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domenica 29 gennaio 2023

UN BUON SUSSIDIO PER L’OMELIA

 



 

Fabio Rosini, Di Pasqua in Pasqua. Commenti al Vangelo domenicale dell’Anno liturgico A, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022. 233 pp. (€ 16.00).

Tra i numerosi sussidi per l’omelia domenicale, mi piace presentare il volume di Don Fabio Rosini. Nelle pagine di questo volume, Don Fabio, come egli stesso afferma, si pone accanto al lettore, sostando sui brani del Vangelo che il Lezionario propone nel ciclo liturgico dell’anno A, fondamentalmente centrato sul Vangelo secondo Matteo. Le singole riflessioni, di due o anche tre pagine, sono precedute da un inquadramento ai vari tempi liturgici (Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Tempo Ordinario) che permette di coglierne il significato più profondo e i tratti caratteristici. Con un linguaggio schietto e profondo, Don Fabio permette a ogni domenica e solennità dell’anno di sprigionare quella forza luminosa che essa racchiude in sé.  

 

venerdì 27 gennaio 2023

DOMENICA IV DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 29 Gennaio 2023

 



 

Sof 2,3; 3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a

 

         

Nella prima lettura il profeta Sofonia ci ricorda che il resto fedele di Israele sarà un popolo umile e povero capace di cercare il Signore. Nella seconda lettura san Paolo, invitando i Corinzi a considerare la vocazione cristiana, dice loro, riferendosi alla croce di Cristo, che Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Infine, la lettura evangelica riporta il testo delle beatitudini che iniziano proclamando “beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Due concetti dobbiamo chiarire: che significato hanno le beatitudini nel vangelo e, in particolare, chi sono questi “poveri in spirito” proclamati beati.

 

Il brano del vangelo odierno inizia così: “vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo...” In questo modo solenne viene introdotto il cosiddetto discorso della montagna che rappresenta il cuore del vangelo di san Matteo e il modello di vita del cristiano. Come Mosè sul Sinai ricevette da Dio la legge fondamentale del suo popolo, così Gesù sale sulla montagna per proclamare la nuova legge che dà compimento alla legge antica. Le beatitudini sono il sunto di questa nuova legge, vera carta costituzionale del nuovo popolo di Dio. Esse hanno trovato in Cristo la perfetta attuazione. Le beatitudini diventano allora l’identikit del discepolo di Gesù che cerca di seguire il suo Maestro. Più che le singole affermazioni del testo delle beatitudini interessa rilevare il movimento che orienta la vita secondo un itinerario che va da un presente di croce verso un futuro di gloria: “Beati... perché saranno consolati... avranno in eredità la terra... saranno saziati... troveranno misericordia... vedranno Dio... saranno chiamati figli di Dio”. Questo programma trova riscontro nella vita di Gesù, soprattutto nella sua passione, morte e risurrezione. In sintesi, possiamo affermare che le beatitudini ci collocano di fronte alla presenza di Dio affinché riusciamo a misurare la nostra vita non secondo i valori del mondo e le possibilità di successo ad essi collegate ma secondo i valori di Dio e i doni che da lui ci vengono gratuitamente elargiti e che hanno trovato nell’esistenza di Gesù perfetta realizzazione.

 

La “povertà in spirito” è la prima beatitudine del vangelo, animatrice di ogni altra beatitudine. “Beati i poveri in spirito - dice Gesù - perché di essi è il regno dei cieli”. Che s’intende qui per poveri? I poveri non sono persone particolarmente virtuose, ma semplicemente persone particolarmente bisognose. La loro beatitudine significa quindi risposta al loro bisogno da parte di Dio che è ricco di misericordia. La condizione di povertà, poi, pone l’uomo davanti a Dio nella condizione del bisognoso. La povertà così intesa apre l’uomo alla fiducia semplice e docile nel Signore. A questo punto, è lecito dire che la povertà può diventare addirittura un ideale di vita, perché apre degli spazi per Dio, strappa dalle sicurezze mondane e orienta verso altri traguardi, altre gioie. In poche parole, la povertà in spirito significa una disposizione interiore di abbandono, di disponibilità a Dio, alla sua volontà, alla sua provvidenza. 


 

 


domenica 22 gennaio 2023

IN BUONA FEDE, MA TUTTA LA VERITÀ

 


 



 

Dopo Mons. Georg Gänswein col suo libro “Nient’altro che la verità”, anche il Card. Gerhard Müller annuncia l’imminente uscita di un suo libro intitolato “In buona fede” (pubblicato da Solferino). I due eminenti prelati fanno alcune critiche a Papa Francesco. Qui mi soffermo soltanto su quanto Müller afferma quando parla della “stretta sulla messa in latino” fatta da Francesco col Motu proprio Traditionis custodes del 16 luglio 2021. Anzitutto bisogna precisare che Francesco col suo MP non proibisce la Mesa in latino, ma regola e limita l’uso del Messale Romano edito da san Giovanni XXIII nell’anno 1962. Si può celebrare la Messa in latino sempre e dovunque col Messale di san Paolo VI.

Secondo Müller, la decisione di Papa Francesco “fu uno schiaffo” per i tradizionalisti, che “ha scavato fossati e ha causato dolore”. “Agendo in questa direzione Papa Francesco sembra abbia dato ascolto a un gruppo di consiglieri senza tenere conto che quel provvedimento avrebbe assunto i contorni di una mera dimostrazione di potere”. Il porporato considera le decisioni prese da Francesco sull’uso dei libri liturgici anteriori alla riforma di Paolo VI, una mera dimostrazione di potere. Dimentica che il “gruppo di consiglieri” di cui egli parla non è il “cerchio magico” di Santa Marta, a cui lo stesso porporato fa riferimento e critica nel suo libro, ma l’episcopato cattolico a cui Francesco aveva consultato in aprile del 2020. Infatti, la Congregazione per la dottrina della fede inviò a tutti i vescovi della Chiesa un questionario con una serie di domande sull’applicazione del Motu proprio Summorum PontificumSarebbe stato interessante che prima della pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007) fosse stato consultato l’episcopato e che prima di affermare gratuitamente, e contro l’evidente volontà di Paolo VI espressa più volte pubblicamente, che il Messale del 1962 non fu mai “giuridicamente abrogato”, fosse stata chiesta l’opinione del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, “la cui funzione consiste soprattutto nella interpretazione delle leggi della Chiesa”. Dov’è la fragrante dimostrazione di potere?

Per quanto concerne il “cerchio magico” di Francesco, di cui parla Müller, ricordo che il vaticanista Marco Ansaldo, nel suo libro Un altro Papa. Ratzinger, le dimissioni e lo scontro con Bergoglio, afferma: “Che a papa Benedetto XVI difettasse il dono del governo lo si era capito man mano che sceglieva i suoi collaboratori. La prima cerchia, a lui più vicina, definita perfidamente ‘gli intimi di Carinzia’, venne alla ribalta quando i componenti della cricca trasformarono il Motu proprio Summorum Pontificum in un manifesto delle loro superbe ignoranze barocche in materia di dottrina e liturgia”.

Non dubito della buona fede del Card.  Müller, ma dubito che il porporato dica tutta la verità sugli eventi da lui criticati. 


venerdì 20 gennaio 2023

DOMENICA III DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 22 Gennaio 2023 - Domenica della Parola

 



 

 

Is 8,23b-9,3; Sal 26; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23

 

 

Il simbolismo della luce, che abbiamo già trovato nella domenica precedente nonché nella liturgia natalizia e ritroveremo in quella pasquale, esprime, nella Bibbia, la realtà della salvezza donata dal Signore per mezzo di Cristo. San Matteo, nel brano evangelico d’oggi, racconta gli inizi del ministero pubblico di Gesù che comincia dalla Galilea, dopo l’arresto di Giovanni. Gesù sceglie come punto di partenza della sua predicazione una regione religiosamente sottosviluppata, dove la religione d’Israele era a stretto contatto col paganesimo. Nel secolo VIII a. C. gli abitanti di Galilea erano stati deportati in esilio, “immersi nelle tenebre della schiavitù”. Ricordiamo che uno degli argomenti che verranno portati contro la messianicità di Gesù è appunto questo: “Il Cristo viene forse dalla Galilea?” (Gv 7,41). In questa scelta fatta da Gesù per iniziare l’annuncio del Regno di Dio e l’invito alla conversione, l’evangelista Matteo vede il compimento delle parole del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “...il popolo che cammina nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. La Galilea, terra di tenebra da dove la predicazione di Gesù inizia a irradiarsi come luce, è il simbolo del buio che avvolge la vita dell’uomo che non è stato illuminato dalla luce del Vangelo di Gesù.

 

La lieta novella che Gesù reca all’uomo è un messaggio di liberazione morale e fisica, perché rinnova l’uomo. Gesù predica il vangelo del Regno e guarisce ogni malattia e infermità mettendo l’uomo in grado di individuare e percorrere la strada che lo può realizzare, che è capace di dare senso alla propria vita, come i fratelli Simone e Andrea e Giacomo e Giovanni che, lasciata ogni cosa, seguono Gesù e trovano in lui il senso della loro esistenza. San Matteo sottolinea che i primi discepoli sono fratelli nel sangue per indicare l’effetto della conversione che conduce oltre, verso la fraternità in Cristo, la sola capace di non divenire mai esclusiva, ma comprensiva di ogni uomo. Convertirsi al Regno di Dio significa quindi scoprire anche i profondi rapporti che ci uniscono gli uni gli altri. Fare di Cristo il centro della vita vuol dire spezzare ogni barriera e ogni divisione. Perciò nella comunità di coloro che sono stati illuminati dalla Parola del Vangelo di Gesù non hanno senso le discordie, le divisioni. E’ quanto ricorda san Paolo nella seconda lettura quando esorta i fratelli della comunità di Corinto ad essere “in perfetta unione di pensiero e di sentire”. Se Cristo non può essere diviso, nemmeno la comunità di Cristo, che è vero “corpo di Cristo”, può essere divisa. Le divisioni nella Chiesa sono lacerazioni di Cristo.

 

Riassumendo, possiamo affermare che negli inizi della sua predicazione Gesù annuncia la liberazione dall’oppressione in cui si trovano gli uomini che vivono nelle tenebre e nella schiavitù del peccato, perché essi, “illuminati” dalla luce che è Cristo, possano ritrovare il senso della loro esistenza nella comunione e solidarietà reciproca. Questo messaggio trova una sua realizzazione vera e paradigmatica nella partecipazione all’eucaristia, in cui per opera dello Spirito “diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (preghiera eucaristica III).

 

 

domenica 15 gennaio 2023

BIBBIA E LITURGIA

 



 

Renato De Zan – Pierangelo Sequeri, Celebrare. Bibbia e Liturgia in dialogo (Perle 4), Gregorian & Biblical Press, Roma 2022. 153 pp. (€ 18,00).

Un piccolo libro senza indice del contenuto. Due autori noti: De Zan, biblista e liturgista; Sequeri, teologo. Più che due autori “in dialogo”, si tratta di due autorevoli autori che parlano di liturgia da due prospettive molto diverse.

Il titolo dell’intervento di De Zan è “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a Lui solo renderai culto. Panorama sintetico del culto vetero e neotestamentario” (pp. 7-69). L’autore avverte che la liturgia nella Bibbia non compare con una sua fisionomia completa ed esaustiva. I dati del culto nell’Antico Testamento sono frammentari e appartengono a più epoche; potrebbero abbracciare grosso modo l’arco di un millennio. Ci viene offerto in “forma minima” l’essenziale dell’esperienza cultuale dell’Antico Testamento. Nel Nuovo Testamento i dati cultuali sono modesti rispetto alle informazioni veterotestamentarie. Nel Nuovo testamento la centralità di Cristo è un assoluto. Il Prof. De Zan ci offre l’essenziale dell’esperienza cultuale nel Nuovo Testamento. Da apprezzare la chiarezza dell’esposizione nonché la breve bibliografia consigliata a p. 69 per una visione più dettagliata.

Il titolo dell’intervento di Sequeri è: “Ha ancora senso oggi parlare di liturgia? Riabilitazione dell’asse mistagogico della celebrazione ecclesiale” (pp. 73-153). L’autore afferma che non è un liturgista, ma si occupa di un comparto professionalmente affine. Secondo il noto teologo, la normalità della celebrazione è sostanzialmente in un cronico stato di rianimazione. La liturgia dovrebbe riprendere a parlare da sé (e non di sé, come accadde sino allo sfinimento). Dovrebbe essere riabilitata la comunità dell’altare – il pubblico della messa per intenderci – essa è la fotografia concreta della comunità reale radicata nella fede e attiva nell’appartenenza. L’autore si domanda per quale motivo la comunità dell’altare, nella moderna società secolare, è così poco valorizzata quale nucleo strutturale della comunità ecclesiale. La liturgia è la Chiesa che ferma la sua foga, le sue passioni, il suo movimento, per ascoltare il Signore, per toccare il Signore. Sequeri espone riassuntivamente quelli che, secondo il suo parere, sarebbero gli opportuni contrappesi per la riconquista di una forma mistica, misterica, mistagogica della celebrazione liturgica. 

 

 

venerdì 13 gennaio 2023

DOMENICA II DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 15 Gennaio 2023

 



 

Is 49,3.5-6; Sal 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34

 

In questa domenica, che viene dopo le feste natalizie, siamo invitati a contemplare Gesù, all’inizio della sua missione, quale fedele esecutore della volontà del Padre.

 

La prima lettura parla profeticamente di un misterioso “servo”, scelto da Dio dal seno materno per salvare Israele, anzi la missione di questo servo del Signore, chiamato “luce delle nazioni”, ha il compito di portare la salvezza “fino all’estremità della terra”. I cristiani dei tempi apostolici non hanno faticato e riconoscere nella vita di Gesù Cristo e nella missione della Chiesa le caratteristiche del “Servo del Signore” donato per la salvezza dell’umanità. Le attese di Israele trovano in Cristo il loro compimento. Nella lingua aramaica (parlata da Gesù e da Giovanni Battista) la parola talya significa “servo” e “agnello”. Con questa parola usata da Isaia, nel vangelo d’oggi vediamo che Giovanni Battista indica Gesù, annunciando che egli è il “servo di Dio”, che libera il mondo dal peccato: Gesù è “l’agnello [servo] di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”, strumento perfettamente docile nelle mani del Padre per compiere la salvezza del mondo. Attraverso la testimonianza del Battista viene consolidata la nostra fede in Gesù che è stato consacrato dallo Spirito Santo come Messia e nel quale siamo invitati a porre ogni fiducia e speranza perché non c’è altra salvezza se non quella che lui ci offre.

 

Credere in Gesù non significa fare un’esperienza personale puramente interiore e intimista. La Chiesa chiama Giovanni Battista “testimone della luce” (Secondi vespri, Ant. al Magn.). Come Giovanni Battista, tutti i seguaci di Gesù siamo chiamati ad essere decisamente e senza ambiguità testimoni di Cristo “luce delle nazioni” davanti al mondo. La testimonianza di Giovanni è frutto del vedere e del conoscere: ciascuno di noi dà di Cristo una testimonianza proporzionata alla vita di fede e di relazione che intrattiene con lui. Per san Paolo, di cui abbiamo letto il brano iniziale della prima lettera ai Corinzi, l’esperienza che egli ha avuto della fede è stata contemporaneamente consapevolezza della chiamata ad “essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio”. Queste parole riassumono l’esperienza della vocazione di Paolo e riflettono la coscienza che egli ha della propria missione. San Paolo si considera chiamato da Dio con il compito di far conoscere Gesù Cristo. Come in Giovanni Battista e come in Paolo, la testimonianza non si esaurisce nell’annuncio, ma comporta una vita coerente con quanto si crede e si annuncia. L’opera della salvezza attuata da Gesù continua ora attraverso l’impegno e la testimonianza di noi tutti.

 

Quando ci avviciniamo alla comunione eucaristica, ci viene presentata l’ostia santa con le parole di Giovanni Battista: “...Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. L’eucaristia ci rende partecipi della salvezza portata a termine da Gesù nel sacrificio della croce, di cui la comunione e partecipazione sacramentale. Al tempo stesso, nella partecipazione all’eucaristia prendiamo coscienza di essere coinvolti con Cristo nella salvezza del mondo.

 

Un agnello è facile da prendere, non c’è bisogno di andare a caccia per catturarlo; poiché piccolo e fragile non pone grande resistenza; da sempre il suo aspetto candido evoca l’immagine della purezza, dell’innocenza; ma, allo stesso tempo, la sua carne tenera e gustosa è un cibo prelibato. Ed è proprio così che Dio ha scelto di presentarsi al mondo degli uomini consegnandosi per sempre nelle loro mani.

 

domenica 8 gennaio 2023

LA PORTA DELLA MORTE DI MANZÙ

 



 

Nella basilica di San Pietro a Roma Giovanni XXIII volle una porta di bronzo, opera artistica di Manzù: la Porta della morte. Nei diversi pannelli di questa porta sono rappresentate tutte le morti, dominate dalla morte di Cristo in croce e di quella di Maria sua madre portata in cielo. Ci sono la morte per omicidio di Abele, la morte per vecchiaia di Giuseppe, la morte di lapidazione di Stefano, protomartire, la morte in esilio di Gregorio VII, la morte violenta del giusto, la morte nell’aria di un precipitato dall’alto, la morte improvvisa di una madre di fronte al figlio che piange, la morte di Giovanni XXIII nella vigilante preghiera. Manca tra i pannelli la morte per suicidio, ma manca perché non è narrabile!

Ma sulla porta dell’aldilà, una porta aperta per tutti, sarà possibile il passaggio alla vita anche di chi l’ha rifiutata. E sarà comunione piena, danza mistica: “Non ci sarà più la morte, né lutto, né pianto, né disperazione perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4).

 

Fonte: Enzo Bianchi, Cosa c’è di là. Inno alla vita (Intersezioni 588), il Mulino, Bologna 2022, 61-62.

 

venerdì 6 gennaio 2023

BATTESIMO DEL SIGNORE ( A ) 8 Gennaio 2023

 



 

 

Is 42,1-4.6-7; Sal 28; At 10,34-38; Mt 3,13-17

 

La festa del Battesimo del Signore fa da ponte tra le feste natalizie e le domeniche del Tempo ordinario, ormai iniziato. Il battesimo per Gesù rappresenta la fine della vita nascosta di Nazaret e l’inizio della sua attività pubblica mediante l’investimento ufficiale del Padre che lo presenta alle folle come Figlio prediletto su cui si posa lo Spirito Santo. È una festa che ci invita quindi ad approfondire l’identità di Gesù e la sua missione.

 

Il battesimo di Giovanni era una confessione dei propri peccati e il tentativo di deporre una vecchia vita mal spesa per riceverne una nuova. Gesù non poteva confessare peccato alcuno; però sottomettendosi al rito del battesimo di Giovanni egli intende manifestare la sua disponibilità ad ascoltare la voce di Dio, la sua solidarietà con i peccatori e l’impegno per la loro conversione, e l’accettazione della vita come dedizione agli altri. La lettura evangelica narra l’evento: alle perplessità di Giovanni, Gesù risponde dicendo che occorre che “adempiamo ogni giustizia”. Con queste parole, Gesù afferma che c’è una giustizia da compiere, e cioè una volontà divina cui obbedire. Gesù afferma quindi la sua disponibilità a dedicarsi totalmente all’adempimento del volere salvifico divino, che d’ora in poi sarà la matrice di ogni sua azione fino al momento del battesimo di sangue sulla croce. A questa disponibilità di Gesù, il Padre risponde proclamandolo: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Queste parole richiamano le parole d’Isaia che abbiamo letto nella prima lettura. Il Padre si compiace nel suo Figlio, lo guarda con benevolenza e con gioia. Segno di questa benevolenza è la presenza dello Spirito Santo che si posa su Gesù.

 

Alla domanda iniziale sull’identità di Gesù, possiamo rispondere con le stesse parole di san Pietro, riportate dalla seconda lettura: Gesù è un uomo consacrato “in Spirito Santo e potenza”, e cioè nella potenza dello Spirito, che ha percorso tutta la Palestina “beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo”. La sua azione è stata vittoriosa, “perché Dio era con lui”.

 

Il battesimo cristiano attraverso il segno dell’acqua versata manifesta e realizza la nostra personale immersione nella vita di Cristo per poter vivere come lui è vissuto, con la forza dello Spirito Santo. Così come per Gesù il battesimo è stato il momento decisivo della sua vocazione, in cui egli ha espresso la sua decisione di realizzare la missione affidatagli dal Padre, così anche per noi il battesimo rappresenta il punto di partenza di una vita donata a Cristo e al suo vangelo.

mercoledì 4 gennaio 2023

Mons. Georg Gänswein e “Traditionis custodes”

 



 

Dal giornale La Repubblica (4 gennaio 2023):

Monsignor Georg Gaenswein, storico segretario di Benedetto XVI, ha criticato Papa Francesco in merito alla cosiddetta "messa in latino", affermando che una decisione del Papa regnante aveva "spezzato il cuore" all'emerito.

Benedetto XVI nel 2007 aveva liberalizzato il ricorso al messale pre-conciliare con la lettera apostolica "Summorum Pontificum", pietra angolare di una strategia di appeasement con i lefebvriani, in rotta con il papato dal Concilio vaticano II in poi. Tanto è stato il plauso nell'arcipelago tradizionalista, quanto lo scorno quando, nel 2021, Francesco ha ribaltato quella decisione, con il motu proprio "Traditionis custodes". Riducendo all'eccezione il ricorso al Missale Romanum del 1962, condizionandolo all'autorizzazione della Sede apostolica, e criticandone un "uso strumentale" caratterizzato "da un rifiuto crescente non solo della riforma

La battaglia sulla messa

Ora monsignor Gaenswein afferma, prima ancora dei funerali di Benedetto XVI, che la decisione di Francesco ha "spezzato il cuore" al Papa emerito. La decisione del Papa regnante "l'ha colpito molto duramente", ha detto l'arcivescovo tedesco in una intervista a Guido Horst pubblicato in queste ore dal giornale tedesco Die Tagespost. "Credo che abbia spezzato il cuore di papa Benedetto leggere quel motu proprio. L'intenzione di papa Benedetto era stato quello di aiutare quelli che semplicemente avevano trovato una casa nella vecchia messa a trovare una pace interiore, trovare una pace liturgica e anche per sottrarli a Lefebvre. Se pensate per quanti secoli la vecchia messa è stata fonte di vita spirituale e nutrimento per molti santi è difficile immaginare che non abbia più nulla da offrire. È impossibile immaginare che non abbia più nulla da offrire. E non dimentichiamo tutti quei giovani che sono nati dopo il Concilio vaticano II e non sanno nulla dei drammi che hanno circondato il Concilio Vaticano II".

 

NOTA. Mi domando se Monsignor Georg Gänswein abbia letto le motivazioni che hanno indotto papa Francesco a pubblicare il Motu proprio Traditionis custodes.

 

 

EPIFANIA DEL SIGNORE – 6 Gennaio 2023

 



 

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

 

Il Sal 71, di cui la prima parte è ripresa come salmo responsoriale, proiettando lo sguardo oltre gli orizzonti storici del tempo in cui fu scritto, annuncia una salvezza, che verrà offerta dal Messia, senza limiti geografici e sociali: la sua giustizia sarà perfetta, il suo dominio universale, il suo regno eterno, il cosmo intero sarà coinvolto nella pace offerta in abbondanza dal Signore. I Padri scorgono in questo salmo la preghiera con la quale la Chiesa invoca l’avvento del regno di Cristo, affinché tutte le nazioni possano essere partecipi della sua luce.

 

Isaia, nella prima lettura, proietta lo sguardo oltre gli orizzonti storici di quell’epoca e annuncia la vocazione universale di Gerusalemme. Vocazione di cui è erede la Chiesa, nuova Gerusalemme chiamata ad illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo. Paolo nella seconda lettura parla di un “mistero”, termine che nella sua radice greca indica qualcosa di “silenzioso” e segreto che è racchiuso nell’orizzonte invalicabile di Dio. L’Apostolo dichiara che questo silenzio è stato squarciato e il messaggio che era nascosto nella mente divina è stato rivelato e proclamato al mondo: i pagani di una volta e i giudei di un tempo sono ora a parità di diritti. Di fronte al Signore che viene, ciò che conta non è la razza o la cultura o la prudenza umana, ma la disponibilità della fede e l’attenzione ai segni dei tempi. Infatti, vediamo che la salvezza, offerta a tutti gli uomini, è accolta in primo luogo dai “lontani”. Gli “esperti”, scribi e farisei, che sapevano tutto riguardo alle Scritture, non hanno cercato e perciò non hanno trovato il Messia. I Magi, invece, si sono messi in cammino, hanno interrogato, cercato, hanno osservato i segni del cielo, si sono informato sulle Scritture e hanno trovato. I Magi insegnano che il credente non è un semplice possessore, ma un instancabile cercatore di Dio. Il senso dinamico della fede si esprime poi nella chiamata a rendere testimonianza, ad annunziare a tutti la salvezza sperimentata, come i Magi nel loro ritorno da Betlemme. La buona novella del vangelo è indirizzata a tutti e deve perciò essere annunciata a tutti.

 

Il nocciolo del messaggio dell’Epifania è quindi che Dio si manifesta, si fa uomo e chiama tutti a sé nel suo regno. Dice san Leone Magno: “Celebriamo nella gioia [...] l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti” (Liturgia delle Ore: Ufficio delle letture, seconda lettura). L’Epifania ci ricorda che Cristo è venuto per chiamare alla salvezza tutta l’umanità, simbolicamente rappresentata dai Magi di cui parla il vangelo. La Chiesa non può tenere per sé questo mistero, ma deve annunciarlo al mondo. Essa non può venir meno a questo compito che la rende insieme destinataria e serva della buona novella del vangelo. Ecco, dunque, che la solennità dell’Epifania diventa la logica e naturale conclusione del Natale e proietta tutti noi, come i pastori e come i Magi, sulle strade del mondo per annunciare a tutti gli uomini le meraviglie di Dio.

 

domenica 1 gennaio 2023

OTTO PRINCIPI PROGRAMMATICI DI RINNOVAMENTO DELL'ARCHITETTURA SACRA CONTEMPORANEA

 



- Come regola generale, l'edificio di culto è eretto secondo il duplice criterio della funzionalità liturgica e della promozione della partecipazione attiva dei fedeli (cfr. SC n. 124). Si intende quindi l'edificio sacro fondamentalmente come spazio celebrativo, in cui ad ogni funzione e ministero liturgico è tendenzialmente assegnato uno spazio diverso.

 - L'autonomia spaziale dell'altare maggiore, in modo che si possa concelebrare e celebrare versus populum, gli conferisce un indiscutibile protagnismo. La relazione dell'assemblea con l’altare è formulata in termini di "centro", introducendo così una certa idea di figura circolare per il luogo di culto.

- Nella linea di favorire la rilevanza simbolica dell'altare, gli oggetti del suo ornamento – la croce ed i candelabri – perdono importanza.  

- Si tende a ridurre il numero degli altari secondari e ad escluderli dall'aula liturgica principale, favorendo in questo modo l'unità formale della navata.

- Provocando la sconnessione simbolica tra l'altare (luogo del sacrificio) e il tabernacolo (conservazione del sacramento permanente) a beneficio del primo, e favorendo la collocazione del tabernacolo al di fuori della navata principale, la riserva eucaristica cessa di essere un elemento di riferimento per la definizione dello spazio della chiesa. L'obiettivo era quello di sottolineare il valore simbolico che altare e tabernacolo hanno in sé (nelle parole di EM n.  55, "in ragione del segno").

- Come fulcro della celebrazione della Parola di Dio, l'ambone acquisterà gradualmente importanza l’ambone unico come luogo ben visibile e stabile per la proclamazione delle letture bibliche.

- Il luogo della schola cantorum non è determinato in modo specifico. La tendenza sarà quella di collocarlo insieme al resto dei fedeli come parte della comunità, pur mantenendo una specificità spaziale in virtù della sua funzione. La questione non è completamente risolta e rimarrà aperta.

- Il criterio per la progettazione dello spazio dei fedeli nell'aula liturgica, in cui sono disposti banchi o sedie, è la buona visibilità dei riti sacri come modo per favorire la partecipazione.

 

Fonte: Fernando López-Arias, El Concilio Vaticano II y la arquitectura sagrada, pp. 301-302 (traduzione).