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venerdì 30 dicembre 2022

MARIA SS. MADRE DI DIO – 1 Gennaio 2023

 



 

Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2, 16-21

 

Il Sal 66 esprime la gioia del contadino palestinese che, da una terra avara, ha ottenuto il dono delle messi, segno sperimentabile della benedizione divina. Il salmo diventa poi un inno di ringraziamento corale per i doni divini in genere. La liturgia del primo giorno dell’anno riprende questo inno nella sua parte più universalistica in cui si parla di una presenza benedicente di Dio che abbraccia tutti i popoli della terra: “…perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti”. La nostra vita, che oggi inizia una nuova tappa, è veramente benedetta da Dio nella misura in cui è illuminata dallo splendore del volto di Dio.

Il primo giorno dell’anno è carico di diversi significati: l’inizio dell’anno, l’ottava del Natale, la solennità di Maria SS. Madre di Dio e la giornata mondiale della pace. Nello sfondo di queste varie tematiche, la celebrazione della divina maternità di Maria appare più luminosa ed esaltante, dalle risonanze cosmiche. Generando il Salvatore, Maria si pone al centro della storia dell’umanità, tracciando per tutti noi gli itinerari non soltanto della nostra crescita spirituale, ma anche semplicemente umana. La benedetta fra tutte le donne, ci ha donato Gesù, frutto benedetto del suo seno, primogenito fra molti fratelli, Cristo “nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva” (Ef 2,14). In questo modo, anche noi siamo diventati, per opera dello Spirito, figli ed eredi, e la nostra vita è nel segno della benedizione divina di cui la pace è frutto prezioso.

 

La prima lettura riporta la formula di benedizione che il sommo sacerdote doveva pronunciare su Israele al termine delle grandi feste liturgiche e, particolarmente, della festa del nuovo anno. Quest’antica benedizione sacerdotale fa perno sul nome del Signore, richiamato per tre volte, e pone questo nome sugli Israeliti. “Porre il nome” vuol dire stabilire una relazione con la persona. La benedizione è il riconoscimento che ogni bene viene da Dio e dipende da una vita di comunione con lui. Segno manifestativo delle benedizioni divine è la pace: Dio benedice il suo popolo e lo conduce alla pace. Il pieno compimento della benedizione si ha in Gesù Cristo. Egli è la stessa benedizione: è il grande dono del Padre agli uomini, da cui vengono tutti gli altri doni. San Paolo lo illustra a modo suo nella seconda lettura quando afferma che in Cristo abbiamo ricevuto “l’adozione a figli”; non siamo quindi più schiavi, ma figli. Possiamo diventare consapevoli della nostra condizione filiale perché ci è stato donato lo Spirito Santo, che plasma interiormente in ognuno di noi i lineamenti del Cristo, il Figlio primogenito. Questo mistero è stato possibile ed è reso visibile perché, “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna”. In questo modo, la maternità di Maria accresce la propria realtà dandosi a vedere quale “madre del Cristo e di tutta la Chiesa” (orazione dopo la comunione). Maria viene poi proposta come esemplare di accoglienza delle benedizioni divine donateci in Cristo: nel brano del vangelo essa appare come colei che serba e medita nell’interiorità del cuore tutti gli eventi che riguardano il figlio. Da madre si fa anche prima discepola fin da ora, custodendo nel cuore il mistero del figlio.

 

Nel primo giorno dell’anno è naturale spingere lo sguardo in avanti, verso quel che ci aspetta, con le attese che ogni inizio porta con sé. L’eucaristia del primo giorno dell’anno al tempo stesso che ci pone in atteggiamento di riconoscenza per i doni ricevuti da Dio, di cui Cristo è il dono più prezioso, ci rassicura che ogni giorno del nuovo anno, ogni giorno della nostra vita sarà sempre un dono prezioso della grazia divina.

mercoledì 28 dicembre 2022

SANTA FAMIGLIA DI GESU’ MARIA E GIUSEPPE (A) – Festa 30 Dicembre 2022

 



 

Sir 3,2-6.12-14; Sal 127; opp. Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23

 

La parola che potrebbe sintetizzare l’insegnamento dei testi della Scrittura che abbiamo ascoltato è una parola che non è oggi di moda: “obbedienza”. La prima lettura è un brano del libro del Siracide che, rielaborando motivi di saggezza popolare, parla dei rapporti tra genitori e figli. Sulla stessa linea si muove l’esortazione di san Paolo ai Colossesi, da cui è tratta la seconda lettura: i figli devono onorare, obbedire i propri genitori, ed essi non devono esasperare i loro figli. C’è quindi anche un’obbedienza dei genitori che è obbedienza a Dio per il bene dei figli. Così vediamo nel racconto evangelico della fuga in Egitto che san Giuseppe fa quello che gli comanda Dio per mezzo dell’angelo e lo compie per la salvezza del bambino, perché ha paura di ciò che potrebbe capitargli di male. Nelle sue scelte, quindi, san Giuseppe è del tutto subordinato al bene del bambin Gesù di cui è padre putativo. Questi testi ci ricordano che paternità, maternità, figliolanza hanno tutte origine da Dio. Quando i rapporti familiari sono vissuti nell’ascolto della volontà di Dio, della sua parola, i vari ruoli familiari vengono liberati dai meccanismi dell’egoismo per lasciare spazio al vero amore. La famiglia cristiana dovrebbe essere un vangelo vivente, una buona notizia capace di trasmette un forte messaggio di speranza all’umanità.

 

La nostra cultura sembra oggi molto cambiata e ci appare più complessa rispetto alla visione dei rapporti familiari che emerge da questi antichi testi. C’è però nel messaggio biblico sull’obbedienza un aspetto di grande e perenne attualità. È stato notato, infatti, che nella lingua ebraica non esiste la parola “obbedire”. Per esprimere questa nozione si usa spesso il semplice verbo “ascoltare”. Obbedire nella Bibbia vuol dire quindi anzitutto dare ascolto. Solo chi dà ascolto all’altro è capace di capirlo, rispettarlo, aiutarlo, ed è quindi capace di crescere e costruire insieme con l’altro una vita armoniosa. Non si tratta di un ascolto semplicemente formale, ma di una vera accoglienza dell’altro nella propria vita. Dare ascolto a chi mi è vicino, ma soprattutto dare ascolto a Dio nel cui disegno posso in qualche modo capire il mistero dell’altro, di colui che come me è un figlio di Dio, amato e redento dal sangue di Cristo. Attraverso una comprensione sempre più piena dell’amore di Dio per noi, diventerà sempre più chiara la percezione della sua volontà di amore su di noi. 

 

Nella Sacra Famiglia la Chiesa ci propone un esemplare di vita familiare, anzi di vita in comune, non modellato sui criteri del benessere economico o del prestigio sociale ma sui valori che scaturiscono dalla fede in Dio. Il modello proposto, poi, trascende i limiti della famiglia come istituzione umana per proiettarsi sui rapporti interpersonali che intercorrono tra gli esseri umani nella vita sociale, nella Chiesa, in ogni singola comunità. La casa di Nazaret è una scuola di vita in comune valida per tutti i tempi e per tutte le culture.

 

lunedì 26 dicembre 2022

IL VATICANO II E L’ARCHITETTURA SACRA

 



 

Fernando López-Arias, El Concilio Vaticano II y la arquitectura sagrada. Origen y evolución de unos principios programáticos (1947-1970) (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” – “Subsidia” 199), CLV Edizioni Liturgiche, Roma 2021. 430 pp. (€ 45,00).

 

Gli ultimi 60 anni sono stati testimoni di un cambiamento generale nella forma dell'edificio di culto cattolico in tutto il mondo. Questa trasformazione viene solitamente attribuita all'evento più significativo della Chiesa del secolo scorso: il Concilio Vaticano II (1962 1965). La nostra ricerca vuole avvicinarsi all'evento conciliare dal punto di vista del luogo di culto cercando di rispondere ad alcune domande a proposito delle quali si è scritto e detto molto negli ultimi decenni. Il Concilio ha avuto un’idea concreta di come dovrebbero essere le chiese? Intendeva che gli edifici di culto fossero costruiti in un certo modo? Nelle pagine di questa monografia ci concentreremo sul momento che consideriamo chiave di questo processo: il periodo tra il 1947 e il 1970, delimitato dall'enciclica Mediator Dei di Pio XII (1947) e dal Messale di Paolo VI (1970). La ricerca adotta un approccio multidisciplinare, considerando aspetti di natura storica, teologica, liturgica e artistica. La novità più rilevante di questo studio consiste nel lavorare direttamente con fondi d'archivio, molti dei quali inediti, che ci permetteranno di ricostruire l'iter di redazione dei principali documenti della Chiesa che saranno sottoposti al nostro esame. Un altro valore aggiunto è aver contato sulla preziosa testimonianza orale di alcuni dei protagonisti diretti di questa cronaca. In questo modo racconteremo una storia finora in gran parte sconosciuta, essendo in grado così di rispondere con rigorosità alla domanda sulla chiesa - edificio “che voleva il Vaticano II”.

 

(Quarta di copertina)

venerdì 23 dicembre 2022

NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2022 Messa del giorno

 




 

Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

 

Nel Natale di Cristo, la Chiesa ci invita a lodare con le parole profetiche del salmo 97 il Signore che ha compiuto prodigi e ha manifestato la sua salvezza e il suo amore per la casa d’Israele. Nel bambino di Betlemme questa salvezza si è manifestata, non solo ad Israele, ma a tutti gli uomini e donne della terra che possono ormai contemplarla e accoglierla. L’ingresso del Salvatore nel mondo e nella storia provoca un sussulto di felicità in tutti e in tutto. La gioia del Natale però sarebbe superficiale se non fosse fondata sulla contemplazione del mistero natalizio alla luce della fede. Ecco perché in questa messa del giorno siamo invitati a contemplare, guidati dalla parola di Dio, le profondità di questo mistero.

 

La prima lettura riporta un brano del Secondo Isaia, l’anonimo annunziatore del ritorno di Israele dall’esilio di Babilonia. Il profeta parla di un messaggero che annunzia pace, felicità, salvezza. Questa missione, nel Nuovo Testamento, Gesù l’attribuirà a se stesso (cf. Lc 4,43). La seconda lettura conferma che Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio. La lettura evangelica è presa dal grandioso prologo al vangelo di Giovanni. Vale la pena di concentrare la nostra attenzione su questo sublime brano. Giovanni annunzia che il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi; ma al tempo stesso annunzia che tutti coloro che accolgono questo bambino, il Figlio di Dio fatto carne, ricevono anch’essi il potere di diventare figli di Dio. In Cristo ci viene offerta la possibilità di una nuova origine, non più fondata sul sangue e sulla carne, ma su Dio stesso. Il mistero del Natale riguarda quindi anche noi. Il mistero di un Dio fatto uomo ci immerge nel mistero dell’uomo che diventa figlio di Dio. Si tratta di quel “misterioso scambio” di cui parla il III prefazio di Natale: il Verbo di Dio assume la nostra natura umana nella sua debolezza e fragilità, e noi, uniti a lui in comunione mirabile, condividiamo la sua vita immortale (cf. anche la preghiera dopo la comunione). La stessa dottrina esprime san Paolo in un brano che viene proposto oggi alla nostra attenzione: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Primi vespri, lettura breve - Gal 4,4-5). Nel Natale noi contempliamo gli inizi della nostra salvezza. L’antifona alla comunione, annuncia profeticamente questo evento quando dice: “tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio” (cf. Sal 97,3).

 

Il grande padre della Chiesa romana, san Leone Magno, contemplando il mistero dell’Incarnazione, esclama: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna” (Ufficio delle letture, seconda lettura). Questa stessa esortazione è implicita nel testo del prologo di Giovanni quando si dice che a colui che accoglie il Figlio di Dio fatto carne, viene dato potere di “diventare” figlio di Dio: la nostra identità di figli di Dio è inserita dentro un processo dinamico che si apre ad una crescita progressiva e senza sosta e ci conduce verso gli spazi della vita divina.

 

L’eucaristia che oggi celebriamo è per eccellenza il sacrificio della nuova alleanza, il rito della nuova umanità, che ci introduce progressivamente alla partecipazione della vita divina. Celebrare in Natale significa celebrare l’umanità come luogo in cui il divino trova la sua massima manifestazione 

 

 

domenica 18 dicembre 2022

L’ORIENTAMENTO NELLA CELEBRAZIONE

 



Quando ci parla dell’orientamento versus populum nella celebrazione liturgica, in particolare nella celebrazione eucaristica, si afferma tal volta che si tratta di una novità nata con la riforma liturgica promossa dal Vaticano II. Ci sono invece delle testimonianze secondo cui questo argomento è stato oggetto di attenzione molti anni prima. Ecco un testo in qualche modo “profetico”:  

“Certi segni fanno intravedere che, nella Chiesa futura, il prete si terrà come un tempo dietro l’altare e celebrerà col viso volto verso il popolo, come si fa ancora oggi in certe basiliche romane; l’augurio, che si solleva dappertutto, di veder più chiaramente espressa la comunione al tavolo eucaristico, sembra esigere questa soluzione”.

Questo testo è stato redatto nel 1949 da Theodor Klauser e da un gruppo di esperti su incarico della Commissione per la liturgia dell’Episcopato tedesco, e pubblicato a stampa in numerose edizioni successive (vedi, ad esempio: T. Klauser, Richtlinien für die Gestaltung des Gotteshauses aus dem Geist der römischen Liturgie, Aschendorff, Münster 1954)

 

venerdì 16 dicembre 2022

DOMENICA IV DI AVVENTO (A) – 18 Dicembre 2022

 




 

Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24

 

I testi di questa domenica mettono in luce le figure di Maria e di Giuseppe, e anche quella di san Paolo, modelli tutti e tre di accoglienza della Parola di Dio e di obbedienza ad essa. La prima lettura riporta il messaggio del profeta Isaia al re Acaz, chiedendogli di non elemosinare aiuto dall’Assiria, ma di fidarsi solo dell’aiuto di Dio. Acaz, però, non se la sente di fidarsi solo di Dio, vorrebbe rifiutare ogni segno divino; le sue parole apparentemente rispettose del volere divino (“Non voglio tentare il Signore”) sono frutto piuttosto della protervia di chi non vuole essere costretto a fidarsi dell’invisibile, di chi vuole a tutti i costi misurare e controllare le sue sicurezze. Nel racconto del brano evangelico di Matteo la figura centrale è Giuseppe. Al contrario del re Acaz, di cui parla il brano di Isaia, Giuseppe accetta il “segno” del bambino nato da una vergine e, fiducioso nella parola di Dio trasmessagli per mezzo dell’angelo, impegna tutta la sua vita per questo bambino e sua madre. Il testo evangelico conclude con queste parole: “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Giuseppe, quindi, accoglie il messaggio e ubbidisce.

 

Accanto alla figura di Giuseppe sta quella di Maria, la Madre di Gesù. Diversamente di quanto ha fatto san Luca, nei racconti della nascita e infanzia di Gesù, san Matteo non ci ha trasmesso alcuna parola di Maria. L’evangelista Matteo presenta una Maria silenziosa, ma docile strumento del disegno di Dio: ciò che avviene in lei è adempimento di “ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta”.

 

San Paolo nell’introduzione alla lettera ai Romani, proposta come seconda lettura, parla della sua vocazione. Dio lo ha chiamato a divenire apostolo, un inspiegabile e incomprensibile atto di grazia. In quanto tale, il ministero di apostolo è legato all’obbedienza di fede. Paolo si definisce apostolo e servo di Cristo Gesù. Vi è un intrinseco rapporto tra fede e obbedienza: ls fede consiste nell’obbedire e l’obbedienza consiste nel credere.

 

Siamo chiamati a realizzare la nostra vita entrando liberamente e gioiosamente nell’orbita del disegno di Dio. Bisogna fidarsi di Dio. La nascita di Gesù che ci apprestiamo a celebrare è un segno della fedeltà di Dio. Disponiamoci ad accogliere, nell’obbedienza della fede, ad esempio di Giuseppe e Maria, il Signore che viene a salvarci.

 

L’orazione sulle offerte fa un suggestivo accostamento tra il mistero dell’incarnazione e il mistero eucaristico. Lo Spirito Santo che “ha santificato con la sua potenza il grembo della Vergine Maria” è lo stesso che consacra i doni del pane e del vino per la celebrazione del sacrificio eucaristico. Lo Spirito è poi colui che ci prepara ad accogliere il Signore che viene.

 

domenica 11 dicembre 2022

UNA ENCICLOPEDIA PRATICA DELLA LITURGIA

 



 

AA.VV., Exsultet. Enciclopedia pratica della liturgia, diretta da Louis-Michel Renier (edizione italiana a cura di Daniele Piazzi), Seconda edizione, Queriniana, Brescia 2022. 503 pp. € 40,00.

La prima edizione italiana di quest’opera è del 2002. Anche se l’edizione del 2022 si presenta come “seconda edizione”, si tratta piuttosto di una ristampa della prima edizione: lo stesso numero di pagine, gli stessi autori, gli stessi testi e le stesse note. Non ho trovato nessun aggiornamento bibliografico. Cambia solo il prezzo: 36,30 € nel 2002; 40,00 € nel 2022.

Il volume è diviso in tre parti. La prima parte privilegia il significato dell’azione celebrativa. La seconda parte mette in rilievo l’originalità della liturgia cristiana, il significato della domenica, dell’eucaristia, dei sacramenti, della liturgia delle ore, delle benedizioni e delle devozioni. La terza parte tratta dell’arte di celebrare e della realizzazione concreta delle celebrazioni.

Gli autori sono eminenti liturgisti e pastoralisti del Centro Nazionale di Pastorale Liturgica di Parigi.

venerdì 9 dicembre 2022

DOMENICA III DI AVVENTO (A) – 11 Dicembre 2022

 


 

 

Is 35,1-6a.8a.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

 

Il brano evangelico odierno esordisce con queste parole: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. È la domanda che i discepoli di Giovanni Battista rivolgono a Gesù. È una domanda che ha una sua attualità. L’interrogativo ci deve tenere costantemente aperti a una nuova visuale delle cose che ci permetta di riconoscere l’azione sempre nuova di Dio nella storia. Chi è per noi Gesù? Abbiamo riconosciuto in lui il nostro Salvatore? Gesù alla domanda rivoltagli da Giovanni per bocca dei suoi dei discepoli, invece di rispondergli con un sì o con un no, lo rimanda a quelle opere di cui Giovanni aveva sentito parlare, opere che documentano attraverso una libera citazione del profeta Isaia (brano riproposto come prima lettura) che egli è veramente il Messia inviato da Dio. Per Giovanni, tormentato dal dubbio, la parola di Gesù è un invito a fidarsi di lui, a credere. L’uomo che è in attesa di salvezza ha nelle parole e nelle opere di Gesù una risposta definitiva. In lui la salvezza di Dio ha fatto irruzione nella nostra vita.

 

Da parte sua, san Giacomo, nella seconda lettura, ci invita a perseverare in un atteggiamento di pazienza. È vero - lo abbiamo detto - la salvezza di Dio si è manifestata nel suo Figlio fatto uomo, egli è il Salvatore promesso. I frutti pieni della sua venuta però li dobbiamo raccogliere giorno dopo giorno nell’operosità paziente e incessante. Per san Giacomo, il mistero della nostra salvezza è simile al ciclo della natura nel suo rinnovarsi incessante, che alla fine non delude l’attesa paziente e testarda del contadino. Abbiamo bisogno di tempo affinché il regno di Dio cresca e maturi nella storia, in ciascun di noi. La pazienza esige disponibilità e cooperazione alla crescita. Il domani di salvezza definitiva che attendiamo è anche nelle nostre mani.

 

La salvezza di Dio è vicina a noi, anzi è in mezzo a noi, e ciò dev’essere motivo di gioia. Non è la gioia di chi non trova ostacoli da affrontare; è la gioia di chi accetta il piano di Dio su di lui e si sente al suo posto, sa che la sua vita è al sicuro e può compiere le sue scelte con piena libertà interiore. Nei momenti di smarrimento o di sofferenza, nei momenti di stanchezza, quando le certezze sembrano svanire, la fede ci assicura che Dio viene a salvarci, che la nostra attesa non è vana. Se abbiamo riconosciuto Gesù come nostro Salvatore, il nostro cuore non ha nulla da temere.      

 

Gesù è vicino a noi come Salvatore soprattutto nell’eucaristia. L’antifona di comunione lo afferma riproponendo le parole di Is 35,4, tratte dalla prima lettura d’oggi: “Coraggio, non temete! Ecco il nostro Dio. Egli viene a salvarvi”. E l’orazione sulle offerte precisa che il sacrificio eucaristico rende “efficace in noi l’opera della salvezza”.

martedì 6 dicembre 2022

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA – 8 Dicembre 2022

 



 

Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38

 

In Maria immacolata celebriamo l’alba della redenzione, l’inizio della nuova umanità o, come dice il prefazio della messa, “l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza”.

 

Secondo ha interpretato la tradizione, Maria è figurata dal Protovangelo nella donna nemica e vittoriosa di Satana, evento che viene proposto come prima lettura (Gen 3,9-13) assieme alla disobbedienza di Adamo ed Eva (Gen 3,14-15). La scelta di questo brano intende mettere in evidenza il peccato sul quale Maria è vittoriosa e suggerire l’idea di Maria come nuova Eva. Come Adamo ed Eva sono personaggi emblematici per esprimere l’umanità caduta nel peccato, così Gesù, nuovo Adamo, e sua madre, nuova Eva, diventano personaggi altrettanto emblematici che enunciano l’umanità rinnovata. “Il nodo della disobbedienza di Eva è stato sciolto dall’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la vergine Maria l’ha slegato con la sua fede” (S. Ireneo; Cost. Lumen Gentium, n. 56).

         

La lettura evangelica propone l’evento dell’Annunciazione: l’angelo proclama Maria “piena di grazia”, testo classico del Nuovo Testamento in cui la tradizione ha visto annunciata la verità dell’Immacolata Concezione di Maria. E’ senza dubbio la pagina più letta nella liturgia, più meditata dagli artisti, più riprodotta in tele e nelle sculture. I Padri della Chiesa hanno visto in questo evento la contropartita di ciò che è successo nella caduta del paradiso terrestre: Eva non ascolta il precetto di Dio, Maria invece ascolta il messaggio dell’angelo inviato da Dio; Eva disobbedisce alla parola di Dio, Maria invece pronuncia il suo “si” ubbidiente al piano di Dio su di lei: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”; Eva significa “madre di tutti i viventi”, Maria lo è in senso più profondo in quanto è madre dei redenti mediante la morte del Figlio suo, vincitore del male e della morte. Maria, generando il Cristo, ha posto nella terra il “seme” indistruttibile del bene, della giustizia e della speranza. Esso si radicherà e trasformerà l’umanità intera. E’ la stessa realtà che descrive il brano introduttivo alla lettera agli Efesini (seconda lettura) in cui l’Apostolo afferma che Dio, in Cristo “ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”. Questa singolare elezione trova un’applicazione particolarissima in Maria. L’Immacolata è il primo segno della vittoria pasquale di Cristo. Con lei, l’umanità ritrova la strada per percorrere una storia di santità, non più di peccato. L’Immacolata è quindi un segno di speranza. Ciò che è avvenuto in lei è anticipo e frutto al tempo stesso della vittoria di Cristo risorto sulla morte e sul peccato.

 

L’eucaristia, ripresentazione sacramentale del mistero pasquale, “guarisce in noi le ferite di quella colpa da cui, in modo singolare”, Maria è stata preservata nella sua immacolata concezione (orazione dopo la comunione).

 

domenica 4 dicembre 2022

LE ORIGINI DELL’ALTARE CRISTIANO

 



Nella lingua latina del mondo antico esistono tre termini per indicare questo luogo centrale del tempio o nell'area sacra della divinità: ara, altare, mensa. Il primo termine è il più frequente, il secondo è usato raramente, mentre l'ultimo indica il tavolo su cui si deponevano le offerte sacrificali oppure, nel linguaggio quotidiano, si consumava il pasto familiare.

Il vocabolo altare, utilizzato poi nel culto cristiano, è composto da un aggettivo, o participio, e da un nome: altaara. La prima parte del termine potrebbe derivare sia dall'aggettivo latino altus/ta/um, ovvero “alto”, sia del participio del verbo álere, cioè “nutrire”: perciò può indicare una struttura alta o che sta in alto oppure che è destinata alla funzione della nutrizione. La seconda parte troverebbe la sua etimologia nel verbo arére: ardere, bruciare, quindi come “luogo del fuoco”. La natura fondamentale di ogni altare o ara nel mondo precristiano, quindi, era quella di essere una struttura elevata, normalmente di pietra, sulla quale deporre e bruciare le offerte destinate o sacrificate alla divinità, perché fossero da essa accolte e consumate. La funzione pratica dell'altare non era quella dell'immolazione cruenta delle vittime sacrificali, la cui uccisione veniva compiuta in altro luogo, ma quella di accogliere le offerte e permettere la loro combustione, quale manducazione divina.

Talvolta il rito sacrificale comportava la consumazione dell'offerta anche da parte dell'essere umano, cioè l'offerente stesso era chiamato a parteciparvi.

L'altare cristiano, tuttavia, non si inserisce in questo contesto cultuale, anzi ne prende le distanze. La sua specifica origine la troviamo non nelle are o negli altari sacrificali delle antiche religioni, compresa anche quella ebraica, ma nella tavola dell'ultima Cena.

 

Fonte: Diego Giovanni Ravelli, La Domus Ecclesiae. I luoghi della celebrazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, 81-82.  

venerdì 2 dicembre 2022

DOMENICA II DI AVVENTO (A) – 4 Dicembre 2022

 



 

Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12

 

Se la domenica scorsa ci invitava a vivere in attesa vigilante del Signore che viene, oggi siamo incoraggiati a rendere significativa questa attesa con una vita che sia già ora e qui espressione dei valori del regno di Dio che viene.

 

La prima lettura ci presenta l’immagine di una società perfetta, in apparenza utopica. Isaia la descrive con accenti toccanti: “il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà...” Queste e altre raffigurazioni, che ci ricordano le favole ed i cartoni animati della nostra infanzia e che sono in contrasto con la realtà faticosa e spesso violenta che distingue la nostra vita quotidiana, vogliono esprimere una società in cui i contrasti vengono composti armonicamente e dove regna indisturbata la giustizia e la pace. Questa società, secondo il profeta Isaia, è quella inaugurata dal Messia sul quale “si poserà lo Spirito del Signore” per deporre nella storia di questo mondo un seme nuovo di giustizia e di pace.

 

Nel brano del vangelo ascoltiamo san Giovanni Battista che annuncia la venuta del Messia, il quale ci “battezzerà in Spirito Santo e fuoco”, il fuoco che brucia la pula e annienta i peccatori. Perciò il Precursore invita i suoi ascoltatori alla conversione: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” E’ quindi colui che viene, il Messia, a rendere visibile la vicinanza del Regno. La società perfetta, profetizzata da Isaia, è dono dello Spirito del Messia ma esige anche la nostra operosità. Il regno messianico non diventa una realtà nel mondo senza la nostra conversione. La 3a ant. dell’Ufficio di letture ribadisce lo stesso insegnamento quando afferma: “Purifichiamo i nostri cuori, per camminare nella giustizia incontro al Re: egli viene, non tarderà”.

 

Nella seconda lettura, san Paolo dando uno sguardo rapido all’insieme delle Scritture prende atto che esse convergono sul mistero di Cristo e tracciano la via della salvezza che il cristiano è chiamato a percorrere per rimanere perseverante, trovare consolazione e tenere viva la speranza. Ma non è solo una speranza emotiva, bensì una relazione viva con il Cristo. La società perfetta di cui abbiamo parlato, è possibile solo se abbiamo “gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù” e, in questo modo, impariamo a vedere nei nostri simili i fratelli e le sorelle figli dello stesso Padre.

 

La celebrazione eucaristica è segno efficace di questo regno di giustizia e di pace, di cui attendiamo la piena realizzazione. Nell’assemblea eucaristica, infatti, si attua l’unità degli uomini in Cristo: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,17). Perciò stesso l’eucaristia ci insegna “a valutare con sapienza i beni della terra e a tenere fisso lo sguardo su quelli del cielo” (preghiera dopo la comunione).