La
solitudine si distingue dall’isolamento, come il silenzio si distingue dal
mutismo. Nel mutismo si diviene monadi dalle porte e dalle finestre chiuse, non
si ha nulla da dire, non si hanno parole, e nemmeno emozioni, da comunicare
agli altri, e non se ne ha il desiderio. Il silenzio ha invece un suo
linguaggio, che dovremmo sapere ascoltare e interpretare, anche se non è facile
coglierne gli orizzonti di senso. Sono molte le radici del silenzio: quella che
nasce dal desiderio di una parola che non arriva, quella che dice la nostra
tristezza, o la nostra angoscia, le nostre attese inespresse, i nostri timori,
e le nostre speranze. Sono molti i modi con cui il silenzio e la parola si
intrecciano. C’è il silenzio che rende viva la parola, dilatandone le emozioni;
c’è il silenzio che si sostituisce alla parola nel dire la gioia e il dolore,
la speranza e la disperazione; c’è il silenzio del cuore che nasce dagli abissi
dell’interiorità, e che testimonia della condizione umana, ma c’è anche il
silenzio che si chiude in se stesso, e non sa ridestare risonanze emozionali.
Ogni silenzio ha un suo linguaggio che in psichiatria ma anche nella vita di ogni
giorno, dovremmo saper analizzare e decifrare nei suoi significati, senza
interromperlo con parole leggere e dissonanti. Quante volte […] non si tollera
il silenzio, non si sa accoglierlo nel suo mistero.
Eugenio
Borgna, In dialogo con la solitudine (Vele 180), Giulio Einaudi Editore,
Torino 2021, pp. 23-24.