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lunedì 29 febbraio 2016

IL MESSALE ROMANO LATINO-ITALIANO DEL 1965


Più volte si è parlato del Messale Romano Latino-Italiano del 1965 come del Messale con la traduzione e l’adattamento della Messa, secondo il dettato del Concilio Vaticano II. Questo Messale, si dice, fu accettato pacificamente da tutti i tradizionalisti. Noto però che a parte la scomparsa del salmo 42 all’inizio della Messa e qualche altra piccola modifica, il testo è sostanzialmente quello del Messale del 1962, anteriore al Vaticano II.
Quale autorità "giuridica" ha questo Messale? Il titolo completo del Messale è Messale Romano Latino-Italiano per i giorni feriali e le feste. Si tratta di una edizione del Messale Romano quotidiano di Dom G. Lefebvre o.s.b., a cura dell’Apostolato Liturgico di Genova. L’edizione è stata "autorizzata" dalla Conferenza Episcopale Italiana. L’Imprimatur del Messale però è firmato il 24 giugno 1965 dal vescovo di Casale Monferrato Giuseppe Angrisani, città dove ha la sede l’Editrice Marietti che ha stampato il volume. Il Messale è stato pubblicato senza alcun Decreto della CEI. Si noti poi che la pubblicazione delle diverse edizioni tipiche dei libri liturgici della Liturgia Romana sono competenza della Santa Sede e le diverse edizioni sono introdotte da un Decreto della Congregazione del culto divino (o prima: della Sacra Congregazione dei Riti).  

Da quanto detto, è evidente che il Messale del 1965 non forma parte della storia del Missale Romanum, che ha conosciuto dopo l’edizione tipica di Pio V nel 1570 altre diverse edizioni tipiche.

 

domenica 28 febbraio 2016

DOMENICA IV DI QUARESIMA (ANNO C) - CANTI DELLA MESSA



Nel blog Il Naufrago del Maestro Aurelio Porfiri troverete i canti della Messa della IV Domenica di Quaresima (C):

Antifona di introito: Rallegrati, Gerusalemme

Ritornello del salmo responsoriale: Gustate e vedete

Antifona di comunione: Gerusalemme



http://ilnaufrago.com/

venerdì 26 febbraio 2016

DOMENICA III DI QUARESIMA (C) – 28 Febbraio 2016


 
Nelle domeniche III, IV e V di Quaresima, il ciclo C di letture bibliche si configura come una catechesi sulla riconciliazione tema che trova il suo vertice nella celebrazione della Pasqua, segno supremo della nostra riconciliazione con il Padre.

Es 3,1-8a.13-15: Dio manda Mosè agli Israeliti per liberarli
Sal 102 (103): Il Signore ha pietà del suo popolo

1Cor 10,1-6.10-12: La sorte del popolo ebraico nel deserto avvenne come esempio per noi

Vangelo: Lc 13,1-9: Se l’albero non porta frutto, sarà tagliato

 
Il salmo responsoriale afferma che Dio è buono, paziente e magnanimo nel perdonare le nostre colpe. Nel tempo quaresimale, quest’inno è un invito ad aprire il cuore alla misericordia di Dio, pronto sempre a perdonare.
 
Nel cuore della Quaresima risuona l’invito pressante alla conversione. Dio ha compassione delle sofferenze del popolo d’Israele che vive sotto il giogo della schiavitù, e sceglie Mosè per guidare il suo popolo attraverso il deserto verso la terra promessa. San Paolo ricorda che la maggior parte di coloro che hanno lasciato l’Egitto non hanno raggiunto il traguardo della terra promessa, perché si sono ribellati al loro Dio. Questi fatti sono stati scritti per nostro ammonimento.

Nel brano evangelico due fatti di cronaca forniscono a Gesù lo spunto per parlare del giudizio divino e di esortare i suoi ascoltatori ad un atteggiamento sincero e costante di conversione. La conversione è uno dei punti nodali della predicazione di Gesù, e quindi un elemento costitutivo e costante dell’esistenza cristiana: anzi, si può ben dire che l’esistenza cristiana trae origine dalla conversione e si sviluppa attraverso un continuo cammino di conversione, che la Quaresima esprime in modo simbolico come tempo di preparazione alla Pasqua.

mercoledì 24 febbraio 2016

“IMITEMUR QUOD AGIMUS”


 
 
E’ nota l’affermazione di San Gregorio Magno che, nel commentare il profeta Ezechiele, dice “Scriptura cum legente crescit” ( Omelie su Ezechiele 2,2,1); la Scrittura cioè cresce con chi la legge. In modo diverso, il gesuita Paul Beauchamp, noto biblista, afferma lo stesso quando dice che la verità della Scrittura non sta solo dietro (nella lettera del libro sacro), ma davanti ad essa (nell’approfondimento e appropriazione di colui che legge il libro). Queste espressioni sono in sintonia con la doppia dinamica della Tradizione che è attestata dalla Parola e testimoniata dalla fede vissuta. Possiamo affermare lo stesso della liturgia, la cui verità non sta solo dietro (nel libro liturgico o nel rito tramandato), ma anche e soprattutto davanti: sta nei destinatari, non solo nella fonte; sta anche nel dono dello Spirito alla comunità celebrante.

Non basta eseguire il rito nel rispetto delle forme previste dal libro liturgico. Partecipare alla celebrazione liturgica significa appunto dare pienezza al rito sia nel momento celebrativo sia in seguito nel vissuto quotidiano. Se la partecipazione non attraversa in profondità la vita, è un’opera incompiuta. C’è sempre il rischio di trasformare la celebrazione liturgica in un semplice rito “edificante” ma sostanzialmente non vero.

… praesta, ut, qui dominicae passionis mysteria celebramus, imitemur quod agimus”

“… fa che testimoniamo nella santità della vita la passione che celebriamo nel mistero”

Questa supplica la troviamo più volte nelle tradizione eucologica della liturgia romana. Nel Messale Romano di Paolo VI, è presente nell’orazione sulle offerte della memoria di san Giovanni della Croce (14 dicembre) e nei formulari del Comune dei martiri. Per san Leone Magno, il mistero di Cristo è racchiuso nel sacramento in quanto applica l’azione divina in noi, ma è anche esempio in quanto suscita la risposta umana a questa sua azione divina, invitandoci quindi all’imitazione. Pertanto è per Cristo-sacramento che si tende a Cristo, che è la realtà piena attraverso l’imitazione. Non si tratta di due cose diverse, ma di due aspetti diversi e complementari della stessa realtà, dello stesso sacramento di salvezza: la comunione con Cristo si realizza attraverso l’imitazione che nasce dal sacramento. L’imitazione deriva dal sacramento come l’agire deriva dall’essere. “Imitemur quod agimus”!

 

 

 

 

martedì 23 febbraio 2016

CAMMINO DI QUARESIMA

Per ogni cosa c’è il suo momento, ci ricorda il libro del Qoèlet : « C’è un tempo per cercare e un tempo per perdere… » (3,6ss). Il tempo della vita è il tempo del cercare per eccellenza : cercare il senso dell’esistenza, porsi le eterne domande che prima o poi nascono nel cuore di ognuno (da dove vengo, dove vado…). L’uomo è l’unica creatura inquieta, in continua ricerca, desiderosa di pace, gioia, vita e che al contempo si trova spesso a sperimentare la lotta, il dolore, la tristezza… incamminato com’è verso l’inevitabile morte.

Per l’uomo, però, finché vive, c’è sempre tempo per riflettere, capire, ricominciare! Egli è “pellegrino dell’Assoluto”, in continua ricerca di quella pienezza che possa per sempre riempire l’immensità del suo cuore.

La Quaresima è un tempo “speciale” per la ricerca dell’uomo, per il suo ricominciare e il suo convertirsi: “tempo di grazia”, di rinnovamento, di ascolto della parola di Dio, tempo per una conoscenza più profonda di sé, per un incontro con “Qualcuno” che può trasformare e ri-orientare tutta la vita.

Il cammino proposto in questo libro è un vero e proprio viaggio: nel deserto, nel silenzio, nella solitudine. Abbiamo bisogno di fermarci, di creare spazi e tempi di ascolto in cui poter “leggere” dentro di noi, vedere cosa c’è nel “guazzabuglio” del nostro cuore, riconoscere ciò di cui “digiunare”, a cui dire “no”, e trovare ciò che è buono e bello nella vita a cui dire un grande “sì”.

E’ un cammino di verità dove si scontriamo con forze molto più potenti di noi, che non possiamo superare con le nostre sole capacità e per cui sentiamo la necessità di un aiuto dall’Alto. Un cammino in cui diventa importante “pregare per discernere”: spesso si aprono parecchie vie davanti a noi e ci troviamo confusi sulla direzione da prendere. Da qui il bisogno di avere sempre come “compagna fedele”, la parola di Dio (« lampada sui miei passi », Sal 119,105), che ci introduce nell’ascolto e nel dialogo intimo con il Signore. Questo cammino ha bisogno anche di persone che aiutino, in particolare di un amico spirituale con cui condividere le cose più profonde del cuore, una “guida” che abbia esperienza, una persona saggia e santa che affianchi nell’itinerario stupendo della conoscenza di sé, del discernimento, dell’incontro profondo con Dio.

[…]


(Dalla Introduzione al volume)

sabato 20 febbraio 2016

DOMENICA II DI QUARESIMA (C) – 21 Febbraio 2016


 

Gn 15,5-12.17-18: Dio conclude un’alleanza con Abram, il credente
Sal 26 (27): Il Signore è mia luce e mia salvezza

Fil 3,17-4,1: Cristo ci trasfigurerà secondo il modello del suo corpo glorioso
Lc 9,28b-36: Cristo si trasfigura e apre per un attimo il mistero della sua gloria





Vale la pena fidarsi di Dio perché egli è fedele alle sue promesse. Questo messaggio riprende e sviluppa uno degli aspetti del messaggio della domenica scorsa invitandoci ad una fede che si apre alla speranza. La certezza di “contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi” (salmo responsoriale), ci deve dare la forza della speranza anche nei momenti della sofferenza e della prova.


Il vangelo riporta il brano della trasfigurazione. Gesù offre ai tre discepoli prediletti una visione anticipata della sua gloria di risorto, che culmina nella testimonianza del Padre che rivela l’identità profonda di Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. E’ da sottolineare l’invito all’ascolto, ripreso dalla colletta del giorno. Come ricorda il prefazio, poco prima dell’evento della trasfigurazione, Gesù fa il primo annuncio della sua passione e morte e, in seguito, indica le condizioni per seguirlo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).

 
La celebrazione eucaristica è prefigurazione e anticipazione del banchetto eterno nel quale contempleremo il volto glorioso del Cristo, quel volto trasfigurato di cui i discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo ebbero sul monte Tabor un saggio transitorio. 
 



giovedì 18 febbraio 2016

UN MOVIMENTO ANTI-VATICANO II ?


 
«…Si è formato in alcune aree del conservatorismo e tradizionalismo cattolico, un “nuovo movimento liturgico” esplicitamente teso a “riformare” i frutti della riforma liturgica conciliare (non limitandosi agli abusi), ma esplicitamente incaricatosi di liberare il cattolicesimo dalle riforme e dalla teologia conciliare tout court.

Uno dei paradossi del fenomeno è dato dalla sostituzione del movimento liturgico conciliare (che diede i suoi frutti al Vaticano II, e non solo nella Sacrosanctum Concilium) con un movimento liturgico anti-conciliare (che parte dalla riforma liturgica avendo nel mirino tutte le riforme che seguirono quella liturgica). In un certo senso questo cortocircuito è esemplificativo delle ambiguità del termine “movimento”, frutto di una miscela di diversi elementi: un carisma particolare legato alla figura del fondatore, un gruppo più o meno formalizzato di fedeli con una cultura condivisa, un’attività di coordinamento per una azione di lobby presso la gerarchia ecclesiastica.

L’elemento d’interesse è dato dalle nuove forme di articolazione del rapporto tra liturgia e spiritualità all’interno dell’universo del tradizionalismo liturgico anti-conciliare. La riforma avviata dalla Sacrosanctum Concilium  ridefiniva non solo il rito, ma il rapporto tra il rito e la vita cristiana e in particolare tra il rito e le fonti della teologia e della spiritualità. La riforma liturgica conciliare ricentrava la vita della Chiesa sulla liturgia, ma de-centrando il rito in direzione della Scrittura e della tradizione in un’ottica più ampia. Il più abbondante accesso alla parola di Dio costituisce, infatti, uno dei portati più consequenziali della riforma liturgica: dal testo biblico, alla spiritualità biblica, al cristocentrismo, fino a una più matura comprensione della figura di Gesù Cristo. In questo senso attaccare la riforma liturgica conciliare equivale attaccare quei portati, e isolare il rito liturgico in un utero identitario al riparo dal discorso teologico sull’identità cristiana, a partire dall’identità del Cristo.

[…]

E’ chiaro il potenziale esplosivo nascosto sotto una certa qual leggerezza nel vedere una facile e quasi ovvia compatibilità teologica tra il rito liturgico conciliare e quello preconciliare all’interno della comunione cattolica…»

Fonte: Massimo Faggioli, Spiritualità liturgica e movimenti ecclesiali: da Giovanni Paolo II a Francesco, in “Rivista Liturgica” 102 (4/2015) qui 677-679.

 

 

mercoledì 17 febbraio 2016

LA QUARESIMA COME "SACRAMENTUM"


 
Nel Missale Romanum di Paolo VI, il formulario della Domenica I di Quaresima parla per ben due volte della Quaresima come “sacramentum”. Nell’orazione colletta troviamo l’espressione : “per annua quadragesimalis exercitia sacramenti”. E’ difficile rendere in italiano il vero senso di questo ricco testo latino. L’edizione ufficiale italiana del Messale ha tradotto : “segno sacramentale della nostra conversione”.

 
La preghiera sulle offerte della stessa Domenica afferma che di questo “sacramentum” celebriamo l’inizio: “venerabilis sacramenti celebramus exordium” (preghiera che nel Missale Romanum del 1962, si trova come Secreta nel Mercoledì delle Ceneri). Questa volta però il Messale italiano ha rinunciato a tradurre il termine in questione, e si esprime in questi termini: “… l’inizio della quaresima, tempo favorevole per la nostra salvezza”. In ogni modo, in questo caso il testo potrebbe riferirsi anche alla celebrazione eucaristica. Infatti, la breve preghiera si esprime in questi termini : “Fac nos, quaesumus, Domine, his muneribus offerendis convenienter aptari, quibus ipsius venerandi sacramenti celebramus exordium”.

 
Le due preghiere in questione si trovano già nel cosiddetto Sacramentario Gelasiano Antico del secolo VII circa: la colletta, al n. 104; la preghiera sulle offerte, al n. 91 dell’edizione a cura di L. C. Mohlberg.

 

Se la Quaresima è un “sacramento”, cioè un “segno sacro”, ciò significa che tutto quanto forma parte dell’istituzione quaresimale – gesti e parole – è una realtà celebrativa unitaria e significativa. Quindi la preghiera, il digiuno, l’elemosina (le tre tradizionali pratiche quaresimali) e tutti gli altri “gesti” della Quaresima illustrati dalle “parole” di lode, di ringraziamento, di supplica con cui la Chiesa si esprime nella liturgia di questo periodo dell’anno liturgico.

 

martedì 16 febbraio 2016

I MINISTERI « ISTITUITI » ANCHE ALLE DONNE ?


« Sono convinto dell’urgenza di offrire spazi alle donne nella vita della Chiesa e di accoglierle, tenendo conto delle specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali ». Così si esprimeva papa Francesco l’anno scorso nella plenaria del dicastero della Cultura, incentrata sul tema “Le culture femminili: uguaglianza e differenza”. Queste parole devono trovare riscontro anche nel ruolo della donna nella liturgia. C’è ancora in alcuni ambienti una certa resistenza alla presenza femminile intorno all’altare (chierichette, lettrici, ministri straordinari della comunione, ecc.). Si tratta invece di qualcosa che dovrebbe essere del tutto normale. Il Codice di Diritto Canonico, al can. 230, afferma:
§ 2 – « I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; così pure tutti i laici possono esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora, a norma del diritto ».
§ 3 – « Ove lo suggerisca la necessità della Chiesa, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra comunione, secondo le disposizioni del diritto ».
 
Questi ministeri liturgici e di supplenza, di cui parla il canone, possono essere affidati indistintamente a uomini e donne. Atteso il loro carattere temporaneo, il conferimento non richiede l’istituzione liturgica.
 
I suddetti ministeri esigono capacità e competenza. I laici, uomini e donne, che vi sono addetti hanno bisogno di un’adeguata preparazione (dottrinale, morale, spirituale, liturgica e pedagogico-pastorale) per poterli esercitare in modo appropriato. La responsabilità al riguardo è soprattutto dei vescovi, dei parroci e dei rettori delle chiese.
 
Nel Messale Romano, seconda edizione italiana (1983), la Commissione Episcopale per la Liturgia ha fatto alcune precisazioni che riguardano l’argomento in questione: 8 – Uffici particolari: « I lettori – uomini e donne – che in mancanza di ministri istituiti proclamano dall’ambone le letture o propongono  le intenzioni della preghiera universale o dei fedeli, siano ben preparati ed edifichino l’assemblea con la proprietà dell’atteggiamento e dell’abito ».
 
Dopo il Concilio Vaticano II nella chiesa cattolica di rito latino abbiamo i “ministeri istituiti di lettore e di accolito”. Tuttavia, secondo il can. 230 § 1, si tratta di ministeri riservati ai laici di sesso maschile. Di conseguenza nella la situazione pastorale concreta abbiamo uomini e donne che possono essere lettori ed esercitare l’ufficio dell’accolito o di servizio all’altare senza l’istituzione ufficiale; in questo modo si è dato vita a due classi di lettori ed accoliti, quelli istituiti riservati ai laici di sesso maschile e quelli di fatto esercitati anche dai laici di sesso femminile, che sono poi la stragrande maggioranza. Non vedo nessuna difficoltà né teologica né pastorale ad ammettere anche le donne ai ministeri istituiti, anzi sarebbe un atto di giustizia nei confronti di tantissime donne che servono la Chiesa in questi settori.
 

domenica 14 febbraio 2016

QUALE SOLENNITA’?


Il concetto di solennità riferito alla celebrazione liturgica è espresso molto bene dall’Istruzione Musicam sacram del 5  marzo 1967 quando al n. 11 afferma:

«Si tenga presente che la vera solennità di un’azione liturgica dipende non tanto dalla forma più ricca del canto e dall’apparato più fastoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione, che tiene conto dell’integrità dell’azione liturgica, dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo la loro natura. La forma più ricca del canto e l’apparato più fastoso delle cerimonie sono sì qualche volta desiderabili, quando cioè vi sia la possibilità di fare ciò nel modo dovuto; sarebbero tuttavia contrari alla vera solennità dell’azione liturgica, se portassero ad ometterne qualche elemento, a mutarla o a compierla in modo indebito».

Nelle fonti liturgiche antiche e moderne, dal cosidetto Sacramentario Veronese al Messale Romano di Paolo VI, «sollemnitas» indica generalmente la celebrazione liturgica in sé come un tutto. Così l’espressione «Missarum sollemnia», che appare per prima volta in un’omelia per il giorno di Natale di san Gregorio Magno, significa semplicemente «celebrazione della Messa». C’è quindi solennità quando la celebrazione liturgica si esprime con tutti i suoi elementi, in modo unitario e nel rispetto della «natura» delle sue diverse parti: letture, preghiere, acclamazioni, gesti, canti, silenzi, ecc. Non si tiene conto dell’ «integrità dell’azione liturgica» quando, ad esempio, il canto è inserito nella celebrazione come un semplice elemento «ornamentale» del rito e non come un elemento costitutivo della stessa azione liturgica. I testi cantati sono parte della stessa celebrazione e non vanno «recitati» dal celebrante che presiede mentre il coro o l’assemblea canta, come avveniva nell’ordinamento liturgico anteriore al Vaticano II. In sostanza ciò che si canta è la celebrazione stessa, e cioè si «celebra» anche attraverso il canto. Quando invece il canto viene adoperato come «ornamento» e sovrapposto talvolta all’azione rituale non accresce da per sé la vera solennità della celebrazione perché non si tiene conto  dell’esecuzione di tutte le sue parti e si mortifica quindi l’intrinseca unitarietà dei segni che costituiscono la celebrazione stessa. 

La Costituzione Sacrosanctum Concilium, al n. 113, aggiunge una precisazione importante quando afferma : «L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la parteciapzione attiva del popolo». E più avanti, al n. 114, dice: «I vescovi e gli altri pastori d’anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata con il canto tutta l’assemblea dei fedeli possa parteciapare attivamente». Quindi una celebrazione con canto, nel rispetto di quanto ho detto sopra, nella quale però il canto è affidato ad una piccola schola e il resto dell’assemblea dei fedeli non canta nulla o quasi (come talvolta capita qui a Roma in molte piccole chiese o rettorie del centro), non ha tutti i crismi della solennità. L’altro estremo è quello di alcune parrocchie in cui canta solo l’assemblea dei fedeli testi che non sono quelli proposti dalla liturgia, ma canzonette più o meno pertinenti al momento celebrativo.  

venerdì 12 febbraio 2016

DOMENICA I DI QUARESIMA (C) – 14 Febbraio 2016


Dt 26,4-10: Professione di fede del popolo eletto

Sal 90 (91): Resta con noi, Signore, nell’ora della prova

Rm 10,8-13: Professione di fede dei credenti in Cristo

Lc 4,1-13: Gesù nel deserto tentato dal diavolo



Il salmo responsoriale, ripreso dall’antifona alla comunione, parla della protezione divina accordata a colui che ha fiducia in Dio. Nel vangelo con la citazione di questo salmo il diavolo ricorda a Gesù che, in quanto Figlio di Dio, ha il diritto di essere salvato dalla morte e da ogni pericolo; ha questo diritto perché Dio stesso ha promesso il suo aiuto a chi confida in lui. Gesù risponde: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”. Non si può usare la parola di Dio per eludere la sua volontà. Bisogna piuttosto fidarsi di lui nell’obbedienza incondizionata al suo volere.

La Quaresima si apre con un forte appello alla riscoperta della purezza della fede liberata da tutte le ignoranze, i surrogati e le escrescenze abitudinarie e magiche. Bisogna prendere chiara coscienza di tutto ciò che nella nostra vita contraddice la scelta fondamentale fatta nel battesimo abbracciando i valori del vangelo, scelta che deve orientare l’intero corso della nostra esistenza. Di fronte alla tentazione costante, che per la nostra naturale fragilità avvertiamo, di emanciparci da Dio e di prostituirci agli “idoli”, occorre riaffermare la fedeltà alla parola di Dio e la fede nella potenza salvatrice del Signore.


Invito tutti a leggere la Dichiarazione congiunta dell'incontro tra il papa Francesco e il patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill:

http://w2.vatican.va/content/vatican/it.html 

 
 

giovedì 11 febbraio 2016

UNA LETTURA INTERESSANTE DEL CONCILIO DI TRENTO


John W. O’Malley sj, Trento. ¿Qué pasó en el concilio? (Panorama 17), Sal Terrae 2015. 327 pp.

Il professore John W. O’Malley, dell’Università di Georgetown, è uno storico della Chiesa, specializzato nell’Europa dei secoli XVI e XVII. Ho letto il suo volume su Trento nella versione spagnola (quella italiana non è ancora sul mercato). Vorrei condividere con i lettori del blog alcune mie reazioni a questa piacevole lettura. La storia è maestra di vita e ci insegna ad interpretare il presente. Mi limito generalmente ad alcuni aspetti che hanno un rapporto con la liturgia.

Nell’Introduzione al suo volume, l’Autore ricorda che i migliori studiosi del concilio tridentino distinguono tra Trento e “tridentinismo”, e cioè, tra le decisioni propriamente dette del concilio e l’interpretazione che in seguito si è fatto di esse. Questa distinzione aiuta a capire come il concilio terminasse diventando un mito che andava oltre la realtà dell’avvenimento storico come tale (p. 11). Sempre nell’Introduzione, O’Malley afferma che Trento sulla lingua liturgica si limitò a dire che era sbagliata l’idea secondo cui la messa deve celebrarsi “soltanto” in lingua volgare, parole che se legittimano l’uso del latino, non ne dichiarano però obbligatorio l’uso (p. 19). Notiamo che il latino era la lingua internazionale del dialogo teologico, cattolico e protestante nonché la lingua ufficiale del concilio (p. 94). D’altra parte, Trento riconobbe l’utilità della comprensione di quanto si dice e si fa nella messa fino a raccomandare che il celebrante durante la celebrazione spiegasse ai fedeli qualcosa di quello che legge… (p. 190). Purtroppo, aggiunge O’Malley, molto prima della fine del concilio tridentino il latino era diventato un segno talmente chiaro dell’identità dei cattolici che il suo uso si impose in modo incontestabile (p. 190).

I decreti di Trento presentano l’eucaristia in modo frammentario, dovuto ai limiti della teologia scolastica medievale, che non era riuscita a formulare in modo sintetico e soddisfacente la indivisibile unità dei tre aspetti dell’eucaristia (sacrificio, presenza reale, comunione o “cena”) (pp. 189-190). Nei testi del concilio di Trento c’è una esortazione alla “comunione frequente”, cosa che era oggetto di dibattitto e, nonostante questa esortazione, continuò ad esserlo fino al secolo XX (pp. 147-148). Dopo il concilio tridentino, la messa era vista come il “sacrificio” della messa, ma la sua dimensione comunionale non era percepita dai fedeli perché la ricezione dell’eucaristia era fatta normalmente fuori dalla messa (p. 255). In questo contesto, si capisce perché nel periodo postridentino, il tabernacolo fosse collocato al centro dell’altre (p. 261).

Trento manifestò una persistente resistenza a concedere ai laici la comunione al calice. Questa resistenza era fondata in parte sull’autorità della Chiesa: La Chiesa aveva agito in modo illegittimo  quando aveva negato il calice ai laici? (p. 146). Pur essendoci accordo di massima sulla questione dottrinale, la discussione sui due articoli dedicati alla concessione del calice ai laici provocò una “feroce controversia” (p. 187). Pio IV però era disposto a concedere il calice ai laici a certe condizioni e, di fatto, questa concessione è stata fatta in alcune regioni. Ciò nonostante, non ebbe un seguito dato che il calice ai laici era diventato un segno distintivo tra luterani e cattolici (p. 252).

O’Malley afferma che se da una parte Trento evitò di affrontare il problema pastorale dell’ansietà che poteva provocare la confessione – ansietà che in alcune occasioni adottava forme gravi e si manifestava in persona così diverse come Lutero e Ignazio di Loyola – dall’altra parte involontariamente, con l’enfasi data alla dimensione giudiziaria della confessione, contribuì ad aumentare detto problema (p. 153). 

Nel concilio di Trento i teologi erano numerosi ed erano ascoltati prima della discussione in aula delle singole questioni. Ma questi teologi avevano due debolezze: nel presentare le idee dei protestanti prediligevano l’uso di testi isolati, male endemico della scolastica. Tolti dal loro contesto, questi testi non riuscivano ad avere piena forza come prova. In secondo luogo, i teologi erano carenti di una vera critica storica, altro male endemico della scolastica. Ciò portò il concilio a considerare di origine apostolica alcune credenze e pratiche che non lo erano (p. 249).

I rapporti tra i padri conciliari sono stati spesso tesi. Un caso che riflette questa tensione e quello in cui, nel dibattito sulla giustificazione il vescovo Tommaso Sanfelice furioso prese per la barba e agitò violentemente al vescovo francescano Dionigi Zanettini, il quale si mise a gridare forte chiamando l’attenzione dell’assemblea conciliare (p. 109).

O’Malley ricorda che san Carlo Borromeo, prototipo di fedeltà al concilio di Trento, proponeva tra l’altro che nella celebrazione della messa il sacerdote fosse rivolto verso i fedeli (versa ad populum facie).

Il lettore intelligente potrà ricavare da quanto detto alcune affinità ma anche alcune doverose differenze tra il concilio di Trento e il Vaticano II. Nihil novum sub sole!

 

 

martedì 9 febbraio 2016

TRADURRE LA TRADIZIONE


 
Tradurre la tradizione: la “svolta pastorale” del Concilio Vaticano II e il problema di “Liturgiam authenticam”

di Andrea Grillo

Che cosa è accaduto con il Concilio Vaticano II? O, meglio: è accaduto qualcosa al Vaticano II? Potremmo dire che il Vaticano II è come un “grande atto di traduzione”, che mira a tradurre la tradizione in un diverso contesto, in una nuova cultura, per nuove priorità. Questa è la sfida da cui esplicitamente il Concilio ha voluto lasciarsi mettere in gioco. E lo ha fatto “cambiando i criteri” con cui la tradizione legittima se stessa…

L’intero articolo si può leggere in:

venerdì 5 febbraio 2016

PERCHE' "MUNUS" ?





Il sostantivo latino “munus” ha una varietà di significati in ambito liturgico. La liturgia è anzitutto opera di Cristo sacerdote o, come afferma Sacrosanctum Concilium al n. 7, “esercizio della funzione (munus) sacerdotale di Cristo”. Ma la liturgia è anche opera della Chiesa, corpo di Cristo, in cui “ciascuno, ministro o fedele, svolge il proprio ufficio (munus)” (SC 28). In particolare, i pastori “esercitano in essa la funzione (munus) di dispensatori dei misteri di Dio” (SC 19). Grazia suprema della partecipazione alla liturgia, che si esprime in modo pieno nella celebrazione eucaristica, è che il Signore “fa di noi stessi un’offerta (munus) eterna a lui” (SC 12).  Questo testo riprende un concetto che si trova nelle fonti più antiche della liturgia romana e che il Messale Romano di Paolo VI (terza edizione tipica) riprende come  preghiera sulle offerte ripetuta ben cinque volte nel Tempo pasquale: feria VI della domenica III di Pasqua; sabato della  domenica IV di Pasqua; feria VI della domenica V di Pasqua; sabato della domenica VI di Pasqua; feria V della domenica VII di Pasqua:
Propitius, Domine, quaesumus, haec dona sanctifica, et, hostiae spiritalis oblatione suscepta, nosmetipsos tibi perfice munus aeternum”.

Nell’aprire quindi questo blog su “Liturgia e dintorni”, ho pensato che una parola che esprime bene il mistero liturgico nella sua globalità è proprio il sostantivo latino “munus”.

SI PUÒ PARLARE ANCORA DI QUARESIMA?


 
 
 
Per rendere più efficace il messaggio quaresimale, nel Medioevo si era soliti raffigurare allegoricamente la battaglia fra il Carnevale e la Quaresima, dove il Carnevale era rappresentato da persone paffute e gioiose seguite da una schiera di prosciutti, lardi, salami, mentre la Quaresima era rappresentata da personaggi magri e pallidi, seguiti da sardine, pesci e baccalà. Alla fine, la vittoria era sempre della Quaresima. E’ famosa al riguardo la Battaglia fra il Carnevale e la Quaresima  del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio (sec. XVI). Oggi invece qualcuno ha scritto: “Sta morendo il Carnevale perché la Quaresima è già morta da un pezzo” (F. Cardini, Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell’anno, Il Cerchio SRL, Firenze 2011, p. 201). Si può quindi parlare ancora di Quaresima? Si può parlare ancora di Quaresima e di penitenza per l’uomo di oggi?
 
Il tempo quaresimale, pur essendo un periodo importante dell’anno per l’incremento della vita cristiana, oggi la maggior parte dei battezzati non la avverte come una volta. Quando la Quaresima era sentita e osservata (magari con spirito legalistico, ma osservata) dai cristiani come un tempo contrassegnato da rinunce e pratiche penitenziali, vi era un’espressione popolare per indicare qualcosa di difficile e noioso: “lungo come una Quaresima”. Oggi quasi nessuno ricorre a questa esclamazione, semplicemente perché la Quaresima non è più vissuta “a caro prezzo”. Nel passato, le nostre chiese avevano un assetto adatto alla circostanza, si comprendeva che era Quaresima, oggi invece passa quasi inosservata. Occorre quindi riscoprire il significato e il valore della Quaresima alla luce della tradizione bimillenaria della Chiesa e nel contesto delle attuali circostanze in cui ci troviamo. Il fenomeno del secolarismo in cui è immersa la società ci conduce a un’autentica “schizofrenia” religiosa, che divide la nostra vita in due parti: la parte religiosa e la parte secolare, tra loro sempre meno interdipendenti. Bisogna fare uno sforzo spirituale per riscoprire, ricuperare e aggiornare i costumi e i richiami ereditati dalla tradizione, che costituiscono i mezzi del nostro sforzo quaresimale.

 

I DEVOTI DI P. PIO


 

5 febbraio 2016

Le spoglie dei due santi p. Pio e p. Leopoldo sono nella chiesa romana di san Salvatore in Lauro. Alle nove del mattino via dei Coronari è affollata dai devoti che fanno fila per entrare in chiesa a venerare le reliquie dei due santi.

Mi avvicino ad alcune delle persone in fila. Signora, cosa rappresenta per Lei p. Pio: “una speranza” (tutto qui). Un sacerdote: “p. Pio esprime bene l’umiltà sacerdotale del prete che dà tutta la sua vita senza aspettarsi qualcosa…” Un signore alla domanda cosa esprime per Lei p. Pio, risponde: “Il silenzio, il raccoglimento che vale molto più di una preghiera e di una parola”. Tra i devoti di p. Pio c’è anche una divorziata che si considera una “Maddalena pentita”. Una romana mi dice: ”di p. Pio mi ha colpito sempre la sua semplicità, il suo modo di fare”. Un’altra signora afferma che suo marito ha conosciuto p. Pio e quindi Lei si è avvicinata alla figura di questo santo. Una Suora croata afferma di essere venuta non solo per p. Pio ma anche per p. Leopoldo: “tutti e due sono stati grandi confessori e in quest’anno santo esprimono bene il mistero della misericordia”.

Mi hanno colpito le risposte non banali…

 
Piazza san Salvatore in Lauro - Roma




giovedì 4 febbraio 2016

LITURGIA E CLIMATOLOGIA


 
Stiamo vivendo un periodo di siccità. Alcuni vescovi hanno invitato i fedeli a pregare perché piova. Tra le Orationes diversae del Missale Romanum del 1962, abbiamo una oratio, una secreta e una postcommunio Ad petendam pluviam (n. 16). Il Missale Romanum di Paolo VI (editio typica tertia 2002, reimpressio emmendata 2008) ha conservato solo la collecta (la stessa oratio del Messale del 1962) nella sezione Pro circumstantiis publicis (n. 35, p. 1138).

La climatologia possiede oggi mezzi e tecniche che non aveva nei secoli scorsi. Come conoscere, ad esempio, l’andamento climatico del secolo XVI e seguenti quando non c’erano le macchine sofisticate oggi in uso? Alcuni hanno frugato negli archivi delle diocesi e delle cattedrali e hanno trovato notizie indirette sulla situazione climatica dei secoli passati. In caso di siccità o anche di alluvioni o altri fenomeni simili, vengono prescrite pubbliche preghiere, processioni penitenziali, pellegrinaggi ai santuari, e così via... secondo la gravità del caso.  Questo metodo di ricerca è stato adoperato in alcune parti di America Latina, in alcune regioni della Spagna e anche nel Sud d’Italia.