo. La dignità dell’uomo esige che egli agisca secondo scelte consapevoli e coerenti con la sua vocazione. Siamo gloria di Dio, se ci apriamo alla sua onnipotente misericordia. Infatti, solo Dio può darci il dono di servirlo “in modo lodevole e degno” (colletta). Secondo san Giovanni la gloria nascosta di Dio è apparsa nel Cristo fra gli uomini (cf. Gv 1,14; 11,4.40). Perciò Dio è veramente glorificato in noi nella misura in cui portiamo a compimento nel vissuto quotidiano la chiamata ad essere lode vivente del Padre, a immagine di Cristo, capolavoro di tutto il creato. Ogni uomo, ognuno si noi, è chiamato a realizzare questa sublime vocazione. Ad imitazione del Signore, dobbiamo onorare questa eccelsa dignità in noi e negli altri.

 

La partecipazione eucaristia è prova suprema della dignità dell’uomo, perché amato in modo sublime da Cristo che “ha donato ai figli della camera nuziale il godimento del suo corpo e del suo sangue” (San Cirillo di Gerusalemme, PG 32,1100). Con altre parole, l’orazione sulle offerte afferma la stessa dottrina quando dice che il sacrificio eucaristico ci ottiene la “il dono santo” della misericordia divina.

domenica 23 ottobre 2022

LA CENTRALITA’ DELL’ALTARE

 



 

Ogni epoca ha costruito le chiese e ha disposto i diversi spazi celebrativi secondo criteri che riflettono una determinata visione teologica dell’Eucaristia. Cito in seguito due esempi.

  

Chiesa dei Santi Claudio e Andrea dei Borgognoni (Roma)

Sul posto di un piccolo oratorio, costituito da una piccola stanza, distrutto nel 1726, tra il 1728 e il 1731 fu costruita l’attuale chiesa più grande. Dal 1886 è stata affidata al Padri Sacramentini, che vi tengono la “adorazione solenne” dell’Eucaristia. Sull’altare maggiore una scultura in bronzo raffigurante il Globo terrestre fa da trono all’esposizione solenne dell’Eucaristia all’interno di una enorme raggiera dorata. 

Nell’epoca del barocco, l’altare diventa una specie di pedana, sulla quale poggia o si erge una struttura chiamata retablo, ancona o pala d’altare. In queste chiese non emerge l’altare come “centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia” (Ordinamento generale del Messale Romano  296, cf. 299).


 




Basilica di San Lorenzo in Lucina (Roma)

La basilica sorse nel secolo IV, secondo la tradizione, sulla residenza dell’omonima matrona romana che avrebbe messo la sua abitazione a disposizione della comunità cristiana. Della lunga storia di questo tempio, a noi interessa notare che tra il 1620 e il 1650 circa, le antiche navate laterali sono state trasformate in tante cappelle cedute in juspatronato ad illustri famiglie. La moltiplicazione di cappelle con i loro altari toglie importanza all’altare centrale che è chiamato altare “maggiore”. Idealmente, in ogni chiesa ci dovrebbe essere un solo altare “che significhi alla comunità dei fedeli l’unico Cristo e l’unica Eucaristia della Chiesa” (Ordinamento generale del Messale Romano 303).

 





Cappella di san Carlo Borromeo




venerdì 21 ottobre 2022

DOMENICA XXX DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 23 Ottobre 2022

 


 

 

Sir 35,12-14.16-18; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14

 

Il Sal 33, salmo responsoriale, è un canto di gioia e di speranza di un povero, che si sente amato dal Signore sperimentando la gioia e i frutti della sua fedeltà. Il “povero”, di cui parla il testo, è colui che con cuore umile e riconoscente cerca rifugio solo in Dio, sfidando le manovre degli ingiusti con la sua fede nuda. Il Signore ascolta il grido dei poveri, degli umili, di coloro che hanno il cuore ferito, e li salva da tutte le loro angosce. La speranza dei poveri si compie in Cristo; san Luca fa cominciare la missione di Gesù con la citazione di Is 61,1: “mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (Lc 4,18).

 

C’è una certa continuità tra le letture della domenica scorsa e quelle odierne; è ancora il tema della preghiera, infatti, che ritorna con insistenza, sia pure da un particolare angolo visuale, che è quello della speciale attenzione che Dio rivolge alla preghiera dell’umile e del povero. La prima lettura ci ricorda che Dio è giusto; non v’è presso di lui preferenze di persone e, quindi, non può essere né comprato, né corrotto. Davanti a lui non contano le apparenze. Egli esaudisce chi con umiltà e amore lo supplica. L’insegnamento della parabola del fariseo e del pubblicano, riportata dal vangelo, si muove sulla stessa linea: il pubblicano, che si riconosce umilmente peccatore, torna a casa giustificato; il fariseo, che si vanta delle sue opere e disprezza gli altri, non viene invece giustificato. Nella seconda lettura ascoltiamo san Paolo che, ormai al termine della sua vita, ne fa un bilancio fiducioso e sereno e si affida al Signore, giusto giudice, che gli darà la corona di giustizia. La società in cui viviamo esalta i potenti, i forti, coloro che con la loro attività hanno raggiunto denaro, sicurezza e prestigio. Sono essi ad avere successo ed a diventare i modelli a cui facciamo volentieri riferimento. Presso Dio invece è il povero, l’oppresso e l’umile che ha garanzia di successo. I criteri di valutazione appaiono rovesciati. Dio non misura con le misure umane. Egli guarda il cuore dell’uomo.            

 

Il vangelo di questa domenica ci ammonisce a lasciare un po’ di spazio al Signore, a non presumere, a non pretendere, a non passare il tempo ad elencare i nostri meriti. Siamo tutti nudi davanti a Dio, tutti mendicanti. La giustificazione, cioè la salvezza, non è certo frutto della nostra giustizia, né delle nostre risorse di creature. La giustificazione è anzitutto un dono, è una grazia che viene dalla misericordia di Dio. Afferma san Giovanni che il cristiano non è figlio di Dio per nascita (Gv 1,13) ma perché è rinato, perché è stato rigenerato dall’alto mediante lo Spirito (Gv 3,5-8). Nella nostra vita tutto è dono, tutto è grazia. San Paolo riconosce che “per grazia di Dio” è quello che è (1Cor 15,10). D’altra parte, l’orazione colletta ci ricorda che per ottenere il dono di Dio, dobbiamo amare ciò che egli comanda; la giustificazione chiama in causa l’uomo che con la sua libertà è chiamato a corrispondere al dono di Dio. Infatti, la giustificazione non è un atto magico che avviene ineluttabilmente ma una azione che inserisce la nostra libertà in una situazione nuova originata dal dono di Dio.

 

L’eucaristia è la mensa alla quale il Cristo invita i poveri, i piccoli e gli umili come al convito del regno di Dio (cf Mt 5,3; Lc 6,20). Prima di avvicinarci alla comunione proclamiamo con il centurione del vangelo: “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato” (cf. Mt 8,8). Ma l’eucaristia è anche il massimo della azione salvifica del Risorto e la anticipazione della condizione definitiva del salvato.

 

domenica 16 ottobre 2022

LA MESSA CRISMALE

 




Giovanni Zaccaria, Sacerdoti, re, profeti e martiri. Teologia liturgica della Messa crismale (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” – “Subsidia” 203), CLV Edizioni Liturgiche, Roma 2022. 238 pp. (€ 28,00).

 

Lo studio teologico-liturgico della Messa crismale mette in evidenza che il vero cuore di questa celebrazione è l’unzione di Cristo; da essa, attraverso i sacramenti, derivano le due unzioni che costruiscono il corpo della Chiesa, quali modi di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo (cfr. LG 10). Si può dire quindi che la cristologia definisce l’ecclesiologia: secondo la prima Lettera di Pietro coloro che si avvicinano a Cristo e accettano l’offerta della salvezza vengono trasformati in pietre vive per l’edificazione di un edificio spirituale (cfr. 1Pt 2,5ss); tale edifico ha per scopo il sacerdozio santo, cioè l’offerta di sacrifici graditi a Dio mediante Cristo. È la tematica soteriologica del riportare il mondo al Padre, compito affidato a tutti i fedeli: essi costituiscono una comunità sacerdotale, che realizza quanto preconizzato in Es 19,6: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Per questo i fedeli, in forza dei sacramenti dell’iniziazione cristiana sono costituiti sacerdoti, re, profeti e martiri.

Il volume, oltre dall’Introduzione (pp. 7-10) e dalle Conclusioni (pp. 137-152), è costituito da due grandi Parti: La Feria V in Hebdomada Sancta (pp. 11-64); Teologia liturgica della Messa crismale (pp.65-135). Contiene inoltre dieci Appendici con materiale di grande utilità per la lettura e comprensione dell’opera (pp. 153-225).

 

 

venerdì 14 ottobre 2022

DOMENICA XXIX DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 16 Ottobre 2022

  


 

Es 17,8-13°; Sal 120; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8.

 

“Il mio aiuto viene dal Signore”. Così abbiamo risposto alle singole strofe del salmo responsoriale. Riprendendo le stesse parole, esprimiamo la nostra fede nella presenza del Signore alla sua Chiesa e, in essa, a ciascuno di noi. E’ una presenza vigile e premurosa, nella quale troviamo sempre aiuto e sicurezza. Il Signore copre con la sua vigilante protezione tutto il percorso della nostra vita, dall’uscita dal grembo materno fino all’ingresso nel grembo della terra.  

 

Anche il canto d’ingresso, preso pure esso da un salmo di fiducia, esprime le idee di fondo del salmo responsoriale e ne trae ispirazione per rivolgersi a Dio con una toccante preghiera: “Io t’invoco, o Dio, poiché tu mi rispondi; tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole. Custodiscimi come la pupilla degli occhi, all’ombra delle tue ali nascondimi” (Sal 16,6.8). Il brano evangelico illustra come Dio sia buono e giusto e venga in aiuto a chi lo prega con fede e con perseveranza. L’accostamento col vangelo invita a vedere nel gesto di Mosè con le mani alzate, di cui parla la prima lettura, un gesto di preghiera insistente ed efficace. Questa è poi l’interpretazione che fa del testo l’antifona al Magnificat dei Primi Vespri: “Le mani di Mosè rimasero alzate in preghiera fino al tramonto del sole”. La lettura apostolica esalta il ruolo della parola di Dio nella vita cristiana. In fine, il canto al vangelo esalta l’efficacia della parola di Dio: “La parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (cf. Eb 4,12).

 

La liturgia odierna ci invita a riflettere sull’efficacia della preghiera, in particolare di quella di supplica. Non si tratta di una efficacia meccanica, quasi che il pregare fosse un’attività magica. La preghiera è anzitutto un’esperienza profonda di fede e di fiducia in Dio. Quando Gesù ci esorta a “pregare sempre, senza stancarsi”, a “gridare” e “importunare” non intende indurci a pregare per ottenere favori casuali. Egli ci spinge a pregare perché il regno di Dio si compia, come ci ricorda il Padrenostro: “Venga il tuo regno” (Mt 6,33). Tutte le suppliche, anche quelle dirette alla propria salvezza personale, mirano in ultimo termine alla venuta del regno di Dio, nel quale la nostra individualità è inserita senza nel contempo scomparire, e il cui arrivo porta con sé il nostro essere salvati. E’ necessario però ricordare che il compimento del regno di Dio si attua attraverso il cammino della croce che conduce alla pasqua. La prima lettura ci insegna che preghiera e impegno debbono andare insieme: la preghiera dà all’impegno il suo riferimento essenziale a Dio, e l’impegno dà alla preghiera la sua serietà e coerenza. La preghiera non sostituisce lo sforzo quotidiano nel servire Dio con lealtà.

 

L’eucaristia nutre la nostra speranza, perché la Chiesa celebra l’eucaristia “finché egli venga” (1Cor 11,26). La presenza di Cristo nell’eucaristia è dinamica e ci pone nell’attesa del suo ritorno: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20). Partecipando all’eucaristia viviamo già, anticipatamente e in speranza, la realtà piena di una salvezza che ora è offerta sotto il velo dei segni sacramentali e con i limiti di tutte le cose umane.

 

domenica 9 ottobre 2022

IL MESSALE ROMANO

 



 

Giovanni Zaccaria (ed.), Messale Romano. Tradizione, traduzione, teologia (Biblioteca di Iniziazione alla Liturgia 10), Edizioni Santa Croce s.r.l., Roma 2022. 136 pp. (€ 15,00).

 

Artur Roche, Il Messale Romano di san Paolo VI. Testimonianza di una fede immutabile e di una tradizione ininterrotta.

Gabriel Seguí i Trobat, I Messali Romani pretridentini. Importanza e metodo di analisi.

Corrado Maggioni, Il Motu Proprio di Francesco Magnum principium del 9.IX.2017: una lettura.

Daniel Brzeziński, La lingua corrente nella liturgia: fra passato e futuro.

Goffredo Boselli, “Si sit laus et non cantetur non est hymnus”. Tradurre l’innodia della Liturgia delle Ore.

José Luís Gutiérrez-Martín, Il contributo del nuovo Messale Romano al rinnovamento liturgico. A proposito della terza edizione tipica.

Giovanni Zaccaria, Il sacerdozio comune dei fedeli nell’Ordo Missae del Messale Romano.

 

venerdì 7 ottobre 2022

DOMENICA XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 9 Ottobre 2022

 


 

 

 

2Re 5,14-17; Sal 97; 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19

 

La prima lettura ci riferisce della guarigione di Naamàn, un ufficiale siro non appartenente al popolo di Israele, che riconosce l’opera della salvezza compiuta dal Signore in lui. Il brano della lettera a Timoteo riporta la testimonianza di san Paolo in catene per il vangelo, che esclama: “sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza”. In fine, il vangelo racconta che dei dieci lebbrosi guariti da Gesù solo un samaritano, uno straniero, dopo la guarigione, torna indietro a ringraziare il Signore che gli dice: “La tua fede ti ha salvato”. Il messaggio è chiaro: anche gli “esclusi” ed i “non privilegiati”, come i lebbrosi e gli stranieri sono chiamati a godere dei benefici della salvezza

 

Il vangelo “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1,16). Tutti sono chiamati alla fede e quindi alla salvezza. Diciamo di vivere nel tempo della globalizzazione. I nostri problemi sono i problemi degli altri, vicini e lontani. I moti migratori fanno sì che le nostre città siano diventate sempre più eterogenee, multirazziali. Parliamo di “extracomunitari”, ma in fondo sappiamo che tutti siamo membri di una grande e unica comunità umana. Il momento storico che stiamo attraversando può divenire il grande segno che Dio chiama tutti a creare un mondo riconciliato, unito nella diversità, armonioso e pacifico, in cui uomini e donne di diverse razze e popoli si ritrovino tutti fratelli e sorelle, figli e figlie di Dio e riconoscano in Gesù Cristo il loro Salvatore. Se la salvezza è per tutti i popoli, dobbiamo guardare i fenomeni odierni con serenità e aprirci alla speranza. Al di là dei problemi che possa creare l’attuale situazione, il cristiano deve saper scorgervi il disegno salvifico di Dio. Chiudersi in se stessi egoisticamente non è da credenti. Con questi nostri fratelli “non ci stanchiamo mai di operare il bene” (colletta), quel bene che diventa segno del bene supremo della salvezza che Dio offre a tutti.

 

L’eucaristia è “espressione perfetta della nostra fede” (orazione sulle offerte). Essa ha quindi una dimensione ecumenica e missionaria. Nell’eucaristia entriamo in comunione con Cristo che ha dato se stesso per noi e per tutti gli uomini fino al sacrificio di sé. Inoltre, partecipando al sacrificio eucaristico rinsaldiamo la nostra unità come Chiesa: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,16-17). Analogamente, forti dell’amore del Signore che ci viene offerto e comunicato, siamo chiamati a fare dono di noi stessi ai nostri simili, a tutti gli uomini, per ricreare un tessuto di solidarietà e di comunione nella nostra società.

domenica 2 ottobre 2022

LA PARTECIPAZIONE AUDIO ALLA LITURGIA DELLE ORE

 



 

Il noto monastero benedettino di Chevetogne, in Belgio, ha stabilito da qualche anno un collegamento on line “audio” attraverso cui ci si può collegare con la Liturgia delle ore celebrata dai monaci.

La presenza fisica alla celebrazione impegna tutti i sensi corporali, ed è quindi adatta a procurare una esperienza di “presenza totale”. La trasmissione audio, invece, impegna fisicamente solo l’udito, la memoria e l’intenzionalità. Infatti, nella partecipazione audio, la partecipazione alla celebrazione riposa interamente sull’armonia tra tre condizioni: l’ascolto, la coscienza della simultaneità tra la celebrazione e la sua trasmissione sonora, nonché la fiducia che l’intenzione che sottende la trasmissione è stabilire un legame reale di partecipazione e di comunione.  

In ogni modo, la partecipazione audio non è meno “reale” che la partecipazione vissuta nella presenza fisica sul luogo; anzi, si può affermare che pure essa è reale anche se in modo diverso. Infatti, la partecipazione audio invita a privilegiare pienamente l’ascolto, questa porta attraverso cui la Parola raggiunge l’anima e il cuore per elevarli verso la sorgente da cui sgorga la stessa Parola. Più che la visione, l’audizione è capace di stabilire nel partecipante una verticalità, di elevare l’anima. In questo modo c’è una interiorizzazione graduale della partecipazione sempre più consapevole nonché una comunione crescente, nella fede e attraverso il suono, fra tutti coloro che sono uniti nella preghiera.

 

Vedi, al riguardo, quanto afferma Thomas Poot, La Liturgie des Heures et “réunion virtuelle”: l’actuosa participatio rivisitée, in Ecclesia orans (Studi e ricerche/5) 2022, 189-200.