Gb 38,1.8-11; Sal 106; 2Cor 5,14-17; Mc 4,35-41
Il
tema del mare unifica il contenuto della prima lettura e quello della lettura
evangelica. Con le sue tempeste improvvise e la sua forza invincibile, il mare
ha sempre colpito l’immaginazione degli antichi, che lo consideravano un simbolo
delle potenze demoniache, perché incontrollabile. Nella Bibbia il mare e
l’oscurità sono simbolo del caos iniziale, dominato e vinto dalla potenza
creatrice di Dio (cf. Gn 1). Il mare è la sede di tutte le forze ostili a Dio,
destinato a scomparire per sempre quando la creazione sarà totalmente rinnovata
(cf. Ap 21,1). La vittoria sulle malefiche potenze del mare non è in potere
dell’uomo; è solo di Dio, l’unico che riduce la tempesta al silenzio (cf. salmo
responsoriale). Su questo scenario, il gesto di Gesù che calma la tempesta sul
lago e salva i discepoli dal naufragio acquista tutto il suo significato.
Notiamo che si tratta di un miracolo che Gesù non compie per la folla, che è
assente; protagonisti del racconto sono Gesù e i discepoli. Si tratta quindi di
un evento del quale i discepoli sono chiamati a cogliere il segreto. Quale
segreto?
Possiamo
affermare che il racconto di san Marco ha una doppia finalità: farci conoscere
meglio la persona di Gesù e illustrare poi quale dev’essere il nostro rapporto
con lui. Infatti, il passo evangelico descrive uno degli eventi più
dimostrativi della vera identità di Cristo. E’ l’unico testo in cui si parla
del sonno di Gesù, il quale essendo soggetto a questo bisogno umano appare come
vero uomo. Al tempo stesso però Gesù agisce da assoluto e incontrastato padrone
delle forze della natura e, in questo modo, si manifesta ai discepoli come vero
Dio.
Quale
dev’essere il nostro rapporto con Gesù, il Cristo, uomo e Dio? San Marco nei
versetti anteriori dello stesso capitolo ha raccontato la parabola del seme
gettato in terra. Ecco quindi che dopo la lezione del seme che germoglia e
cresce, indipendentemente dal seminatore, che egli “dorma o vegli, di notte o
di giorno”, Gesù si poteva attendere dai suoi discepoli un atteggiamento
fiducioso, un atto di fede in colui che aveva preso l’iniziativa della
traversata, anche se ora era sprofondato nel sonno. Gesù deve costatare invece
che i suoi discepoli non hanno ancora una fede compiuta. D’altra parte, il
sonno di Gesù, lo sgomento dei discepoli e la loro mancanza di fede fanno
pensare agli avvenimenti raccontati alla fine del Vangelo secondo Marco (Mc
16,10-14). Coloro che erano stati con Gesù hanno rischiato di sprofondare,
travolti dal dubbio, al momento della morte e sepoltura del loro Maestro. Non
hanno creduto coloro che annunciavano il suo risveglio da morte. Manifestandoci
agli Undici, gli ha rimproverati, come in questo caso, per la loro incredulità
e la loro inquietudine si è subito calmata. La fede ci insegna a non esaltarci
nel successo e a non abbatterci nelle tempeste, ma a riconoscere sempre in ogni
evento che il Signore è presente e ci accompagna nel cammino della storia. Come
dice la colletta della Messa, il Signore non priva mai della sua guida coloro
che ha stabilito sulla roccia del suo amore.