Is 8,23b-9,3; Sal 26; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23
Il simbolismo della luce,
che abbiamo già trovato nella domenica precedente nonché nella liturgia
natalizia e ritroveremo in quella pasquale, esprime, nella Bibbia, la realtà della
salvezza donata dal Signore per mezzo di Cristo. San Matteo, nel brano
evangelico d’oggi, racconta gli inizi del ministero pubblico di Gesù che comincia
dalla Galilea, dopo l’arresto di Giovanni. Gesù sceglie come punto di partenza
della sua predicazione una regione religiosamente sottosviluppata, dove la
religione d’Israele era a stretto contatto col paganesimo. Nel secolo VIII a. C.
gli abitanti di Galilea erano stati deportati in esilio, “immersi nelle tenebre
della schiavitù”. Ricordiamo che uno degli argomenti che verranno portati contro
la messianicità di Gesù è appunto questo: “Il Cristo viene forse dalla
Galilea?” (Gv 7,41). In questa scelta fatta da Gesù per iniziare l’annuncio del
Regno di Dio e l’invito alla conversione, l’evangelista Matteo vede il
compimento delle parole del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima
lettura: “...il popolo che cammina nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro
che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. La Galilea, terra di tenebra
da dove la predicazione di Gesù inizia a irradiarsi come luce, è il simbolo del
buio che avvolge la vita dell’uomo che non è stato illuminato dalla luce del
Vangelo di Gesù.
La
lieta novella che Gesù reca all’uomo è un messaggio di liberazione morale e
fisica, perché rinnova l’uomo. Gesù predica il vangelo del Regno e guarisce
ogni malattia e infermità mettendo l’uomo in grado di individuare e percorrere
la strada che lo può realizzare, che è capace di dare senso alla propria vita,
come i fratelli Simone e Andrea e Giacomo e Giovanni che, lasciata ogni cosa, seguono
Gesù e trovano in lui il senso della loro esistenza. San Matteo sottolinea che
i primi discepoli sono fratelli nel sangue per indicare l’effetto della
conversione che conduce oltre, verso la fraternità in Cristo, la sola capace di
non divenire mai esclusiva, ma comprensiva di ogni uomo. Convertirsi al Regno
di Dio significa quindi scoprire anche i profondi rapporti che ci uniscono gli
uni gli altri. Fare di Cristo il centro della vita vuol dire spezzare ogni
barriera e ogni divisione. Perciò nella comunità di coloro che sono stati
illuminati dalla Parola del Vangelo di Gesù non hanno senso le discordie, le divisioni. E’
quanto ricorda san Paolo nella seconda lettura quando esorta i fratelli della
comunità di Corinto ad essere “in perfetta unione di pensiero e di sentire”. Se
Cristo non può essere diviso, nemmeno la comunità di Cristo, che è vero “corpo di
Cristo”, può essere divisa. Le divisioni nella Chiesa sono lacerazioni di
Cristo.
Riassumendo,
possiamo affermare che negli inizi della sua predicazione Gesù annuncia la
liberazione dall’oppressione in cui si trovano gli uomini che vivono nelle
tenebre e nella schiavitù del peccato, perché essi, “illuminati” dalla luce che
è Cristo, possano ritrovare il senso della loro esistenza nella comunione e solidarietà
reciproca. Questo messaggio trova una sua realizzazione vera e paradigmatica
nella partecipazione all’eucaristia, in cui per opera dello Spirito “diventiamo
in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (preghiera eucaristica III).