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domenica 26 settembre 2021

ERASMO E LA DIETA DI MAGRO

 



 

Il celebre umanista Erasmo di Rotterdam (1467-1536), in generale per niente tenero nel commentare e giudicare molte delle regole comportamentali del cristianesimo, condannò con fermezza anche la dieta di magro. A suo parere, essa andava a complicare la vita dei meno abbienti e non aveva alcun rilievo sulle mense dei ricchi, ai quali anzi forniva l’occasione per sperimentare nuovi manicaretti e scoprire sconosciuti piaceri della tavola. Erasmo godeva di una dispensa che gli consentiva di mangiare carne per ragioni di salute. A questo proposito compose un pamphlet sulla logica delle proibizioni alimentari, destinandolo al vescovo di Basilea. L’umanista si chiedeva se davvero avesse senso insistere nell’osservanza delle regole quaresimali, alla luce dell’elevato numero di libri di ricette dedicati ai giorni di digiuno circolanti nelle cucine italiane, francesi e spagnole. Si rispondeva di no poiché questo insistere nelle prelibatezze solo apparentemente magre era un segno reale di decadenza morale. Erano altre le cose a cui pensare! (Claudio Ferlan, Venerdì pesce. Digiuno e cristianesimo, Il Mulino, Bologna 2021, 99-100).

 

Nel messaggio quaresimale 2019 di papa Francesco il richiamo al digiuno fu solo simbolico (“Digiunare, cioè imparare a cambiare il nostro atteggiamento verso gli altri e le creature: dalla tentazione di ‘divorare’ tutto per saziare la nostra ingordigia, alla capacità di soffrire per amore, che può colmare il vuoto del nostro cuore), mentre in quello del 2020 manca qualsiasi riferimento all’alimentazione.

venerdì 24 settembre 2021

DOMENICA XXVI DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 26 Settembre 2021

 



 

Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

 

Oggi la parola di Dio ci invita a rifuggire dalle chiusure, dagli esclusivismi di gruppo, e a guardare oltre i nostri confini. Il tema viene illustrato con due episodi. Il primo episodio è raccontato dalla prima lettura ed è accaduto nell’accampamento d’Israele nel deserto: due uomini, che non appartengono alla cerchia dei 70 anziani consiglieri dei Mosè, si mettono improvvisamente a profetizzare. Allora Giosuè mosso dalla gelosia si rivolge a Mosè perché li impedisca di profetizzare. Mosè però si mostra tollerante, anzi gioioso del fatto, a tal punto che augura che tutti possano essere profeti nel popolo del Signore e ricevere il suo spirito. Il secondo episodio è riportato dalla lettura evangelica: gli apostoli hanno visto uno che scaccia i demoni nel nome di Gesù e glielo hanno vietato perché non apparteneva al gruppo dei discepoli. Contestando la grettezza del gruppo dei dodici apostoli, Gesù fa capire che il regno di Dio si esprime anche altrove e mediante altri strumenti; più precisamente, ovunque si agisce come lui e mediante tutti coloro che si ispirano al suo messaggio. Gesù non ha bisogno di monopolizzare il suo potere; gli basta che la verità venga riconosciuta. Il Signore ci invita ad una fede libera e matura, capace di apprezzare il bene ovunque esso si trovi. L’azione di Dio che opera mediante il suo Spirito non può essere circoscritta dentro i confini di una comunità definita solo in base ai criteri di appartenenza. Chiunque esercita la carità e la misericordia avrà la sua ricompensa. Sia Gesù sia Mosè, davanti ad una impostazione del ministero della salvezza come dominio e privilegio, rispondono celebrando lo splendore della libertà e della generosità di Dio.

 

Ciò non significa però perdita della propria identità o mancanza di coerenza con i propri principi. Ce lo ricorda la seconda parte del vangelo d’oggi, dove san Marco raccoglie una serie di affermazioni a dir poco sconcertanti di Gesù: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala […] Se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo […] Se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via”. Si tratta evidentemente di immagini o modi di dire. Anzitutto Gesù adoperando queste immagini invita i suoi discepoli a controllare con cura e a sondare il loro comportamento sociale (piede e mano) e personale (occhio) per evitare che, nell’orgoglio della propria serena sicurezza, divenga radice di male per i fratelli che ancora stanno cercando Dio. Gesù, poi, si esprime con immagini concrete ed eloquenti per far capire che chi vuol essere suo discepolo deve fare una scelta chiara, radicale e definitiva, deve essere quindi disposto a sacrificare ogni cosa di sé se lo esige la fedeltà alla propria scelta di fede. L’importanza della coerenza è richiamata anche da san Giacomo nella seconda lettura a proposito dell’uso delle ricchezze: colui che le possiede, se non fa attenzione, questo possesso può mettere in pericolo la sua appartenenza al Signore e il suo stesso avvenire eterno.

giovedì 23 settembre 2021

A PROPOSITO DI "TRADITIONIS CUSTODES"





Tra le ultime – feroci – critiche piovute su Casa Santa Marta ci sono quelle riguardanti la decisione di aggiornare il rinnovamento della Messa sulla scia dei predecessori, mettendo in secondo piano la recita in latino. «Spero che con la decisione di fermare l’automatismo del rito antico si possa tornare alle vere intenzioni di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II, da adesso in poi chi vuole celebrare con il vetus ordo deve chiedere permesso a Roma». Francesco cita con disappunto il caso dei preti, anche giovani, che vogliono presiedere la messa antica e si augura che, prima del latino, imparino le lingue della loro gente, delle loro parrocchie.

Fonte: Vatican Insider, "Trame vaticane"

domenica 19 settembre 2021

Sal 133 (132) Inno all’amore e alla concordia

 



1Canto delle salite. Di David

Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!

2È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste.
3È come la rugiada dell'Ermon,
che scende sui monti di Sion.
Perché là il Signore manda la benedizione,
la vita per sempre.

 

Il Sal 133 è il penultimo salmo dei quindici salmi delle ascensioni. Celebrando le fraterne riunioni di vita comune e di preghiera, che caratterizzavano i pellegrinaggi degli Israeliti a Gerusalemme durante le solennità festive, il nostro salmo esalta la dolcezza del ritrovarsi insieme uniti in cuore e anima intorno a quel Dio che aveva fatto d’Israele la sua assemblea, chiamata dal libro di Neemia la “comunità di Dio” (Ne 13,1, cf. Es19).

L’olio profumato che tutto permea della sua fragranza e la rugiada che tutto avvolge nel suo manto di freschezza, diventano simboli della felicità che scaturisce dall’amore e dalla concordia nella comunità d’Israele e di tutti gli uomini. Questo breve salmo è articolato in modo molto chiaro: sentenza enunciativa iniziale (v. 1); due paragoni illustrativi (vv. 2-3ab); affermazione conclusiva, ossia benedizione del Signore (v. 3cd).

Il versetto iniziale esprime stupore per la piacevole gioia che si trova nell’unità in mezzo al popolo di Dio. Il testo ebraico che sta dietro l’espressione “popolo di Dio” (‘ahîm), letteralmente significa “fratelli”. La gioia della vita fraterna è profumata come balsamo prezioso (v. 2) e rinfrescante come la rugiada che all’alba impregna e feconda di sé il terreno (v. 3ab). Con notevole insistenza, il salmista annota innanzitutto che tale comunione fraterna “scende” da Dio (verbo ripetuto 3 volte in 4 righe), è dono, è grazia. Questa caratteristica è ulteriormente precisata dai dettagli dipinti nei due paragoni.

L’olio profumato è quello dell’unzione del Sommo sacerdote, discendente di Aronne. Non è privo di importanza che quest’olio scenda dalla barba fino al collo del sommo sacerdote, dove egli portava il pettorale, una borsa decorata da dodici pietre preziose con le lettere iniziali dei nomi delle dodici tribù di Israele (cf. Es 2829-30). La fraternità è una realtà sacra che ha in sé la stessa forza di una consacrazione che pervade tutto l‘essere, che coinvolge lo stesso fisico della persona (in Oriente, la barba era simbolo di virilità e vitalità) e la sua dignità, incarnata nella veste.

Quanto alla rugiada, immaginata dagli antichi come discendente dal cielo, alla stregua della pioggia, essa è detta scendere dal monte Ermon sui monti di Sion. Questa immagine è volutamente priva di ogni verosimiglianza: l’Ermon (2760 metri), l’unica vetta ricoperta di neve in Israele, si trova a 180 Km a nord di Gerusalemme; è citato spesso nella Bibbia, in quanto confine nord della Terra promessa, e come luogo probabile della trasfigurazione di Gesù, in alternativa al Monte Tabor. Con un’iperbole, il salmista si immagina che la rugiada sia come un’inondazione che dal nord della Palestina scende al sud a bagnare anche l’arida Gerusalemme. Un’immagine di freschezza in un mondo assolato e bruciato. Solo questa rugiada gratuita può far germogliare in pienezza la benedizione della vita fraterna. “Là” dove i fratelli e le sorelle sono riuniti gioiosamente, “il Signore manda la benedizione, la vita per sempre” (v. 3cd). La fraternità è anticipazione già qui e ora, preludio sinfonico di vita eterna. Quella vita che sarà piena e definitiva alla fine dei tempi.

L’amore fraterno è qualcosa di sacro, come l’olio che consacrò Aronne, è qualcosa di vitale, come la rugiada di un monte pingue, l’Ermon; esso è una benedizione che attira tutte le benedizioni (cf. Mt 18,19-20).

La storia d’Israele conobbe soltanto dei brevi periodi in cui una tale unità fu raggiunta, e anche allora lo fu solo in maniera imperfetta. Si può imparare quanta benedizione vi sia nell’unità anche dalla mancanza di unità. Situazioni conflittuali richiedono maggiori energie, mentre un’armoniosa unità significa che la comunità nel suo insieme, può conseguire degli obiettivi con minore difficoltà.

Essere fratelli e sorelle, vivere insieme in armonia: in un‘epoca segnata più che mai dall’individualismo, può diventare difficile apprezzare la bellezza di parole così semplici e, allo stesso tempo così profonde, gravide di valori che ormai, quasi, non appartengono più alla nostra società.

La Chiesa, e noi in essa, preghiamo i salmi da una prospettiva cristiana. La Liturgia delle ore propone il Sal 133 (132) il Venerdì della Quarta settimana all’Ora media. Il titolo dato al salmo è “Gioia dell’amore fraterno”, e il versetto del Nuovo Testamento scelto come sottotitolo del salmo è At 4,32: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola”.

“Noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12,5), e da Cristo “tutto il corpo ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo di edificare se stesso nella carità” (Ef 4,16).

Così, la carità di Dio si comunica dal capo, che è Cristo, alle membra, come un’unzione sacra, che è anche consacrazione per un servizio di amore. “Dio ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza. Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono” (2Cor 2,14-15). Queste parole di san Paolo ci fanno capire che la prima e fondamentale testimonianza che come cristiani siamo chiamati a rendere è quella della nostra vita fraterna.

 

Preghiera:

Discenda, Signore, sulla tua Chiesa

la rugiada della tua grazia,

perché nell’unità che domandasti per noi

ci ritroviamo con te,

nel Padre, nel gaudio dello Spiriti Santo.

 

Bibliografia: Spirito Rinaudo, I salmi preghiera di Cristo e della Chiesa, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1973; Vincenzo Scippa, Salmi, volume 1. Introduzione e commento, Messaggero, Padova 2002; Ludwig Monti, I salmi: preghiera e vita, Qiqajon, Comunità di Bose 2018; Temper Longman III, I salmi. Introduzione e commento, Edizioni GBU, Chieti 2018.

 

venerdì 17 settembre 2021

DOMENICA XXV DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 19 Settembre 2021

 



 

Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37

 

Tra la via della croce, tema della domenica scorsa, e la via del servizio che ci viene proposta oggi dalla parola di Dio c’è una profonda affinità. Dopo la rivelazione del mistero di sofferenza verso cui si incammina, Gesù formula il codice dell’autorità cristiana come servizio e dono di sé per gli altri. Così comprendiamo quale senso Egli dà alla sua passione: è un servizio, un donare la vita per gli altri.

 

Le tre letture bibliche parlano di una serie di comportamenti inaccettabili da colui che intende vivere da uomo giusto. Constatiamo infatti che non è la giustizia ciò che il più delle volte interessa agli uomini, ma il prestigio, la grandezza, la carriera (cf. lettura evangelica), il possesso (cf. seconda lettura). Per ottenerli si litiga, si ricorre all’insulto, magari all’omicidio e alla guerra (cf. seconda e anche prima lettura). Infatti, l’avidità, l’intolleranza, la gelosia, l’asservimento agli istinti umani del possesso e del dominio hanno sempre generato guerre e conflitti larvati o dichiarati anche talvolta nelle comunità cristiane e nella Chiesa. Prendendo come punto di riferimento principale il brano evangelico, vediamo che domenica scorsa san Pietro cercava di dissuadere Gesù dal percorrere il cammino della croce; oggi mentre Gesù annuncia che sta per essere consegnato nelle mani degli uomini che lo uccideranno, tutto il gruppo dei discepoli sta discutendo su questioni di prestigio, su a chi aspettano i primi posti. Insomma, sembra che Gesù e i suoi discepoli parlano linguaggi diversi, sono mossi da interessi contrastanti, non riescono a comunicare tra loro. I pensieri di Gesù sono in aperta contraddizione con i pensieri dei discepoli. Comprendere la parola di Gesù implica un coinvolgimento spirituale che essi al momento non hanno raggiunto.

 

Pazientemente il Signore, arrivati a casa - dice il testo - cerca di spiegare quali devono essere i rapporti in seno alla comunità di coloro che intendono seguirlo e diventare discepoli: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Gesù aggiunge alle sue parole il tenero gesto dell’abbraccio ad un bambino. Nel contesto, il gesto intende essere un pressante appello alla totale disponibilità, all’abbandono senza calcoli, doppiezze e interessi. A chi ambisce i primi posti fondandosi sulla propria “grandezza”, Gesù oppone il piccolo e ultimo per eccellenza, il bambino. Accoglierlo nel suo nome è accogliere lui stesso come Salvatore inviato dal Padre.

 

Il servizio è il segno del vero discepolo di Cristo, è il frutto di un amore dimentico di sé, e - ad esempio di Cristo - ha la sua massima espressione nel dono della vita per gli uomini. Il servizio cristiano non è passivo, ma attivo. Servire non significa sottomettersi a chiunque, ma mettere le nostre risorse spirituali e materiali, noi stessi a disposizione della promozione dei nostri fratelli e sorelle. San Giacomo, nella seconda lettura, parla della “sapienza che viene dall’alto”. La saggezza cristiana procede per vie pacifiche, con la persuasione, cerca di evitare dissidi e contrasti, limita la polemica, evita la maldicenza; si pone invece al servizio della giustizia.

 

lunedì 13 settembre 2021

NUVO PRESIDENTE DEL PONTIFICIO COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI INTERNAZIONALI




Il Santo Padre ha nominato Presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali il Rev.mo P. Corrado Maggioni, S.M.M., finora Sotto-Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Auguriamo al nuovo Presidente un buon lavoro.


domenica 12 settembre 2021

DIGIUNO E ASTINENZA

 



 

Claudio Ferlan, Venerdì pesce. Digiuno e cristianesimo (Intersezioni 555), Il Mulino, Bologna 2021. 192 pp. (€ 15,00).

 

Mangiare e non mangiare, cosa mangiare e cosa non mangiare, sono problemi che accompagnano tutta la storia del cristianesimo (e non solo). Digiuno e astinenza sono pratiche che affrancano lo spirito degli appetiti corporali e avvicinano a Dio. Papi, cardinali, vescovi, teologi, canonisti hanno dunque scritto, predicato e sentenziato sul mangiare, ma spesso in maniera contraddittoria, perché il concetto stesso di cibo cambia nel tempo e nei luoghi. Astenersi dalla carne, bere: ma l’iguana è carne o pesce?

E la vipera? E il cocomero è un cibo, ed è dunque proibito nel digiuno, oppure una bevanda? E il cioccolato? E sarà lecito annusare gli effluvi di una carne che viene cucinata? Nella confusione, i credenti si sono comportati seguendo la necessità, la coscienza, l’appetito. Una storia da meditare, oggi che il comandamento del digiuno e dell’astinenza è vitale più che mai, seppure in una dimensione non più religiosa, nella nostra società

(Testo nel risvolto).

venerdì 10 settembre 2021

DOMENICA XXIV DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 12 Settembre 2021

 



 

Is 50,5-9°; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

 

Il messaggio di questa domenica lo possiamo riassumere con le parole di san Paolo, riproposte dal canto al Vangelo: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (cf. Gal 6,14). Ciò che per l’apostolo Paolo è un motivo di vanto e di gloria, è stato un tempo per san Pietro motivo di scandalo. Infatti, nel brano evangelico odierno vediamo come dinanzi alle parole di Gesù che annuncia il destino di sofferenza e di morte che lo attende, Pietro non accetta che questa sia la sorte del Messia e cerca in ogni modo di dissuaderlo dall’abbracciare questo cammino di croce. Quante volte anche noi siamo dalla parte di Pietro con i nostri criteri e con le nostre valutazioni! Infatti siamo inclini a pensare che il successo escluda la sofferenza. Gesù invece propone una visione dell’esistenza molto diversa, anzi sconcertante, in cui morte e vita, sconfitta e vittoria vanno misteriosamente insieme.

 

Anche la prima lettura propone lo sconcertante cammino della croce. Il profeta Isaia parla di un misterioso personaggio, il “Servo di Dio”, incrollabilmente fedele alla sua vocazione e alla sua missione nonostante le persecuzioni e gli oltraggi, figura profetica che annuncia Gesù. Questo personaggio, oggetto di persecuzione e umiliazione, risponde con la fermezza e la sicurezza di chi è sicuro della vittoria: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato”. I criteri con i cui noi misuriamo la riuscita di una vita devono cedere di fronte al criterio primo e assoluto: il misterioso disegno di Dio su di noi. E’ quello che Gesù ricorda a san Pietro: “tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.

 

In modo simile, nella seconda lettura l’apostolo Giacomo parlando di una fede operosa ci ricorda che il regno di Dio non giunge nel clamore nel trionfalismo, ma nel sacrificio, nella dedizione, nella fedeltà quotidiana ai propri doveri, nella disponibilità a donare la propria vita per gli altri. E quanto insegna Gesù, rivolgendosi a tutti coloro che vogliono far strada con lui: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ma poi egli aggiunge: “chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Parole che, nella loro paradossalità, hanno un significato assai netto: chi vuole essere realmente discepolo di Gesù deve smettere di considerare se stesso come misura di ogni cosa; deve rinunciare a difendersi e accettare di portare lo strumento della propria condanna a morte; deve uscire dai meccanismi di autogiustificazione e abbandonarsi totalmente al Signore. Se accettiamo di condividere la scelta di fedeltà estrema del nostro Maestro e Signore parteciperemo anche alla sua vittoria finale sulla morte. 

 

domenica 5 settembre 2021

IL SILENZIO E LA PAROLA

 



 

La solitudine si distingue dall’isolamento, come il silenzio si distingue dal mutismo. Nel mutismo si diviene monadi dalle porte e dalle finestre chiuse, non si ha nulla da dire, non si hanno parole, e nemmeno emozioni, da comunicare agli altri, e non se ne ha il desiderio. Il silenzio ha invece un suo linguaggio, che dovremmo sapere ascoltare e interpretare, anche se non è facile coglierne gli orizzonti di senso. Sono molte le radici del silenzio: quella che nasce dal desiderio di una parola che non arriva, quella che dice la nostra tristezza, o la nostra angoscia, le nostre attese inespresse, i nostri timori, e le nostre speranze. Sono molti i modi con cui il silenzio e la parola si intrecciano. C’è il silenzio che rende viva la parola, dilatandone le emozioni; c’è il silenzio che si sostituisce alla parola nel dire la gioia e il dolore, la speranza e la disperazione; c’è il silenzio del cuore che nasce dagli abissi dell’interiorità, e che testimonia della condizione umana, ma c’è anche il silenzio che si chiude in se stesso, e non sa ridestare risonanze emozionali. Ogni silenzio ha un suo linguaggio che in psichiatria ma anche nella vita di ogni giorno, dovremmo saper analizzare e decifrare nei suoi significati, senza interromperlo con parole leggere e dissonanti. Quante volte […] non si tollera il silenzio, non si sa accoglierlo nel suo mistero.

 

Eugenio Borgna, In dialogo con la solitudine (Vele 180), Giulio Einaudi Editore, Torino 2021, pp. 23-24.

venerdì 3 settembre 2021

DOMENICA XXIII DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 05 Settembre 2021

 



 

Is 35,4-7°; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37

 

Il messaggio racchiuso nelle letture bibliche odierne può essere riassunto con le parole della lettera di san Giacomo, ascoltate alla fine della seconda lettura: “Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?”

In un momento in cui i figli d’Israele in esilio si sentivano dimenticati da Dio, oppressi dal potere straniero e abbandonati alla loro sfortuna, Isaia (cf. prima lettura) rivolge ad essi parole di speranza: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio […] viene a salvarvi”. E tra le opere meravigliose di Dio che viene a salvare, il profeta include: “si schiuderanno gli orecchi dei sordi”. Queste promesse di salvezza si compiranno pienamente solo con l’avvento di Gesù Cristo. Egli stesso si è riferito a questo passaggio di Is 35 per spiegare la sua missione ai discepoli inviati da Giovanni Battista (cf. Mt 11,4-6). La guarigione del sordomuto, di cui parla il brano evangelico odierno è uno dei segni con i quali Gesù si manifesta alle folle come colui che adempie gli annunci di Isaia e degli altri profeti. Notiamo i dettagli del racconto: Gesù prende il sordomuto in disparte, gli pone le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua; poi, teso verso il cielo, emette un sospiro e dice: “Effatà”, cioè “Apriti”. I gesti compiuti da Gesù assumono qui un ruolo sacramentale, indicano e vogliono produrre quella salvezza che è dono del cielo, è annuncio di quanto avverrà ai discepoli, sui quali verrà pronunciata quella parola “Effatà”. Marco si premura subito di tradurla per farci capire che Gesù non è un mago che pronuncia parole strane, ma è portatore di salvezza. La guarigione non passa attraverso gesti strani, esoterici, magici, ma semplicemente attraverso un contatto che esprime la compassione, l’amore, la tenerezza di Dio verso colui che soffre. L’evangelista conclude il racconto della guarigione del sordomuto con queste parole: “…pieni di stupore, dicevano: ‘Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti’!”. Di fronte al gesto di Gesù la folla non può trattenersi dal riconoscervi i segni dell’azione di Dio. Nelle opere e nelle parole di Gesù si manifesta la pienezza dell’amore salvifico di Dio.

Nel mondo attuale, nonostante il moltiplicarsi del benessere, c’è gente stanca, sfiduciata, disorientata, gente in cerca di felicità, gente che ha smarrito il senso della vita. Nessuno può vivere senza speranza. Tutti abbiamo bisogno di un ideale che dia senso alla nostra vita. Ognuno di noi attende dal futuro qualcosa che sia migliore del presente. Come Israele nel momento duro della prova, come il sordomuto di cui parla il vangelo, anche noi siamo chiamati a rivolgere lo sguardo a Dio che manda all’uomo un messaggio di speranza. Nonostante le apparenze contrarie e l’apparente trionfo della prepotenza, Dio rende giustizia agli oppressi (cf. salmo responsoriale). Questo messaggio di ottimismo ci invita a superare tutto ciò che sa di rassegnazione a quanto mortifica e opprime l’uomo, e ad essere protagonisti di questa speranza nell’ambiente in cui viviamo: in famiglia, nel lavoro, nella società. Chiediamo al Signore di poter dire anche noi una parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore che incontriamo sulla nostra strada, perché possiamo ripetere con loro le parole del ritornello del salmo responsoriale che abbiamo pregato: “Loda il Signore anima mia”.