Translate

domenica 27 giugno 2021

UN CARATTERE FONDAMENTALE DELLA RELIGIONE ATTUALE



 

Il sociologo Thomas Luckmann nel 1963-1967 pubblica il volume La Religione invisibile. L’autore si colloca nel solco di due grandi classici europei che a inizio secolo hanno cambiato la percezione del fenomeno religioso: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber del 1904-1905 e Le forme elementari della vita religiosa di Émile Durkheim del 1912. Proprio in quel 1963 in cui l’opera di Durkheim esce per prima volta in italiano, Luckmann si ispira a Weber e Durkheim e indaga la religione nella società, la religione come prodotto della società. L’autore tedesco spiega ai contemporanei come la religione segua i mutamenti culturali e sociali e come i “temi religiosi moderni” vadano molto oltre le espressioni tradizionali, cioè i riti, le pratiche e le dottrine religiose. Oltre quanto giunge a pensare lo stesso Luckmann, che non usa la categoria, una religione invisibile coesiste con la religione visibile e addirittura la supera nella misura in cui declina la religiosità d’una volta. Tale religione invisibile è ogni sistema di senso – come la carriera, il sesso, la mobilità – che emerge in una società moderna in cui si accentua iil ruolo dell’individuo. La religione non soltanto quella che siamo abituati a riconoscere come tale, ovvero in Occidente quella che ha un Dio personale e trascendente, una Chiesa, un credo, una morale, una liturgia, funzionari e istituzioni. Può essere religione ogni sistema di senso e nella società contemporanea gli individui possono riconoscersi in molti altri sistemi di senso oltre a quelli religiosi tradizionali.

 

Questo è ormai il tempo della pluralizzazione, dell’individualismo. La religione compete con altre fonti di senso, come la scienza e la tecnologia, come il mercato. Il “mercato spirituale”, espressione introdotta da Berger, è apertissimo.

 

(cf. Marco Ventura, Nelle mani di Dio. La super-religione del mondo che verrà, il Mulino, Bologna 2021, pp. 110-111).

  

venerdì 25 giugno 2021

DOMENICA XIII DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 27 Giugno 2021

 



 

Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43

 

 

Nei racconti mitologici dell’antica Mesopotamia troviamo un personaggio, l’eroe nazionale Gilgamesh, il quale, sconvolto dall’esperienza della morte di un suo amico, va in cerca instancabile dell’immortalità. A questo scopo affronta pericoli, ostacoli, difficoltà di ogni genere. Ma tutto si rivela inutile. E alla fine Gilgamesh si sente dire da coloro che conoscono la sapienza: “Quando gli dei hanno creato l’uomo, hanno tenuto per sé l’immortalità, e a lui hanno dato come eredità la morte”. Diverso è il messaggio della nostra fede. Il libro della Sapienza, da cui è presa la prima lettura, afferma: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano”. In questo contesto, possiamo cogliere l’insegnamento del brano evangelico odierno, che riporta due dei miracoli compiuti da Gesù: la guarigione dell’emorroissa e la risurrezione della figlia dodicenne di Giàiro, uno dei capi della sinagoga. Con questi segni Gesù ci si manifesta come Signore della vita, come colui che vuole la vita e non la morte. Ai nostri occhi, secondo la nostra esperienza, la vita si presenta come provvisoria e la morte come definitiva. Ma davanti a Gesù i rapporti si capovolgono: la morte diventa provvisoria e alla vita viene promesso un futuro. Davanti a Gesù la morte diventa sonno; perde quindi il suo carattere di annientamento per assumere quello di trasformazione. Con il Cristo la morte ha cessato di essere una condanna senza appello, un evento senza speranza: la vita continua anche dopo, come dono di Dio. Nelle icone orientali della risurrezione, il Signore viene rappresentato con ai piedi le porte degli inferi spezzate mentre solleva con le mani Adamo ed Eva: solo lui può calpestare la morte con la morte.

 

Quando la Bibbia parla di vita e di morte dell’uomo, non si riferisce solo a fenomeni di natura biologica. Essa illustra un concetto anche spirituale e religioso di vita e di morte che ha una fase terrena e un’altra al di là. Il Nuovo Testamento ci insegna ad accogliere come via della vita anche quella che passa attraverso la morte e la morte di croce. Vi è sempre un di più in Dio che può creare vita perfino nella morte. Per accedere alla vita piena e definitiva il Signore chiede la fede: “Non temere, soltanto abbi fede!”, dice Gesù a Giàiro all’annuncio della morte della figlia. E all’emorroissa: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. Le guarigioni e le risurrezioni operate da Gesù significano quindi che la salvezza è giunta al mondo. L’uomo muore nel momento in cui cessa di credere e di sperare.

 

Della fede parla anche san Paolo nella seconda lettura: i cristiani di Corinto che sono ricchi “in ogni cosa, nella fede, nella parola…”, sono invitati ad essere generosi e a condividere i loro beni con i cristiani bisognosi della Chiesa di Gerusalemme.

 

 

domenica 20 giugno 2021

CHIESA E LITURGIA

 



 

Pilar Río, La liturgia epifania della Chiesa. Teologia e Magistero da san Pio X al Concilio Vaticano II (Biblioteca di iniziazione alla liturgia 8), EDUSC, Roma 2021. 303 pp.

 

Il XX secolo è stato testimone privilegiato della riscoperta del rapporto tra la Chiesa e la liturgia, fra la Chiesa e l’Eucaristia, nel più ampio contesto del rinnovamento ecclesiologico e liturgico verificatosi in seno al cattolicesimo, durante la stagione compresa tra la fine della Prima Guerra Mondiale e il Concilio Vaticano II. In questo quadro ricco di stimoli la liturgia è apparsa come epifania della Chiesa. In questo volume la Professoressa Pilar Río illustra il contributo della riflessione teologica a tale scoperta e la progressiva ricezione magisteriale di questo apporto tra il pontificato di san Pio X e il Vaticano II. L’autrice ripercorre le diverse tappe della sua riflessione in cinque densi capitoli:

 

1. Chiesa e liturgia nella teologia e nel Magistero agli inizi del XX secolo.

2. Chiesa e liturgia nella riflessione teologica e nell’insegnamento magisteriale fra le due guerre mondiali.

3. Chiesa e liturgia nel pensiero teologico e nella dottrina magisteriale di Pio XII.

4. Chiesa e liturgia alle porte del Vaticano II.

5. Chiesa e liturgia nel cuore della dottrina conciliare.

 

Il tutto si chiude con alcune brevi considerazioni conclusive più direttamente riguardanti il quadro complessivo dello studio.

 

venerdì 18 giugno 2021

DOMENICA XII DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 20 Giugno 2021

 




Gb 38,1.8-11; Sal 106; 2Cor 5,14-17; Mc 4,35-41

  

Il tema del mare unifica il contenuto della prima lettura e quello della lettura evangelica. Con le sue tempeste improvvise e la sua forza invincibile, il mare ha sempre colpito l’immaginazione degli antichi, che lo consideravano un simbolo delle potenze demoniache, perché incontrollabile. Nella Bibbia il mare e l’oscurità sono simbolo del caos iniziale, dominato e vinto dalla potenza creatrice di Dio (cf. Gn 1). Il mare è la sede di tutte le forze ostili a Dio, destinato a scomparire per sempre quando la creazione sarà totalmente rinnovata (cf. Ap 21,1). La vittoria sulle malefiche potenze del mare non è in potere dell’uomo; è solo di Dio, l’unico che riduce la tempesta al silenzio (cf. salmo responsoriale). Su questo scenario, il gesto di Gesù che calma la tempesta sul lago e salva i discepoli dal naufragio acquista tutto il suo significato. Notiamo che si tratta di un miracolo che Gesù non compie per la folla, che è assente; protagonisti del racconto sono Gesù e i discepoli. Si tratta quindi di un evento del quale i discepoli sono chiamati a cogliere il segreto. Quale segreto?

 

Possiamo affermare che il racconto di san Marco ha una doppia finalità: farci conoscere meglio la persona di Gesù e illustrare poi quale dev’essere il nostro rapporto con lui. Infatti, il passo evangelico descrive uno degli eventi più dimostrativi della vera identità di Cristo. E’ l’unico testo in cui si parla del sonno di Gesù, il quale essendo soggetto a questo bisogno umano appare come vero uomo. Al tempo stesso però Gesù agisce da assoluto e incontrastato padrone delle forze della natura e, in questo modo, si manifesta ai discepoli come vero Dio.

 

Quale dev’essere il nostro rapporto con Gesù, il Cristo, uomo e Dio? San Marco nei versetti anteriori dello stesso capitolo ha raccontato la parabola del seme gettato in terra. Ecco quindi che dopo la lezione del seme che germoglia e cresce, indipendentemente dal seminatore, che egli “dorma o vegli, di notte o di giorno”, Gesù si poteva attendere dai suoi discepoli un atteggiamento fiducioso, un atto di fede in colui che aveva preso l’iniziativa della traversata, anche se ora era sprofondato nel sonno. Gesù deve costatare invece che i suoi discepoli non hanno ancora una fede compiuta. D’altra parte, il sonno di Gesù, lo sgomento dei discepoli e la loro mancanza di fede fanno pensare agli avvenimenti raccontati alla fine del Vangelo secondo Marco (Mc 16,10-14). Coloro che erano stati con Gesù hanno rischiato di sprofondare, travolti dal dubbio, al momento della morte e sepoltura del loro Maestro. Non hanno creduto coloro che annunciavano il suo risveglio da morte. Manifestandoci agli Undici, gli ha rimproverati, come in questo caso, per la loro incredulità e la loro inquietudine si è subito calmata. La fede ci insegna a non esaltarci nel successo e a non abbatterci nelle tempeste, ma a riconoscere sempre in ogni evento che il Signore è presente e ci accompagna nel cammino della storia. Come dice la colletta della Messa, il Signore non priva mai della sua guida coloro che ha stabilito sulla roccia del suo amore.

 

 

domenica 13 giugno 2021

LA CROCE

 



 

Claudio Doglio, La Croce. Simbologia, arte, storia e spiritualità, Effatà Editrice, Cantalupa (Torino) 2021. 159 pp. (€ 15,00).

 

La croce è la roccia solida della nostra fede: siamo nati proprio dalla morte in croce del Signore Gesù e la nostra vita cristiana è profondamente segnata da quell’evento doloroso che è gesto di amore e del compimento di una vita che realizza le nostre vite. Studiare l’importanza della croce nella storia, nell’arte e nella fede, quindi, può aiutarci a progredire nella nostra vita cristiana e maturare come credenti. 

[…] 

La croce non è un semplice simbolo, è una persona: nell’arte e nella fede la croce rappresenta la persona stessa di Gesù e richiama il dramma vissuto da quella persona, un dramma di morte e di risurrezione. Nel tempo, quell’oggetto concreto è diventato significativo, pieno di valore, carico di riferimenti teologici importanti, perché quando parliamo di croce pensiamo ad una persona, ci riferiamo al Signore Gesù. Possiamo quindi riflettere sulle varie forme che la croce ha assunto nei secoli e nelle culture, sull’infinità di caratteristiche che l’hanno portata ad essere un gioiello prezioso che orna corone e scettri, un segno da porre sui campanili delle nostre chiese e sulle montagne, un simbolo religioso per le scuole e le case; al di là dell’oggetto in sé, però, il riferimento costante è alla persona di Gesù. È la sua persona che ci sta a cuore e che ci interessa conoscere meglio.

 

(Dal Prologo, pp. 5 e 7)

 

sabato 12 giugno 2021

DOMENICA XI DEL TEMPO ORDINARIO ( B ) – 13 Giugno 2021

 


 

Ez 17,22-24; Sal 91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34

 

La parola di Dio di questa domenica parla di piccolezza, povertà, umiltà e ci invita ad un rapporto di totale e fiduciosa dipendenza da Dio nell’essere e nell’operare. Dio si rivela come colui che ci dà un futuro, in particolare a coloro che, perché deboli e piccoli, sono senza speranza. Così vediamo che nella prima lettura il profeta Ezechiele descrive l’azione del Signore Dio adoperando l’allegoria del ramoscello del cedro che Dio stesso pianta sui monti di Israele. La piccola pianta - dice il profeta in nome di Dio - “metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico”. Il cedro, con la sua magnificenza, nell’immaginario collettivo dell’antico vicino Oriente è il simbolo dei grandi regni.

 

Le parole del profeta Ezechiele sono lo sfondo adeguato per la comprensione delle due brevi parabole del vangelo d’oggi che fanno leva sull’immagine del seme che cresce. Gesù parla del regno di Dio, che è come la semente che cresce da se o come “un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto…” Il regno di Dio cresce in noi con il seme della Parola, ascoltata e interiorizzata alla luce della fede. La fede nella parola di Dio ha una sua manifestazione nella fiducia che, come ci racconta la seconda lettura, san Paolo conserva anche davanti alla prospettiva della sua morte. Alla luce della fede, nemmeno la morte è vista come un fallimento; anzi essa può venir trasformata nel compimento pieno dell’obbedienza a Dio.

 

Da queste riflessioni possiamo ricavare alcune lezioni pratiche. Dio dona un futuro specie al povero e al debole, a chi conta su di lui, al chicco di frumento e di senape; stronca invece il superbo, il prepotente, l’autosufficiente, chi attende tutto e solo da se stesso. Tutto ciò quindi che è fondato unicamente su fattori imposti dall’esterno, su valori non assimilati interiormente, prima o poi è destinato al fallimento. Bisogna rispettare la legge della crescita con i suoi passaggi e le sue fatiche.

 

 

domenica 6 giugno 2021

LA MESSA SPIEGATA CON PROFONDITÀ E AL TEMPO STESSO CON SEMPLICITÀ

 


 

 

Andrea Grillo – Daniella Conti, La Messa in 30 parole. Un piccolo abbecedario. Disegni di Luca Palazzi (Vivere la Liturgia 65), Paoline, Milano 2021. 202 pp. (€ 13,00).

 

Questo libro merita l’attenzione sia del teologo che del pastore, sia degli adulti che dei giovanissimi. In trenta parole, che fanno riferimento a trenta momenti della celebrazione eucaristica (dal “raduno” al “congedo”), gli Autori illustrano con profondità e al tempo stesso con semplicità il significato della messa. Ogni parola è spiegata con profondità teologica dal Prof. Andrea Grillo e con saggia semplicità da Daniela Conti.

 

Vorrei proporre un esempio che illustra il metodo seguito dagli Autori. Quando nel capitoletto 24 si parla dei “riti di comunione”, Andrea, dopo ricordare il progressivo separarsi nella storia di tre esperienze, che hanno tutte le loro radici nella messa: assistere alla messa come sacrificio, fare la comunione e adorare il Santissimo Sacramento, afferma il recupero attuale delle tre esperienze (sacrificio, comunione, presenza) come parti strutturali della messa. Da parte sua, Antonella cerca di far capire la stessa dottrina con queste parole: separare le tre esperienze, sarebbe come illudersi di poter gustare una parmigiana di melanzane mangiando prima il pomodoro, poi le melanzane, poi la mozzarella… gradevoli anche separatamente, certo, ma la somma dei loro singoli sapori non ha niente a che vedere con il gusto di una buona parmigiana.

 

venerdì 4 giugno 2021

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (B) – 6 Giugno 2021

 


 

Es 24,3-8; Sal 115; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26

 

Le tre letture odierne ci invitano a riflettere sul significato dell’Eucaristia come sacrificio della nuova ed eterna alleanza tra Dio e gli uomini. Dio, nel sangue di Cristo suo Figlio ha stretto con noi una nuova alleanza che dà compimento a quella antica stipulata con Israele con la mediazione di Mosè.

 

Il brano del libro dell’Esodo racconta la celebrazione dell’alleanza tra Dio e il popolo d’Israele ai piedi del monte Sinai, dopo la proclamazione del decalogo, la carta costituzionale del popolo di Dio. La celebrazione si conclude con la solenne promessa del popolo: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto”. Allora Mosè prende il sangue degli animali sacrificati - di cui una metà era stata versata sull’altare - e ne asperge il popolo dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!”. Il rito del sangue, considerato sede e veicolo della vita, esprime il rapporto vitale del popolo che accoglie le parole del Signore e si impegna ad attuarle.

 

La seconda lettura ci ricorda che il Signore Gesù è diventato l’unico sacerdote e mediatore della nuova alleanza “non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue”. A questo punto diventa possibile comprendere il testo evangelico che riporta il racconto dell’ultima cena. Quando Gesù offre ai suoi discepoli il calice e dice: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti”, non c’è dubbio che intende riferirsi al sangue nel quale era stata stipulata l’alleanza sinaitica. Il sangue che Gesù versa sulla croce ed offre nell’Eucaristia è il sangue della nuova alleanza. Gesù con il suo sacrificio realizza contemporaneamente le due dimensioni dell’alleanza: l’impegno di Dio verso l’uomo, verso noi e la nostra obbedienza verso Dio. La nuova alleanza con Dio, sigillata col sangue di Cristo, si perpetua nei secoli nella misura in cui noi, nutriti con il pane e il vino dell’Eucaristia, siamo capaci di riprodurre in noi lo stile oblativo della vita di Cristo attraverso l’obbedienza alla sua parola e attraverso il dono di noi stessi nell’amore verso i fratelli.

 

Notiamo che il sangue della nuova alleanza viene versato “per molti”, espressione che nel parlare semitico non si oppone a tutti, ma può significare “per tutti che sono molti”, cioè per tutti gli uomini senza distinzione. Tutti coloro che partecipano di questo patto sono anche uniti tra di loro, chiamati tutti a formare l’unico popolo di Dio. L’orizzonte si allarga quindi oltre il gruppo dei discepoli. Essi, nella prospettiva di Gesù, costituiscono il nucleo di una comunità che potenzialmente abbraccia tutti gli esseri umani. Nel pane e nel vino dell’eucaristia si prolunga l’efficacia salvifica della morte di Gesù che rende possibile un nuovo rapporto degli uomini tra loro e con Dio.