Peter Seewald (a cura di),
Benedetto XVI. Ultime conversazioni, Corriere della Sera 2016, 235 pp.
Benedetto XVI in questo
libro “testamento” non si considera un “restauratore” in ambito liturgico (cf. p. 184),
accusa che alcuni gli hanno fatto. Certamente che ridurre l'operato di papa Ratzinger in ambito liturgico ad una operazione restauratrice, non è giusto. Abbiamo nel suo magistero approfondimenti teologici e spirituali preziosi sulla liturgia eucaristica soprattutto, e non solo, nell'Esortazione Sacramentum caritatis. Nondimeno il Motu proprio Summorum Pontificum è un atto di governo che oggettivamente "restaura" l'intero impianto liturgico anteriore al Vaticano II. Sappiamo le intenzioni "alte" che Benedetto XVI ha avuto e rivendica ancora nel promulgare questo documento, nondimeno è ed è stato usato come un cavallo di Troia per "espugnare" la riforma di Paolo VI. Ratzinger afferma che "le categorie di vecchio e nuovo non si applicano alla liturgia" (p. 184). Più avanti però dice che "la vecchia liturgia del Venerdì Santo non era davvero accettabile" e parlando della nuova preghiera per gli Ebrei inserita nel Messale del 1962, afferma: "si doveva creare una formula che si adattasse allo spirito dell'antica liturgia, ma nel contempo fosse in sintonia con le nostre conoscenze moderne su ebraismo e cristianesimo" (p. 186). Mi domando, questo criterio non è applicabile alla liturgia nel suo insieme che, come la Chiesa, è "semper reformanda"?
Ratzinger riconosce in queste ultime conversazioni che il governo
pratico non è stato il suo forte e, aggiunge, che questa è certo una debolezza. Si possiamo domandare: SP è un atto di forza o un atto di debolezza...