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domenica 28 gennaio 2024

SACRO E PERICOLO

 



In tutta la cultura ebraica sacro e pericolo sono legati a doppio filo. Nella tradizione si dice che la Bibbia “brucia le mani” e che le lettere sulle pagine sono “fuoco nero su fuoco bianco”. Ancora oggi, in sinagoga non si usa toccare i rotoli della Toràh con le mani. Per tenere il segno o indicare una parola si usa una bacchetta con la punta a forma di mano, che infatti si chiama iad, “mano”. Dentro la Bibbia, poi, è piantata la parola più sacra e, quindi, più pericolosa: il tetragramma. Il nome di Dio composto da quattro consonanti. Anticamente veniva pronunciato una sola volta all’anno, durante la ricorrenza più solenne: Iom Kippùr, il Giorno dell’espiazione. Lo faceva il sommo sacerdote nella parte più interna del tempio di Gerusalemme, alla quale solo lui aveva accesso, mentre fuori gli shopharìm, i corni d’ariete sonavano a tutto volume perché nemmeno potesse udirlo. Non solo: il sommo sacerdote entrava nel cuore del tempio con una corda legata a una caviglia, per poter essere trascinato fuori precipitosamente se qualcosa fosse andato storto. Pronunciare il nome di Dio: un atto rischioso fino alla fatalità. Questo è il motivo per cui spesso nella Bibbia ebraica il tetragramma non e vocalizzato. L’alternativa consiste nel vocalizzarlo con le vocali di un’altra parola al posto delle sue: Adonài, Signore. Si tratta di una indicazione per il lettore: “Invece di pronunciare il tetragramma sacro, leggi Adonài”.

Fuori dall’ambito della lettura biblica, gli Ebrei solitamente sostituiscono il nome di Dio con l’espressione Hashèm, che significa semplicemente “quel nome”.

Spesso la religione viene presentata come un ambito protettivo, un rifugio dentro il qual sentirsi sicuri. La solidità dei sani principi, il conforto della tradizione, la consolazione che deriva da un’antica saggezza. Forse le istituzioni sacre col tempo subiscono una trasformazione chimica da conduttori a isolanti. Il fatto è che dove non c’è un terrificante pericolo, non c’è neppure vera sacralità. Almeno, questo è ciò che racconta la Bibbia.

 

Fonte: Roberto Mercadini, La donna che rise di Dio e altre storie della Bibbia, Rizzoli 2023, pp.112-114.

 

 

 

venerdì 26 gennaio 2024

DOMENICA IV DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 28 Gennaio 2024

 


 


 

Dt 18,15-20; Sal 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28.

 

Come Israele nel deserto, anche noi siamo in cammino verso una terra promessa. In tutte le circostanze della vita, nelle gioie e nelle privazioni, nel lavoro e nel riposo, nel rischio e nella tentazione, soltanto la luce e la forza della fede possono aiutarci a realizzare pienamente il nostro esodo verso la nuova Gerusalemme, verso la patria celeste. Ecco perché proclamiamo che il Signore è “la roccia della nostra salvezza”. La parola di Dio illumina i sentieri del nostro pellegrinaggio. Per questo, il salmo responsoriale ci invita a non chiudere il cuore alla voce del Padre che conduce e protegge “il popolo del suo pascolo” nel cammino della vita.

 

La prima lettura contiene una promessa divina annunziata da Mosè: Dio non farà mai venir meno il dono della profezia in Israele attraverso la parola di molti nei quali questo dono s’incarnerà. Il profeta promesso è il Messia che porterà a Israele la parola definitiva di Dio, una parola detta con autorità, con la stessa efficace di quella di Dio. Quindi dopo Mosè e gli altri profeti Dio invierà il suo profeta per eccellenza, Cristo Gesù: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2).

 

Il brano evangelico parlando degli inizi del ministero di Gesù a Galilea, nota lo stupore suscitato dal suo insegnamento. L’evangelista ci invita ad accompagnare, per una intera giornata, Gesù e i discepoli che egli ha appena scelto. E’ un giorno di sabato, a Cafarnao. Gesù va alla sinagoga e si mette ad insegnare. Marco non riferisce nessuna parola del predicatore, ma annota che parla come uno dotato di una sorprendente autorità e che fin da quel primo giorno, guarisce un uomo “posseduto da uno spirito impuro”. La missione di Gesù è come quella dei profeti, che insegnavano a nome di Dio e quindi con l’autorità che veniva da lui. L’autorità con cui parla Gesù si manifesta nell’efficacia della sua parola. Se ne ha una conferma nell’episodio di liberazione dell’indemoniato. L’effetto della parola di Gesù è immediato: “E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”. Dunque l’autorità di Gesù coincide con l’efficacia della sua parola che libera e risana. Gesù si mostra potente e vincitore contro le forze che schiavizzano l’uomo.

 

Gesù è venuto a strapparci dalle forze del male. In Gesù ci viene offerto un segno chiaro: Dio impegna se stesso fino in fondo per la nostra felicità. Per questo il suo Figlio si è fatto uomo. Per questo non esiterà a lottare a mani nude contro ogni cattiveria e contro ogni odio, contro ogni banalità e contro ogni menzogna. Fino a venir condannato a morte. Fino a versare il suo sangue. Una storia di amore che per noi si rende presente in ogni celebrazione eucaristica. 

 

domenica 21 gennaio 2024

IL PERICOLOSO FASCINO DEL SACRO

 



 

Il nostro dovere di sostenere il mondo e di collaborare alla pace e alla gioia esige la capacità di fare il primo passo. Sta a noi farlo, rinunciando a tutto quello che ci sembra giusto dover sospendere per preparare tempi non solo meno faticosi ma possibilmente nuovi. Un passo è quello di resistere alla fascinazione del sacro per entrare, con decisione e generosità in un processo di purificazione della fede. La fascinazione del sacro è assai potente nella vita degli uomini e delle donne del passato, ma anche del presente. Sta alla base di molti atteggiamenti e posture tradizionaliste che confondono, appunto, l’attrazione sacrale con il cammino di santità, dimenticando che questo è il punto fondamentale dell’annuncio escatologico di Gesù di Nazaret e del suo conflitto con la classe sacerdotale. Alla domanda “di uno dei suoi discepoli, ‘mentre usciva dal tempio’, Gesù risponde in modo secco: ‘Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta’” (Mc 13,1-2).

 

Il “sacro” privilegia, fino a sancire, la fissità e l’intoccabilità di persone, cose e gesti. Il dinamismo della santificazione è un processo che anima e trasfigura continuamente le persone, le cose e i gesti della vita quotidiana e, soprattutto, di tutto ciò che favorisce la relazione di cura tra le persone. Il sacro separa e isola, trasferendo, una volta per sempre e per tutte, le persone con le cose e i gesti in un mondo a parte percepito come incomunicabile, oltre che inattingibile. Il dinamismo della santificazione, di cui i sacramenti sono attuazione, irrompe continuamente nel reale quotidiano e persino banale della vita concreta, conferendole così un’anima, un respiro, una speranza.

 

È sempre più urgente offrire gli strumenti rituali muniti di intelligenza spirituale, perché ogni uomo e donna viva personalmente un’esperienza di salvezza anche in modo singolare, senza regressioni sacrali tanto fascinose quanto rovinose. Non si tratta certo di relativizzare la grazia del sacramento, ma di renderla efficace in modo più esistenzialmente ampio e profondo attraverso la dilatazione del cuore.

 

 

Fonte: Fratel MichaelDavide, La Chiesa che morirà. L’arte di raccogliere i frammenti per impastare nuovo pane, San Paolo, Cinisello Balsamo 2023, pp. 47-48 e 55-56.

venerdì 19 gennaio 2024

DOMENICA III DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 21 Gennaio 2024 Domenica della Parola

 


 

 

Gn 3,1-5.10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,4-20.

 

Siamo consapevoli che è Dio stesso colui che ci guida nella sua verità e ci indica la “via giusta” da seguire. Il tema della via giusta fa riferimento al tema centrale di questa domenica: la conversione.

 

Domenica scorsa abbiamo visto che Dio ci si manifesta e chiama ciascuno di noi per nome. Oggi ci viene proposto il contenuto fondamentale di questa chiamata. Nel brano evangelico, san Marco riassume la predicazione di Gesù con queste parole: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. La chiamata che Dio rivolge a tutti noi è un pressante invito alla conversione e alla fede. Le altre due letture d’oggi illustrano i due motivi per cui è necessaria questa conversione. San Paolo fa un forte richiamo alla precarietà della condizione terrestre delle cose: “il tempo si è fatto breve”. Da parte sua, il profeta Giona ci ricorda che la conversione è necessaria per evitare il giudizio di condanna da parte di Dio. L’invito di Dio a mutare vita non è caduto invano per i niniviti che ascoltarono le parole del profeta, fecero penitenza e furono salvi. Così pure l’invito di Gesù è stato prontamente accolto da Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni che, lasciate le reti e il loro padre, “lo seguirono”.

 

Gesù introduce l’invito alla conversione con le parole “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”. Abbiamo visto che anche san Paolo parla di un tempo ormai fattosi breve. Ci possiamo domandare cosa significano queste affermazioni e perché sono presentate come qualcosa che invita alla conversione. L’affermazione di Gesù sul tempo compiuto presuppone un progetto di Dio che si compie appunto nel tempo: c’è quindi un tempo dell’attesa o della preparazione, ed un tempo del compimento o della realizzazione. Ebbene, con l’incarnazione del Figlio di Dio, il progetto del Padre annunciato dai profeti dell’Antico Testamento si è compiuto: il “regno di Dio” è vicino. Vicino è ciò che incomincia già a influire sulla vita degli uomini e con cui essi si devono misurare. Il progetto che Dio ha nella storia è il “regno di Dio”, il quale intende ristabilire la sovranità di Dio e quindi un nuovo rapporto tra Dio e gli uomini. Ciò significa che non possiamo più continuare a vivere  secondo la scala di pseudo-valori. Il messaggio viene rivolto a tutti noi: dobbiamo cambiare di rotta e indirizzare la nostra vita verso i valori di vita proposti dal Vangelo, che è la buona novella o il lieto annunzio della salvezza che Gesù porta all’umanità. L’invito a “convertirsi” e a “credere” al Vangelo non sono due realtà separate: non c’è fede senza vita morale e non c’è morale cristiana che non sia fondata nella fede. Credere vuol dire abbracciare l’intero messaggio portato da Cristo e renderlo programma del proprio pensare, del proprio amare e del proprio agire.

 

L’eucaristia a cui partecipiamo ogni domenica è un traguardo della conversione e della fede. Essa è però anche un rilancio su questa via perché è “sorgente inesauribile di vita nuova” (preghiera dopo la comunione).

 

 

domenica 14 gennaio 2024

IL CARD. SARAH CONTRO “FIDUCIA SUPPLICANS”

 



 

Dichiarazione “Fiducia supplicans” sul senso pastorale delle benedizioni del Dicastero per la Dottrina della Fede, 18.12.2023:

31. Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio. In questi casi, si impartisce una benedizione che non solo ha valore ascendente ma che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo. Queste forme di benedizione esprimono una supplica a Dio perché conceda quegli aiuti che provengono dagli impulsi del suo Spirito – che la teologia classica chiama “grazie attuali” – affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino.

 

Card. Robert Sarah nella sua invettiva contro la dichiarazione “Fiducia supplicans” critica il testo sopra citato con le seguenti parole:

La dichiarazione “Fiducia supplicans” scrive che la benedizione è invece destinata alle persone che «mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo» (n. 31). Ma cosa c’è di buono, di vero e di umanamente valido in una relazione omosessuale, definita dalle Sacre Scritture e dalla Tradizione come una depravazione grave e “intrinsecamente disordinata”?

Fonte: https://www.diakonos.be/fiducia-supplicans-il-cardinale-sarah-ci-opponiamo-a-uneresia-che-mina-gravemente-la-chiesa/ 

 

Il Card. Sarah si domanda “cosa c’è di buono, di vero e di umanamente valido in una relazione omosessuale…?”. Noto che il documento non parla della “relazione” omosessuale, ma di “coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo [di Dio] aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo”. Poi, è assurdo affermare che nella vita di coloro che si trovano in situazioni irregolari, tutto sia segnato dal peccato e non ci possa essere invece qualcosa “di vero di buono e di umanamente valido presente nella loro vita e relazioni”.   

 

 

venerdì 12 gennaio 2024

DOMENICA II DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 14 Gennaio 2024

 



 

1Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42.

 

Dio si presenta nella nostra vita come un vero interlocutore che ci chiama per nome. Questo è il messaggio che emerge dalle letture bibliche odierne. La prima lettura racconta la vocazione di Samuele alla missione profetica e sacerdotale. Vediamo che il giovane Samuele viene chiamato di notte. Aiutato dal suo maestro Eli, egli discerne in quella voce la chiamata di Dio. L’atteggiamento del giovane è di piena disponibilità: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Tutta la vita di Samuele sarà poi contrassegnata da questa apertura alla parola di Dio: egli “non lasciò andare a vuoto una sola delle sue [del Signore] parole”.

 

Il brano evangelico ci parla della vocazione di due discepoli di Giovanni Battista che, spronati dalle parole del Precursore che indica in Gesù il Messia atteso, si mettono alla sua sequela. Uno di questi due, Andrea, si fa portavoce dell’avvenuto incontro con Pietro, suo fratello che diviene anch’egli discepolo di Gesù. Anche qui c’è prontezza nella risposta alla chiamata, la quale arriva attraverso delle mediazioni, quella di Giovanni prima e quella di Andrea poi.

 

La Lettera agli Ebrei interpreta i vv.7-9 del salmo responsoriale come riferiti a Gesù, il quale all’inizio della sua esistenza esprime con le parole del salmo una totale disponibilità a portare a termine il disegno che il Padre ha su di lui a servizio degli uomini. Anche noi, sulle orme di Samuele, degli apostoli e, soprattutto, di Gesù, siamo chiamati a vivere in atteggiamento di continua disponibilità al volere di Dio: “Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà”. San Paolo ci ricorda nella seconda lettura che apparteniamo a Cristo, anzi “il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo”. L’apostolo aggiunge che non si deve tradire la propria vocazione cristiana alienando al Cristo la nostra esistenza e vendendola all’impudicizia. La vocazione cristiana abbraccia e coinvolge non solo l’anima e lo spirito ma anche il nostro corpo. Il corpo, infatti, non è altro che l’uomo stesso in quanto vive e opera nel mondo ed è questo essere umano che è toccato dalla redenzione di Cristo.

 

La chiamata di Gesù non si esaurisce nel primo incontro con lui attraverso l’atto di fede. Egli ci parla continuamente attraverso molteplici mediazioni. Quindi la fedeltà alla prima chiamata dev’essere continuamente confermata e si deve manifestare anche nella concreta disponibilità a testimoniare la nostra fede. Abbiamo visto che colui che sceglie di seguire Cristo diventa anche suo testimone. Chi ascolta solo se stesso o i miti del mondo, chi pensa di avere già trovato la verità, di sapere tutto sul senso della vita, chi pensa solo ai soldi, alla carriera, alla salute, certamente costui non afferra che ci possa essere una parola diversa, superiore, capace di cambiare e arricchire sempre più la sua esistenza.

 

domenica 7 gennaio 2024

IL SIMBOLO APOSTOLICO RISCRITTO

 



Credo in Dio

Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe

Dio di Gesù Cristo.

Credo in Dio Padre Madre amorevole

fonte della vita

misericordioso

fedele.

Credo in Gesù Cristo

stupore dallo Spirito

figlio di Maria,

nostro fratello.

Lieto annuncio del regno

riscatto ai poveri libertà ai prigionieri

giustizia agli oppressi speranza agli afflitti

a tutti pace.

Segno di contraddizione

ha condiviso in tutto la condizione umana

ha patito e stato crocifisso

morì fu sepolto.

Risuscitato dai morti

Signore della vita

ce ne affida la cura.

Nella sua umanità vivente

ritornerà alla fine della storia

rivelando pienamente l’uomo all’uomo.

Credo nello Spirito Santo

respiro consolatore di Dio

principio di nuova creazione

dono dei doni artefice di unità.

Da lui la chiesa corpo vivo di Cristo

donne e uomini testimoni dell’agire di Dio

profezia nella storia

popolo di santi e peccatori

la remissione dei peccati

comunione nella grazia

reciproco perdono

la risurrezione di questo corpo

per la gioia ininterrotta della vita.

Amen.

 

Riscritto dalla Società italiana per la ricerca teologica (SIRT) dopo uno studio più che decennale sui diversi articoli del simbolo apostolico.

Fonte: Cettina Militello, Le chiese alla svolta. Ripensare i ministeri, EDB 2023, pp. 104-105.

 

sabato 6 gennaio 2024

DOMENICA DOPO L’EPIFANIA: BATTESIMO DEL SIGNORE ( B ) 7 Gennaio 2024

 



 

 

Is 55,1-11; Is 12,2-6; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11

 

Gesù si sottomette al battesimo penitenziale proposto da Giovanni Battista non certo perché avesse bisogno di purificarsi, ma per esprimere la sua piena solidarietà con gli uomini e donne alla ricerca di Dio e per anticipare il nuovo battesimo nello Spirito che avrebbe sostituito quello di Giovanni. Il battesimo di Gesù è da leggersi quindi nel contesto del mistero dell’Incarnazione che abbiamo celebrato nel periodo appena trascorso. Infatti, il battesimo di Gesù esprime la piena immersione del Figlio di Dio nella nostra condizione umana, affinché noi tutti possiamo essere rinnovati a sua immagine. Nelle acque del Giordano si rivela in pienezza il senso ultimo della realtà e della missione di Gesù, della sua persona e della sua vocazione. Non si tratta soltanto dell’inizio del suo ministero; è anche la rivelazione della sua presenza trascendente incarnata nella trama della storia umana, mistero che si è consumato nell’evento della morte e risurrezione del Signore. 

 

Il battesimo d’acqua al quale Cristo si sottomette si riallaccia al suo dovere essenziale: quello della morte e della risurrezione, di cui è un primo abbozzo. Gesù sperimenta la sua morte e risurrezione con l’immersione e l’emersione battesimale. “Uscendo dall’acqua vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba”. Al tempo stesso si sentì la voce del Padre: “Tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiaciuto”. La riflessione susseguente collegherà la benevolenza del Padre e l’effusione dello Spirito alla glorificazione di Gesù. Perciò il racconto del battesimo di Gesù rievoca anticipatamente tutto il dramma della redenzione e ci permette di vedere nel sacramento dell’acqua l’estensione su di noi dell’avvenimento decisivo della morte e risurrezione di Gesù. Ciò è confermato dal testo denso e profondo della seconda lettura, in cui l’evangelista Giovanni ricorda che Gesù “è venuto con acqua e sangue”, e cioè con l’acqua del suo battesimo e col sangue della sua morte in croce. Ma l’apostolo aggiunge che ora, nel tempo presente, “tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue”. In parole più semplici, possiamo dire che il dono dello Spirito che riceviamo nel battesimo fa riferimento sia all’acqua del battesimo di Cristo che al sangue della sua morte in croce. La prima lettura, interpretata alla luce del salmo responsoriale, è un invito ad attingere acqua a questa sorgente della salvezza.

 

Gesù è stato al tempo stesso servo e figlio. Servo fino al punto di dare la sua vita per noi; figlio che ha compiuto con immenso amore ogni suo gesto di servizio. Nel Figlio, anche noi siamo diventati per mezzo del battesimo figli per adozione. Perciò pure la nostra vita dev’essere contrassegnata dall’atteggiamento di servizio o, come dice Giovanni nella seconda lettura odierna, dalla pratica della legge dell’amore come legge autentica di libertà.

 

 

giovedì 4 gennaio 2024

EPIFANIA DEL SIGNORE – 6 Gennaio 2024

 



 

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

 

Possiamo stabilire un raffronto tra il racconto di san Luca (2,8-20), che abbiamo letto nella notte di Natale e nella Messa dell’aurora, in cui l’evangelista parla dei pastori che si recano a Betlemme perché un angelo è apparso loro e ha detto che nella città di Davide è nato il Cristo Salvatore, e il racconto di san Matteo sui Magi proposto come brano evangelico del giorno dell’Epifania. Dal confronto, è facile capire che la stella apparsa ai Magi ha lo stesso compito dell’angelo apparso ai pastori. Non soltanto la gente povera e semplice è invitata dal cielo ad incontrare il Signore, ma anche i Magi, cioè i sapienti dell’epoca e per di più stranieri; anzi, anche ai sacerdoti e agli scribi di Gerusalemme, e persino allo stesso Erode viene dato l’annunzio. San Leone Magno in una delle sue omelie per l’Epifania, riportata dall’Ufficio delle letture d’oggi, afferma che “celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti”. È questo il messaggio dell’Epifania.

 

La prima lettura è tutta incentrata sulla città di Gerusalemme, non tanto come realtà urbana, quanto come comunità dell’alleanza. Da essa sorgerà la luce che splenderà agli occhi di tutti i popoli e li attirerà a sé. Ancora segnato dal particolarismo religioso, il testo d’Isaia, accostato a quello della lettera agli Efesini, proposto dalla seconda lettura, acquista tutto il suo significato profetico: tutte “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. L’Epifania del Signore è fondamento ed esigenza dell’annuncio del vangelo a tutti i popoli, ai quali ormai è aperto l’accesso al Regno.

 

I Magi che vengono dall’Oriente accolgono l’annuncio. I sacerdoti e gli scribi di Gerusalemme restano distratti. Il re Erode trama segretamente di sopprimere il bambino. Il contrasto è violento e chiaramente intenzionale: con esso l’evangelista vuole mostrare come anticipato fin dalla nascita di Gesù il rifiuto dei giudei, e quindi la necessità di affidare ad altri, ai gentili, il Regno. L’Epifania è già un primo squarcio di luce che lacera il velo del tempio che separava e nascondeva il “Santo dei santi”. La lacerazione di quel velo sarà totale e definitiva nell’evento pasquale, quando l’urto dell’onda luminosa del Risorto romperà le anguste barriere di separazione tra cielo e terra, tra vita e morte, tra uomo e uomo. L’Epifania, come il Natale, è il primo bagliore di una Pasqua ormai annunciata.

 

Dio continua a manifestarsi per la salvezza di tutti. Solo chi vive nella disponibilità della fede e nell’attenzione ai segni dei tempi, riesce a superare i momenti bui della vita e giunge a incontrare il Signore. I Magi sono il simbolo di tutti coloro che affrontano un lungo percorso ad ostacoli senza cedere ai tentativi di depistaggio o disorientamento, senza lasciarsi catturare dagli ambigui sorrisi del potere.

 

I doni che i Magi offrono a Gesù bambino sono simbolo della nostra offerta eucaristica. Nella messa non offriamo più oro, incenso e mirra, ma colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo nostro Signore. La celebrazione eucaristica fa parte della nostra risposta fondamentale alla manifestazione di Dio nel Cristo, e postula ancora, di natura sua, la risposta di tutta la vita vissuta.