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venerdì 30 settembre 2022

DOMENICA XXVII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 2 Ottobre 2022

 



 

Ab 1,2-3; 2,2-4; Sal 94; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10.

 

La fede è centrale nel processo di ricezione della salvezza, che giunge a noi come annuncio, come parola, come buona notizia che per essere ricevuta dev’essere creduta. “A Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza della fede, con la quale l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente” (Dei Verbum, n. 5). La fede si attua come un gratuito e libero incontro tra Dio che si comunica e la persona umana che accoglie la sua autocomunicazione aprendosi all’azione di Dio. La fede non è credere in qualcosa, ma credere in qualcuno, in Dio salvatore. Nell’evento della nostra salvezza, l’iniziativa è sempre di Dio. La fede è quindi anzitutto un dono. Non a caso il vangelo d’oggi inizia con la supplica degli apostoli a Gesù: “Accresci in noi la fede!”. La risposta di Gesù è immediata e, come al solito, sconcertante: “Se aveste fede quanto un granello di senapa, potreste dire a questo gelso: Sradicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe”.

 

Ecco, quindi, che Gesù proclama la potenza salvatrice della fede. Gli fa eco san Giovanni quando afferma che la vittoria che ha sconfitto il mondo è la nostra fede (1Gv 5,4). Ma questa fede che, anche se minuscola, è capace di sradicare e trapiantare nel mare un gelso, albero gigante dalle radici difficilmente sradicabili, non è da confondersi con una tecnica con cui ottenere effetti prodigiosi come lo spostamento di una montagna o il radicamento di un albero nelle acque del mare. La potenza della fede di cui parla Gesù è la potenza di Dio che si manifesta e si sprigiona nella vita di noi credenti. La fede lascia passare sempre e solo l’azione di Dio attraverso di noi; non costringe Dio a fare quello che vogliamo noi ma permette a noi di fare quello che vuole Dio. Infatti, Gesù parla in seguito del servo che “ha eseguito gli ordini ricevuti”.

 

La lettura apostolica ci invita a dare una coraggiosa testimonianza della nostra fede. E la prima lettura, tratta dal libro di Abacuc, conclude affermando che colui che non ha l’animo retto soccombe, mentre “il giusto vivrà per la sua fede”. La parola “fede”, nella lingua semitica in cui si esprimeva Gesù, significa fermezza e certezza, sicurezza e fiducia. La fede non ha niente a che fare con l’angustia degli orizzonti. La fede non intimidisce, non riduce la voglia di vivere e di crescere che c’è in ognuno di noi ma apre a questa nuovi ed insospettabili orizzonti.

 

L’eucaristia è “Mistero della fede”. “La fede e i sacramenti sono due aspetti complementari della vita ecclesiale. Suscitata dall’annuncio della Parola di Dio, la fede è nutrita e cresce nell’incontro di grazia col Signore risorto che si realizza nei sacramenti” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 6).

domenica 25 settembre 2022

LA CONCEZIONE DI DIO E LA PREGHIERA

 



 

Nella Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ci troviamo di fronte ad un accostamento di varie immagini di Dio: il Dio vicino e il Dio lontano, immanente e trascendente, un Padre che ama e ha misericordia e un Giudice. Quando ci troviamo davanti a questo accostamento di testi biblici, dobbiamo tenere ben presente che non dobbiamo semplificare le cose e addurre soltanto una parte di quei testi per documentare la concezione biblica. Non è dunque lecito contrapporre, come ha fatto Marcione (sec. II), il Nuovo Testamento all’Antico, radicalmente rifiutato, il Dio “che ama” al Dio “giusto”. Ma anche quando, in contrasto con Marcione e in accordo con la Chiesa antica, si tiene unito l’Antico Testamento al Nuovo, dobbiamo lasciar sussistere i due aspetti all’interno di ciascuno dei Testamenti: non possiamo vedere nel Nuovo Testamento soltanto il Dio vicino, presente e operante nel mondo, e tralasciare Colui che è in eterno, lontano, nascosto, che vi è altrettanto attestato. Quel che per la logica umana è contraddizione irriducibile, non può essere trasferito in questi termini su Dio.

Fonte: Oscar Cullmann, La preghiera nel Nuovo Testamento. Una risposta alle domande odierne (Antologia Claudiana | Paideia 11), Claudiana srl, Torino 2022, pp. 207-208. Si tratta di un’opera classica di O. Cullmann, stampata per prima volta nel 1995.

venerdì 23 settembre 2022

DOMENICA XXVI DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 25 Settembre 2022

 



 

Am 6,1a.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31

 

         

La parola di Dio ripropone il tema della domenica scorsa sull’uso dei beni terreni. Gesù ci invitava a dare ad essi un valore relativo guardando ai beni definitivi e ci premuniva sull’abbaglio di cui possiamo essere vittime in questa materia quando ci ricordava che non è possibile “servire a Dio e alla ricchezza”. In questa domenica c’è un elemento in più, l’invito a condividere i nostri beni con gli altri. Il profeta Amos (prima lettura) pronuncia parole dure contro i grassi borghesi di Samaria che si godono la vita incuranti della povertà e miseria degli altri. Contro questi gaudenti il profeta prende una chiara posizione di condanna, annunciando la fine delle feste spensierate nonché il sopraggiungere della deportazione e dell’esilio. Non si tratta di una condanna della ricchezza in se stessa, ma di un severo giudizio di coloro che si servono di essa per farne strumento di corruzione e di oppressione. In questo caso, la ricchezza diventa sorgente del potere che sfrutta e opprime.

 

Sullo sfondo della dura denuncia del profeta Amos si colloca la nota parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, narrata dal vangelo d’oggi. Vi troviamo descritte due figure contrapposte. L’uomo ricco sdraiato sui divani che banchetta lautamente. Il povero che giace alla sua porta, bramoso di sfamarsi di quello che cade dalla mensa del ricco. I cani si sono accorti della presenza del povero e vanno a leccargli le piaghe. L’epulone, invece, fa come se non esistesse. Il ricco non ha nome. Nella cultura ebraica, il nome esprime la realtà profonda delle persone, riassume la loro storia; egli non ha nome perché non ha storia. Il povero ha un nome quanto mai significativo: “Dio aiuta”. I due personaggi del racconto muoiono, e la loro sorte si capovolge: l’epulone si trova nell’inferno tra i tormenti, e Lazzaro invece viene trasferito nel banchetto celeste presieduto da Abramo. La morte non fa altro che sancire in modo definitivo e irreversibile il destino finale degli esseri umani, quel destino che ognuno di noi costruisce nella sua vita terrena. La logica di Dio non è quella del potere e del successo, ma quella della misericordia, della giustizia, dell’amore. Chi lotta per la giustizia non compie solo un’opera filantropica ma un vero e proprio atto religioso. Il castigo che il ricco epulone si merita è dovuto proprio al fatto che il suo comportamento contrasta radicalmente con la carità che è Dio. Anche san Paolo nella seconda lettura (1Tm 6,11-16) ammonisce il suo discepolo Timoteo: “tendi alla giustizia […], alla carità”.

 

Il ricco epulone e Lazzaro sono il simbolo di due ordini di persone: i gaudenti materialisti ed egoisti che limitano il loro orizzonte alla sfera presente, e quelli invece che, nella loro povertà, conducono una vita orientata verso il vero destino dell’uomo. La colletta della messa ci invita a essere come questi ultimi quando ci fa chiedere a Dio la grazia affinché, camminando verso i beni da lui promessi, “diventiamo partecipi della felicità eterna”. E l’orazione sulle offerte afferma che la “sorgente di ogni benedizione”, non è da ricercarsi nei beni materiali, ma nell’eucaristia.

mercoledì 21 settembre 2022

LA SACRA RUOTA

 



 

Ben prima dei funerali della regina Elisabetta, seguiti in tutto il mondo da uno sproposito di persone, si sapeva che certi eventi e certe istituzioni si nutrono di riti pomposi, e che togliere solennità ai riti, persino a quelli profani significa togliere credibilità all’evento o all'istituzione. Immaginate se il giorno della sua incoronazione Carlo si mettesse in testa uno scolapasta, se al prossimo “red carpet” le dive sfilassero in pigiama, se il vincitore del Nobel andasse a ritirare il premio in tuta o se un prete dicesse Messa indossando un body da ciclista e, al posto della stola, una sciarpa arcobaleno. Quest'ultimo esempio non lo dovete più immaginare perché è accaduto davvero. Don Fabio Corazzina, prete bresciano pacifista e impegnato nel sociale, ha ritenuto di esprimere la sua vicinanza agli ultimi celebrando il Sacramento con i paramenti di un cronoman. Il suo vescovo lo ha sgridato, soprattutto per aver reso pubblica la prodezza su Facebook. Lungi da me l'intenzione di immischiarmi in beghe religiose, però mi rifiuto di etichettare come reazionario il pensiero di chi si è schierato col vescovo nel sostenere che la forma è anche sostanza. Nonostante tutte le nostre arie, restiamo degli esseri semplici e suggestionabili, che hanno bisogno di segnali esteriori con cui orientarsi. E non è un'opinione, ma un dato di fatto, che più la politica e la religione si fanno piccole per avvicinarsi alla gente, più la gente finisce per allontanarsi da esse.

 

Fonte: Massimo Gramellini (Il Caffè), Corriere della Sera, 21.09.2022

domenica 18 settembre 2022

LO SVUOTAMENTO DEI VALORI SPIRITUALI IN OCCIDENTE

 



 

Tra gli interventi nel VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e delle tradizioni spirituali, celebrato la settimana scorsa nella capitale del Kazakistan, merita la nostra attenzione quanto stato detto da parte islamica, mettendo in evidenza non solo il pericolo dell’estremismo che strumentalizza e viola la forma religiosa ma, soprattutto, l’attenzione alla propaganda aggressiva in Occidente sullo svuotamento del valori spirituali che tende a emancipare i cittadini dalla sensibilità e dall’osservanza religiosa deridendo il simbolismo rituale e il riferimento dottrinale ed esasperando una cultura alternativa allo statuto della famiglia naturale.

Fonte: Yahya Pallavicini, in Avvenire 16 settembre 2022, p. 5.

 

venerdì 16 settembre 2022

DOMENICA XXV DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 18 Settembre 2022

 



 

Am 8,4-7; Sal 112; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13

 

           

Per bocca del profeta Amos (prima lettura), il Signore giura che non dimenticherà mai le opere inique di coloro che erano a tal punto avidi e disonesti da attendere con ansia la fine dei giorni di festa per riprendere i loro perversi affari a danno dei clienti più poveri. Le parole del profeta sembrano dire esattamente il contrario di quanto si deduce dalla parabola dell’amministratore astuto riportata dal vangelo d’oggi. Infatti, le parole conclusive della parabola (“Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”) suscitano perplessità. Gesù propone come modello il comportamento di un amministratore disonesto, il quale davanti alla minaccia di perdere il posto non esita a falsificare i bilanci praticando sconti ai debitori del suo padrone in modo di assicurarsi poi da essi una qualche protezione. Notiamo però bene, Gesù non loda la disonestà di questo amministratore, ma la sua prontezza e scaltrezza nel prepararsi un futuro sicuro. E invita tutti gli onesti a fare altrettanto: “I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Sia il profeta Amos che Gesù ci esortano a vivere il presente guardando al futuro, a non malversare il tempo che ci viene dato per conquistare i beni eterni.

 

La nostra esistenza rischia di trascorrere come quella di bambini distratti mentre il tempo della vita scorre in fretta. Gesù biasima gli uomini indifferenti, flaccidi, amorfi, superficiali che troppo spesso costella il panorama della società del nostro tempo. Le parole di Gesù sono quindi un invito ad amministrare con saggezza e prudenza i talenti ricevuti, mettendo i beni sia materiali che spirituali al servizio del progetto che Dio ha sulla storia e sull’uomo. Gesù vuole scuotere la nostra inerzia orientando la vita di noi tutti verso i beni definitivi, verso il  traguardo della salvezza. E per portare a buon termine questo compito, ci viene ricordato che non possiamo “servire a Dio e la ricchezza”. Qui il testo evangelico chiama la ricchezza con un termine di origine fenicia “mammona”, quasi per indicare la personificazione idolatrica dei beni di questo mondo che ci potrebbero offuscare il cammino che conduce ai veri beni, quelli che arricchiscono presso Dio. Solo chi ha il cuore libero dalla ricchezza di questo mondo, può essere degno della ricchezza del Regno.

 

La preghiera, di cui parla la seconda lettura, è capace di incidere sui fatti della vita operando, alla luce della fede, un diverso approccio alle cose, una visione del mondo che ci aiuti a valutare le realtà della terra alla luce dei valori supremi e definitivi verso cui la nostra vita è protesa. Fedeli alla legge dell’incarnazione, preghiamo nella vita e con la vita, non fuggendo dal mondo degli uomini. Fedeli alla legge della risurrezione, indirizziamo la nostra preghiera verso la piena realizzazione del Regno. La celebrazione dell’eucaristia è una preghiera di lode i di ringraziamento per il dono supremo della salvezza in Cristo, che viene ripresentato qui per noi, affinché “la redenzione operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita” (orazione dopo la comunione).

domenica 11 settembre 2022

LITURGIA VIRTUALE?

 



 

In Ecclesia orans (Studi e ricerche/5) 2022, sono stati pubblicati gli Atti del XII Congresso Internazionale di Liturgia. Roma, Pontificio Ateneo sant’Anselmo – Pontificio Istituto Liturgico 20-22 ottobre 2021 su Liturgia virtuale?


Homo adorans in tempi di digitalizzazione? Prospettive teologiche su un’antropologia liturgica per il futuro (J. Geldhof).

¿Participación virtual – asamblea virtual? (G. Rosas Díaz).

Celebrare i sacramenti e i sacramentali: tra materialità e virtualità? (J. Rego Bárcena).

Liturgia registrata e trasmessa (P. Tomatis).

La respuesta litúrgica de la Iglesia en tiempos de epidemia (A. Esponera Cerdán.

The Sacred Gifts as a Means of Healing of the Body in Greek Liturgical Texts (V. Polidori).

La manducatio per visum: ¿el renacimiento de una espiritualidad medieval? (G. Seguí i Trobat).

Paraliturgie e pestilenze (XIII-XIV sec.) (C.U. Cortoni).

Digital Worship and Liturgical Pastoral Care in Times of Covid-19 Pandemic. Some Critical Remarks (H.-J. Feulner).

La Liturgie des Heures et “réunion virtuelle”: l’actuosa participatio revisitée (Th. Pott).

La liturgia de l’Église domestique. Une prière ecclésiale pour les familles d’aujourd’hui (H. Bricout).

Liturgia “virtuale”: la scelta pastorale di due Chiese locali africane (O.-M. Sarr).

Esperienze liturgiche durante la pandemia sul banco di prova: esempi della Boemia e della Germania settentrionale (R. Tichy – M. Tymister).

 

venerdì 9 settembre 2022

DOMENICA XXIV DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 11 Settembre 2022

 



 

Es 32,7-11.13-14; Sal 50; 1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32.

 

 

Il cap. 15 del vangelo di Luca, che leggiamo oggi, raccoglie tre bellissime parabole raccontate da Gesù per annunciare a tutti la misericordia di Dio: la pecora perduta, la moneta smarrita e il figlio prodigo. Il Signore con queste parabole intendeva rispondere alle mormorazioni dei farisei che non vedevano di buon occhio il fatto che egli ricevesse i peccatori e mangiasse con loro. Di queste parabole la più toccante è senza dubbio la parabola “del figlio prodigo”, oggi spesso e giustamente chiamata “del padre prodigo di misericordia”. In questa toccante parabola, esclusiva di san Luca, ci viene raccontato con quanta tenerezza un padre aspetta il figlio che se n’è andato attirato da un sogno di falsa libertà e di ingannevole felicità. Dopo un po’ di tempo, il figlio fuggito, ridotto alla fame e alla miseria, si è pentito di quello che ha fatto. Anche se il suo pentimento sembra abbia come movente principale la perdita della sicurezza economica, al suo ritorno alla casa paterna, viene accolto senza rimproveri, anzi con grande gioia dal padre che lo attendeva con trepidazione. Gesù rivela in questa parabola il vero volto di Dio: padre misericordioso che vuole solo il nostro bene, che è sempre pronto a perdonare.

 

Il tema della misericordia di Dio è anche quello della prima lettura, un brano tratto dal celebre racconto del “vitello d’oro”, vicenda paradigmatica del peccato d’Israele contro il suo Dio. Gli Israeliti, stanchi di un Dio misterioso, che non si vede, si costruiscono una divinità visibile e comoda, un vitello di metallo fuso, poi gli si prostrano dinanzi e gli offrono sacrifici. Il racconto conclude affermando che, nonostante le infedeltà d’Israele, Dio ascolta la preghiera d’intercessione di Mosè “si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”. Parlando con il nostro linguaggio, possiamo ben dire che in Dio la misericordia e l’amore appaiono infinitamente superiori alla giustizia.

 

La seconda lettura è una esaltazione commossa della misericordia di Dio fatta da san Paolo che, già anziano e incarcerato a Roma, rilegge all’indietro la propria vita, ormai tutta posta al servizio del vangelo: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia […] Io che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia”. Pure noi siamo stati oggetto della misericordia di Dio, anzi fatti partecipi della sua stessa vita, in modo particolare nell’eucaristia. Infatti, il perdono di Dio non è solo superamento del peccato e dell’esclusione, ma è anche e soprattutto ritorno alla comunione con lui e con i fratelli, il frutto specifico dell’eucaristia.

 

domenica 4 settembre 2022

“EROS” “PHILIA” “AGAPE”

 



 

Eros non è sinonimo di “amore”. Non esprime la relazione amorosa tra due persone ma solo l’impulso di una verso l’altra. Per indicare il rapporto di amore intenso, come scambio reciproco e vincolo di affetto, i greci usavano altri termini, philia e agape. Philia è parola complessa, dai significati multipli: spesso assume un valore analogo al nostro “amicizia” ma può indicare anche i sentimenti che legano due sposi o un genitore a un figlio. In tutti i casi, comunque, indica un rapporto di affetto, reciproco e liberamente scelto, tra due persone. L’analogo termine philotes ha invece in Omero, quasi sempre una caratterizzazione erotica: indica l’unione non solo affettiva ma anche sessuale tra due persone. “Unirsi nella philotes” è l’espressione tipica per indicare l’atto sessuale nei poemi omerici. Il sostantivo agape e il verbo agapeo sono, invece, termini che Gesù usa nei Vangeli quando parla di amore. Il celebre precetto “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,31) suona esattamente in greco, agapèseis ton plesion sou bos seautòn. “Dio è agape” si legge in 1Gv 4,16). […]

Da un lato, dunque, l’eros, come forza esterna e imposizione sovrannaturale, come tirannia oscura e temibile. Dall’altro l’agape, come libero e reciproco patto di affetto che unisce Dio alle sue creature e lega gli uomini tra loro. In un saggio del 1893, il filosofo statunitense Charles S. Pierce definirà “agapismo” la sua dottrina che vagheggiava un’idea di amore e armonia universale. […]

Tuttora in greco moderno, “Ti amo” si dice Se agapò.

 

Fonte: Giorgio Ieranò, Le parole della nostra storia. Perché il greco ci riguarda, Marsilio 2022, pp. 33-35.

venerdì 2 settembre 2022

DOMENICA XXIII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 4 Settembre 2022

 



 

 

Sap 9,13-18; Sal 89; Fm 9b-10.12-17; Lc 14,25-33

 

                   

Se vogliamo trovare un concetto che riassuma il messaggio delle letture bibliche odierne, possiamo dire che la parola di Dio ci propone una precisa scala di valori con la quale misurare e verificare la realtà ed essere quindi in grado di fare delle scelte sapienti. Dice Gesù nel vangelo: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. Queste parole si trovano nel contesto di una serie di affermazioni del Signore che intendono illustrare il carattere radicale che comporta la scelta di colui che intende diventare discepolo di Gesù. Diventare discepolo di Gesù, essere cristiano significa fare una precisa scelta di campo. Gesù vuol essere scelto come valore assoluto e determinante della vita del discepolo. La serietà della sequela di Gesù comporta un investimento di tutto il proprio essere a livello esistenziale; è quindi una scelta che la si può portare a termine solo se si è disposti a una totale donazione di sé, un totale amore per il Cristo; è una scelta che richiede una totale libertà interiore.

 

Il messaggio evangelico sconvolge i nostri abituali schemi mentali. Come è stato per Filèmone, un ricco signore, divenuto cristiano per opera di Paolo che lo chiama suo diletto e suo collaboratore (cf seconda lettura). L’apostolo si rivolge a questo suo discepolo e gli chiede che accolga Onèsimo, schiavo che era fuggito da Filèmone rubandogli del denaro, e lo riceva “non più però come schiavo” ma “come un fratello carissimo”. Ciò che Paolo chiede a Filèmone è un grosso strappo con la mentalità e il diritto del tempo. E tutto questo in fedeltà ai valori del Vangelo. Prima e fondamentale conseguenza della sequela è la scoperta che nel Cristo siamo e diventiamo tutti fratelli. Paolo non affronta direttamente il problema della schiavitù; pone però principi e gesti concreti che sono in grado di contestare ed eliminare ogni ingiustizia e quindi la stessa schiavitù.

 

Ma come è possibile conformare la nostra vita alla logica del Vangelo, alla scala di valori proposta da Gesù? La prima lettura è un brano di una meditazione di Salomone sull’incapacità dell’uomo a capire la volontà di Dio. Nella ricerca di Dio la nostra mente si perde negli spazi infiniti di un mistero che l’intelligenza umana non riesce a contenere. I pensieri di Dio non coincidono con quelli degli uomini: tra loro c’è una differenza abissale. E’ quello che si percepisce quando si intende cogliere il messaggio radicale del Vangelo e la scala di valori in esso racchiusa. Come l’autore del brano della Sapienza, anche noi dobbiamo porci umilmente di fronte a questo mistero per poter accogliere l’unica parola che illumina e che salva. E’ Dio stesso che ci guida con la sua Sapienza, e cioè con lo Spirito di Cristo che ci è stato dato. Cristo, Sapienza del Padre, si comunica a noi soprattutto “alla mensa della parola e del pane di vita” (orazione dopo la comunione).