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domenica 25 settembre 2016

Santi Cosma e Damiano, martiri (26 settembre)


 

I santi Cosma e Damiano nel Missale Romanum 1962 sono celebrati il 27 settembre; invece nel Missale Romanum 2002 sono celebrati con memoria facoltativa il 26 settembre, data probabile della dedicazione della basilica che a Roma porta il loro nome, edificata da Felice IV (525-530) nel Foro di Vespasiano. In quest’ultimo Messale, poi, il 27 settembre è occupato dalla memoria obbligatoria di san Vincenzo de’ Paoli, morto appunto a Parigi in questa data. Secondo un’antica tradizione, Cosma e Damiano erano fratelli gemelli e medici “anargiri” (gratuiti), che subirono il martirio a Ciro in Siria e il loro culto si diffuse in tutta la Chiesa fin dal secolo IV; di loro si fa memoria nel canone romano. La maggior parte delle notizie su questi santi sono per lo più leggendarie. 

Colletta del MR 1962:

Praesta, quaesumus, omnipotens Deus: ut, qui sanctorum Martyrum tuorum Cosmae et Damiani natalicia colimus, a cunctis malis imminentibus, eorum intercessionibus, liberemur.

Colletta del MR 2002:

Magnificet te, Domine, sanctorum tuorum Cosmae et Damiani veneranda memoria, quia et illis gloriam sempiternam, et opem nobis ineffabili providentia contulisti.

“Ti glorifichi la Chiesa, Signore, nel santo ricordo dei martiri Cosma e Damiano; tu che hai dato loro la corona della gloria, nella tua provvidenza concedi a noi il conforto della loro protezione”.

Le collette dei due Messali, pur essendo diverse, fanno tutte e due riferimento al conforto o liberazione dei mali (imminenti) che speriamo di ottenere per intercessione dei santi martiri Cosma e Damiano. La colletta del MR 2002 la si trova tale quale nel MR 1962 nel formulario di Messa della Feria V della settimana III di Quaresima, la cui statio è appunto “ad Ss. Cosmam et Damianum”. E’ un testo che proviene dall’antico Sacramentario Gelasiano (secolo VIII circa).

 

sabato 24 settembre 2016

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 25 Settembre 2016


 


Am 6,1a.4-7: Cesserà l’orgia dei dissoluti Loda il Signore, anima mia

Sal 145 (146): Loda il Signore, anima mia

1Tm 6,11-16: Tendi alla giustizia […] alla carità

Lc 16,19-31: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro

 


La parola di Dio ripropone il tema della domenica scorsa sull’uso dei beni terreni. Gesù ci invitava a dare ad essi un valore relativo guardando ai beni definitivi e ci premuniva sull’abbaglio di cui possiamo essere vittime in questa materia quando ci ricordava che non è possibile “servire a Dio e alla ricchezza”. In questa domenica c’è un elemento in più, l’invito a condividere i nostri beni con gli altri. Il profeta Amos pronuncia parole dure contro i grassi borghesi di Samaria che si godono la vita incuranti della povertà e miseria degli altri. Contro questi gaudenti il profeta prende una chiara posizione di condanna, annunciando la fine delle feste spensierate nonché il sopraggiungere della deportazione e dell’esilio. Non si tratta di una condanna della ricchezza in se stessa, ma di un severo giudizio di coloro che si servono di essa per farne strumento di corruzione e di oppressione.

 

Sullo sfondo della dura denuncia del profeta Amos si colloca la nota parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, narrata dal vangelo d’oggi. Vi troviamo descritte due figure contrapposte. L’uomo ricco sdraiato sui divani che banchetta  lautamente. Il povero che giace alla sua porta, bramoso di sfamarsi di quello che cade dalla mensa del ricco. I cani si sono accorti della presenza del povero e vanno a leccargli le piaghe. L’epulone, invece, fa come se non esistesse. Il ricco non ha nome. Nella cultura ebraica, il nome esprime la realtà profonda delle persone, riassume la loro storia; egli non ha nome perché non ha storia. Il povero ha un nome quanto mai significativo: “Dio aiuta”. I due personaggi del racconto muoiono, e la loro sorte si capovolge: l’epulone si trova nell’inferno tra i tormenti, e Lazzaro invece viene trasferito nel banchetto celeste presieduto da Abramo. La morte non fa altro che sancire in modo definitivo e irreversibile il destino finale degli esseri umani, quel destino che ognuno di noi costruisce nella sua vita terrena. La logica di Dio non è quella del potere e del successo, ma quella della misericordia, della giustizia, dell’amore. Chi lotta per la giustizia non compie solo un’opera filantropica ma un vero e proprio atto religioso. Il castigo che il ricco epulone si merita è dovuto proprio al fatto che il suo comportamento contrasta radicalmente con la carità che è Dio. Anche san Paolo nella seconda lettura (1Tm 6,11-16) ammonisce il suo discepolo Timoteo: “tendi alla giustizia […], alla carità”.

 

venerdì 16 settembre 2016

"ULTIME CONVERSAZIONI" di J. RATZINGER: DAL "GUSTO DELLA CONTRADDIZIONE" AL "PIACERE DELL'INCONTRO"



di ANDREA GRILLO

Non vi è dubbio che, nel libro uscito il 9 settembre u.s., si possano identificare almeno due percorsi diversi. Da un lato una serie di “ritrattazioni”, con cui J. Ratzinger – il “terzo” Ratzinger... altro »

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 18 Settembre 2016




 

Am 8,4-7: Non dimenticherò mai tutte le loro opere

Sal 112 (113): Benedetto il  Signore che rialza il povero

1Tm 2,1-8: Cristo Gesù ha dato se stesso in riscatto per tutti

Lc 16,1-13: Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza

 

Oggi siamo invitati a riflettere sui rischi che comporta per la nostra salvezza l’attaccamento ai beni materiali.

           

Per bocca del profeta Amos, il Signore giura che non dimenticherà mai le opere inique di coloro che erano a tal punto avidi e disonesti da attendere con ansia la fine dei giorni di festa per riprendere i loro perversi affari a danno dei clienti più poveri. Le parole del profeta sembrano dire esattamente il contrario di quanto si deduce dalla parabola dell’amministratore astuto riportata dal vangelo d’oggi. Infatti le parole conclusive della parabola (“Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”) suscitano perplessità. Gesù propone come modello il comportamento di un amministratore disonesto, il quale davanti alla minaccia di perdere il posto non esita a falsificare i bilanci praticando sconti ai debitori del suo padrone in modo di assicurarsi poi da essi una qualche protezione. Notiamo però bene, Gesù non loda la disonestà di questo amministratore, ma la sua prontezza e scaltrezza nel prepararsi un futuro sicuro. E invita tutti gli onesti a fare altrettanto: “I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Sia il profeta Amos che Gesù ci esortano a vivere il presente guardando al futuro, a non malversare il tempo che ci viene dato per conquistare i beni eterni.

 

La nostra esistenza rischia di trascorrere come quella di bambini distratti mentre il tempo della vita scorre in fretta. Gesù biasima gli uomini indifferenti, flaccidi, amorfi, superficiali che troppo spesso costella il panorama della società del nostro tempo. Le parole di Gesù sono quindi un invito ad amministrare con saggezza e prudenza i talenti ricevuti, mettendo i beni sia materiali che spirituali al servizio del progetto che Dio ha sulla storia e sull’uomo. Gesù vuole scuotere la nostra inerzia orientando la vita di noi tutti verso i beni definitivi, verso il  traguardo della salvezza. E per portare a buon termine questo compito, ci viene ricordato che non possiamo “servire a Dio e la ricchezza”. Qui il testo evangelico chiama la ricchezza con un termine di origine fenicia “mammona”, quasi per indicare la personificazione idolatrica dei beni di questo mondo che ci potrebbero offuscare il cammino che conduce ai veri beni, quelli che arricchiscono presso Dio. Solo chi ha il cuore libero dalla ricchezza di questo mondo, può essere degno della ricchezza del Regno.

 

martedì 13 settembre 2016

INTELLIGENZA DEL SACRIFICIO COME "SACRIFICIUM INTELLECTUS"? UNA RISPOSTA A VALLI / SARAH



di ANDREA GRILLO


In un recente post sul suo blog, A.M.Valli riprende con ampiezza le parole di un articolo del Card. Sarah a proposito del senso dell’”intelligere” in Sacrosanctum Concilium. E’ una buona occasione per “comprendere” ciò che... altro »

domenica 11 settembre 2016

Memoria della Beata Maria Vergine Addolorata (15 settembre)



Celebrazione di origine devozionale, nel Missale Romanum 1962 è chiamata dei “Sette dolori della Beata Vergine Maria”. Il Missale Romanum 2002 non fa memoria specifica dei “sette dolori”, ma contempla il dolore di Maria in maniera globale. La devozione alla Vergine Addolorata rissale ai secoli XII-XIII, precisata progressivamente dai Servi di Maria come devozione ai “Sette Dolori”. In seguito, sono sorte due feste in onore dei Sette Dolori della beata Vergine Maria: una apparve nell’Ordine dei Servi di Maria la terza domenica di settembre, ma solo nel 1814 fu iscritta da Pio VII nel Calendario Romano e Pio X fissò la data al giorno dopo l’Esaltazione della Santa Croce, cioè al 15 settembre, conservata dopo la riforma del Vaticano II con il cambiamento di nome sopra indicato. L’altra festa fu stabilita dal Concilio provinciale di Colonia (1423) in riparazione degli atti sacrileghi compiuti dagli iconoclasti Ussiti contro le immagini del Crocifisso e di sua Madre. Nel 1727, fu iscritta da Benedetto XIII nel Calendario Romano, soprattutto grazie agli sforzi dei Servi di Maria. Questa festa veniva celebrata il venerdì prima della Domenica delle Palme (nel MR 1962, come commemoratio). Con la riforma del Calendario Romano promulgato da Paolo VI nel 1969, è stata soppressa. In questo modo, è stato notato da alcuni critici, nel periodo Quaresima-Triduo pasquale-Tempo pasquale è venuto a mancare ogni accenno alla partecipazione di Maria al mistero di Cristo.

 
Nel MR 2002 si è tenuto conto in qualche modo di queste critiche  introducendo nella feria VI della quinta settimana di Quaresima una colletta alternativa di nuova composizione a quella già esistente, in cui si chiede a Dio che ci conceda “di imitare la beata Vergine Maria nella devota contemplazione della Passione di Cristo”, forti della sua intercessione, per essere conformati pienamente a lui. Si deve osservare, poi, che la Collectio Missarum de Beata Maria Virgine (1986; edizione italiana 1987) dispone di due formulari (i nn. 11 e 12) per il tempo quaresimale, intitolati “Maria Vergine presso la croce del Signore”; ambedue i formulari sono tratti dal Proprio delle Messe dell’Ordine dei Servi di Maria .

 
Anche coloro che auspicavano che nella liturgia dello stesso Triduo pasquale fosse esplicitato, in modo discreto e sapiente, la partecipazione della Madre alla Passione del Figlio, hanno avuto una risposta nella terza edizione del Missale Romanum che, senza intaccare la struttura rituale della celebrazione della Passione del Signore, ha introdotto al termine dell’adorazione della croce la possibilità di cantare l’antica sequenza dello Stabat Mater o un altro canto adatto a far memoria della compassione della beata Vergine Maria.

 
Colletta del MR 1962:

Deus, in cuius passione, secundum Simeonem prophetiam, dulcissimam animam gloriosae Virginis et Matris Mariae doloris gladius pertransivit: concede propitius; ut, qui dolores eius venerando recolimus, passionis tuae effectum felicem consequamur.

Colletta del MR 2002:

Deus, qui Filio tuo in cruce exaltato compatientem Matrem astare voluisti, da Ecclesiae tuae, ut, Christi passionis cum ipsa consors effecta, eiusdem resurrectionis particeps esse mereamur.

“O Padre, che accanto al tuo Figlio, innalzato sulla croce, hai voluto presente la sua Madre Addolorata: fa’ che la santa Chiesa, associata con lei alla passione del Cristo, partecipi alla gloria della risurrezione”. 

Nella colletta del MR 2002 si chiede la partecipazione della Chiesa non solo alla passione ma anche alla gloria della risurrezione del Signore. La Costituzione Sacrosanctum Concilium considera la liturgia in stretto legame con la storia della salvezza, anzi la liturgia è descritta come la continuazione di questa storia, l’applicazione nel tempo dell’opera di redenzione umana e di perfetta glorificazione di Dio annunciata nell’Antico Testamento e compiuta da Cristo, “specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata Passione, Risurrezione da morte e gloriosa Ascensione” (SC, n. 5). Questa visione del mistero pasquale è stato uno dei temi conciliari che ha permesso di favorire un sottile cambiamento nella mentalità cattolica che, dopo il Medioevo, situava la redenzione in modo praticamente esclusivo nella passione e morte di Cristo.

sabato 10 settembre 2016

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 11 Settembre 2016



 

 

Es 32,7-11.13-14: Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo

Sal 50 (51): Ricordati di me, Signore, nel tuo amore

1Tm 1,12-17: Mi è stata usata misericordia

Lc 15,1-32: Si alzò e tornò da suo padre

 

         

Il cap. 15 del vangelo di Luca, che leggiamo oggi, raccoglie tre bellissime parabole raccontate da Gesù per annunciare a tutti la misericordia di Dio: la pecora perduta, la moneta smarrita e il figlio prodigo. Il Signore con queste parabole intendeva rispondere alle mormorazioni dei farisei che non vedevano di buon occhio il fatto che egli ricevesse i peccatori e mangiasse con loro. Di queste parabole la più toccante è senza dubbio la parabola “del figlio prodigo”, oggi spesso e giustamente chiamata “del padre prodigo di misericordia”. In questa toccante parabola, esclusiva di san Luca, ci viene raccontato con quanta tenerezza un padre aspetta il figlio che se n’è andato attirato da un sogno di falsa libertà e di ingannevole felicità. Dopo un po’ di tempo, il figlio fuggito, ridotto alla fame e alla miseria, si è pentito di quello che ha fatto. Anche se il suo pentimento sembra abbia come movente principale la perdita della sicurezza economica, al suo ritorno alla casa paterna, viene accolto senza rimproveri, anzi con grande gioia dal padre che lo attendeva con trepidazione. Gesù rivela in questa parabola il vero volto di Dio: padre misericordioso che vuole solo il nostro bene, che è sempre pronto a perdonare.

 

Il tema della misericordia di Dio è anche quello della prima lettura, un brano tratto dal celebre racconto del “vitello d’oro”, vicenda paradigmatica del peccato d’Israele contro il suo Dio. Gli Israeliti, stanchi di un Dio misterioso, che non si vede, si costruiscono una divinità visibile e comoda, un vitello di metallo fuso, poi gli si prostrano dinanzi e gli offrono sacrifici. Il racconto conclude affermando che, nonostante le infedeltà d’Israele, Dio ascolta la preghiera d’intercessione di Mosè “si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”.

 

La seconda lettura è una esaltazione commossa della misericordia di Dio fatta da san Paolo che, già anziano e incarcerato a Roma, rilegge all’indietro la propria vita, ormai tutta posta al servizio del vangelo: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia […] Io che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia”. Pure noi siamo stati oggetto della misericordia di Dio, anzi fatti partecipi della sua stessa vita, in modo particolare nell’eucaristia. Infatti il perdono di Dio non è solo superamento del peccato e dell’esclusione, ma è anche e soprattutto ritorno alla comunione con lui e con i fratelli, il frutto specifico dell’eucaristia.

venerdì 9 settembre 2016

BENEDETTO XVI UN "RESTAURATORE" IN AMBITO LITURGICO?



Peter Seewald (a cura di), Benedetto XVI. Ultime conversazioni, Corriere della Sera 2016, 235 pp.

Benedetto XVI in questo libro “testamento” non si considera un “restauratore” in ambito liturgico (cf. p. 184), accusa che alcuni gli hanno fatto. Certamente che ridurre l'operato di papa Ratzinger in ambito liturgico ad una operazione restauratrice, non è giusto. Abbiamo nel suo magistero approfondimenti teologici e spirituali preziosi sulla liturgia eucaristica soprattutto, e non solo, nell'Esortazione Sacramentum caritatis. Nondimeno il Motu proprio Summorum Pontificum è un atto di governo che oggettivamente "restaura" l'intero impianto liturgico anteriore al Vaticano II. Sappiamo le intenzioni "alte" che Benedetto XVI ha avuto e rivendica ancora nel promulgare questo documento, nondimeno è ed è stato usato come un cavallo di Troia per "espugnare" la riforma di Paolo VI. Ratzinger afferma che "le categorie di vecchio e nuovo non si applicano alla liturgia" (p. 184). Più avanti però dice che "la vecchia liturgia del Venerdì Santo non era davvero accettabile" e parlando della nuova preghiera per gli Ebrei inserita nel Messale del 1962, afferma: "si doveva  creare una formula che si adattasse allo spirito dell'antica liturgia, ma nel contempo fosse in sintonia con le nostre conoscenze moderne su ebraismo e cristianesimo" (p. 186). Mi domando, questo criterio non è applicabile alla liturgia nel suo insieme che, come la Chiesa, è "semper reformanda"? 

 

Ratzinger riconosce in queste ultime conversazioni che il governo pratico non è stato il suo forte e, aggiunge, che questa è certo una debolezza. Si possiamo domandare: SP è un atto di forza o un atto di debolezza...


 

sabato 3 settembre 2016

Memoria di san Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa (3 settembre)


 
Nel Missale Romanum 1962, si celebra “san Gregorio I, Papa, Confessore e Dottore della Chiesa” il 12 marzo, giorno della sua morte nell’anno 604. Nel Missale Romanum 2002, la memoria di “san Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa” è stata fissata al 3 settembre, data della sua ordinazione episcopale e inizio del suo ministero come vescovo di Roma (3 settembre 590). Già nel Medioevo era festeggiata in molte Chiese in questa data per evitare di celebrarla in quaresima. Gregorio, di nobile famiglia, fu prefetto della città di Roma (573-578); morto suo padre, si ritirò al Celio nella dimora del genitore dove condusse vita monastica sotto la Regola benedettina. Ordinato diacono da Benedetto I, Pelagio II lo inviò a Costantinopoli come suo rappresentante. Tornato a Roma, dopo la morte di Pelagio II, fu designato vescovo di Roma dal popolo e dal clero, in un momento particolarmente difficile: la peste infieriva e gli invasori longobardi minacciavano Roma, situazione che lo spinse ad aggiungere nell’Hanc igitur del canone le parole: “dies nostros in tua pace disponas”. Contemplativo, fu anche uomo di azione.

Colletta del MR 1962:

Deus, qui animae famuli tui Gregorii aeternae beatitudinis praemia contulisti: concede propitius; ut, qui peccatorum nostrorum pondere premimur, eius apud te precibus sublevemur.

Colletta del MR 2002:

Deus, qui populis tuis indulgentia consulis et amore dominaris, da spiritum sapientiae, intercedente beato Gregorio papa, quibus dedisti regimen disciplinae, ut de profectu sanctarum ovium fiant gaudia aeterna pastorum.

“O Dio, che guidi il tuo popolo con la soavità e la forza del tuo amore, per intercessione del papa san Gregorio Magno, dona il tuo Spirito di sapienza a coloro che ai posto maestri e guide nella Chiesa, perché il progresso dei fedeli sia gioia eterna dei pastori”.

La colletta del MR 1962, un testo del secolo IX, fa riferimento solo all’intercessione del santo in favore di noi oppressi dal peccato. La colletta del MR 2002 è presa letteralmente dal Sacramentario Gregoriano (Orationes in Natale Papae, n. 824), il libro inviato da papa Adriano I, alla fine del secolo VIII, alla corte carolingia. Il “regimen disciplinae”, di cui parla la colletta, è descritto nella Regula pastoralis, opera gregoriana di grande successo, da vari concili in seguito proposta come modello ai vescovi. Il testo italiano, pur traducendo l’espressione in modo libero (“maestri e guide della Chiesa”), ne rende abbastanza bene il significato.

 

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 4 Settembre 2016


 

 
Sap 9,13-18: Quale uomo può conoscere il volere di Dio?

Sal 89 (90): Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione

Fm 9b-10.12-17: Se tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso

Vangelo: Lc 14,25-33: Colui che non porta la propria croce e viene dietro a me, non può essere mio discepolo

 
                      

Se vogliamo trovare un concetto che riassuma il messaggio delle letture bibliche, possiamo dire che la parola di Dio ci propone una precisa scala di valori con la quale misurare e verificare la realtà ed essere quindi in grado di fare delle scelte sapienti. Dice Gesù nel vangelo: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. Queste parole si trovano nel contesto di una serie di affermazioni del Signore che intendono illustrare il carattere radicale che comporta la scelta di colui che intende diventare discepolo di Gesù. Diventare discepolo di Gesù, essere cristiano significa fare una precisa scelta di campo. Gesù vuol essere scelto come valore assoluto e determinante della vita del discepolo. La serietà della sequela di Gesù comporta un investimento di tutto il proprio essere a livello esistenziale; è quindi una scelta che la si può portare a termine solo se si è disposti a una totale donazione di sé, un totale amore per il Cristo; è una scelta che richiede una totale libertà interiore. 

 

Il messaggio evangelico sconvolge i nostri abituali schemi mentali. Come è stato per Filèmone, un ricco signore, divenuto cristiano per opera di Paolo che lo chiama suo diletto e suo collaboratore (cf seconda lettura). L’apostolo si rivolge a questo suo discepolo e gli chiede che accolga Onèsimo, schiavo che era fuggito da Filèmone rubandogli del denaro, e lo riceva “non più però come schiavo” ma “come  un fratello carissimo”. Ciò che Paolo chiede a Filèmone è un grosso strappo con la mentalità e il diritto del tempo. E tutto questo in fedeltà ai valori del Vangelo. Prima e fondamentale conseguenza della sequela è la scoperta che nel Cristo siamo e diventiamo tutti fratelli. Paolo non affronta direttamente il problema della schiavitù; pone però principi e gesti concreti che sono in grado di contestare ed eliminare ogni ingiustizia e quindi la stessa schiavitù.

 

Ma come è possibile conformare la nostra vita alla logica del Vangelo, alla scala di valori proposta da Gesù? La prima lettura è un brano di una meditazione di Salomone sull’incapacità dell’uomo a capire la volontà di Dio. Nella ricerca di Dio la nostra mente si perde negli spazi infiniti di un mistero che l’intelligenza umana non riesce a contenere. I pensieri di Dio non coincidono con quelli degli uomini: tra loro c’è una differenza abissale. E’ quello che si percepisce quando si intende cogliere il messaggio radicale del vangelo e la scala di valori in esso racchiusa.