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domenica 31 luglio 2022

AGOSTO TEMPO DI VACANZE

 



 

Vacanze, dal verbo latino “vacare”, che significa avere tempo libero per…, e quindi dedicarsi a…

“Vacare Deo” significa avere del tempo libero per Dio, consacrare del tempo a Dio.




Ci rivediamo a settembre.

venerdì 29 luglio 2022

DOMENICA XVIII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 31 Luglio 2022

 



 

 

Qo 1,2; 2,21-23; Sal 89; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21

 

Il riconoscimento della fragilità e della caducità della nostra esistenza di fronte all’infinita grandezza di Dio e alla sua pienezza di vita, è la condizione prima per stabilire la verità nei nostri rapporti con Dio, sia nella preghiera che nella vita.

         

Il breve brano della prima lettura ci offre una visione profondamente disincantata della vita che ci lascia un po’ perplessi. Qoèlet, che di per sé vuol dire “Predicatore”, pseudonimo sotto cui si cela l’autore di questo libro dell’Antico Testamento, descrive un mondo che è vanità: “vanità delle vanità, tutto è vanità”. Si tratta di un pessimista che vede attorno a se soltanto il vuoto, il nulla, l’assurdità del vivere e dell’affannarsi quotidiano. Le cose, la vita, il mondo, tutto ciò che l’uomo ha costruito, è destinato a passare ad altri o a scomparire. Il Qoèlet guarda con disincanto, cinismo e profondo pessimismo al fondo delle esperienze umane. Su questo filone sapienziale si innesta il brano del vangelo, dove Gesù insegna a valutare e usare i beni terreni nell’orizzonte della fede in Dio creatore e Signore della vita. La sua istruzione prende lo spunto dall’intervento di uno della folla che gli dice: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Nella sua risposta, Gesù non si perde nella “casistica”, ma rimane al suo livello altissimo di Maestro, che sa scoprire e indicare le ragioni ultime che determinano le divisioni e i contrasti fra gli uomini e che si riassumono praticamente nell’egoismo e nella cupidigia. Egli affida la sua risposta alla parabola del ricco insensato: un uomo abile nel coltivo dei suoi campi, ha raggiunto un buon raccolto e sogna per sé un futuro roseo. Ma Dio interviene e lo chiama “stolto” e aggiunge: “questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”. E conclude il brano: “Così è di chi accumula tesori per sé, e non si arricchisce presso Dio”. Gesù non condanna il successo economico, ma ciò che a questo successo è stato sacrificato; il ricco della parabola ha reso gonfio il suo portafoglio, ma ha reso arido il suo cuore.

 

La parola di Dio che ci viene rivolta oggi è un invito a riflettere sulla scala dei valori che devono governare la nostra vita. Anche san Paolo nel brano della seconda lettura si muove nella stessa linea quando invita a guardare in alto, “dove è Cristo seduto alla destra di Dio”. Le cose terrene non sono il nostro orizzonte ultimo. Prendere coscienza della relatività del presente e delle cose, la loro fondamentale fragilità, la loro inadeguatezza, può avere una grande importanza ai fini di una retta impostazione della vita orientandola verso i beni definitivi. Non di soldi, ma di ben altre ricchezze ha bisogno il nostro cuore.

 

Possiamo concludere queste riflessioni dando uno sguardo all’affresco di Raffaello, chiamato “La scuola di Atene”, in cui sono raffigurati Aristotele e Platone. Il primo ha una mano protesa sulla terra, ma accanto Platone ha l’indice puntato verso il cielo. In questo quadro Raffaello ha saputo esprimere in modo geniale la duplice tendenza e vocazione dell’uomo, di conquistare la terra e di mirare al di là di essa, di esplorare la natura e di guardare oltre l’orizzonte del sensibile, che oggi si chiamerebbe lavorare e contemplare, impegnarsi nel quotidiano con lo sguardo fisso dove sono i valori trascendenti. L’eucaristia è al tempo stesso presenza e caparra di questi valori trascendenti e definitivi.

 

 

domenica 24 luglio 2022

LE PAROLE DEL SACRO

 



 

“Sei un mito”, “È un mistero”, “Non fare l’eroe”. Sono frasi che fanno parte del nostro linguaggio quotidiano. Ma come venivano usate le parole mito, eroe e mistero in origine? E attraverso quali passaggi si sono trasformate per arrivare al significato che hanno oggi? Il linguaggio religioso dei greci ha subito bizzarre trasformazioni nella modernità, spesso laicizzandosi, e perdendo ogni rapporto con la dimensione del sacro. Si pensi al caso della parola “orgia”, anticamente legata al mondo dei riti religiosi, ma poi risemantizzata in un senso profano e, addirittura, osceno. È successo però anche il contrario. Parole che all’inizio non avevano nulla a che fare con il culto divino sono diventate pilastri linguistici della nuova religione di Gesù. Cristo, Vangelo, Chiesa, cattolico, angelo, diocesi, vescovo: tutti termini il cui uso nel mondo pagano rinviava spesso a significati e contesti d’altro genere. Mentre toccherà a una parola inventata da Platone, “teologia”, designare quella scienza suprema del divino che i grandi maestri come Pietro Abelardo o Tommaso d’Aquino insegnavano nelle università medievali.

 

Fonte: Giorgio Ieranò, Le parole della nostra storia. Perché il greco ci riguarda, Marsilio, Venezia 2022, p. 61.

venerdì 22 luglio 2022

DOMENICA XVII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 24 Luglio 2022

 



 

Gen 18,20-21.23-32; Sal 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13

 

Il ritornello del salmo responsoriale (“Nel giorno in cui ti ho invocato mi ha risposto”) ci invita a riflettere sulla preghiera, tema che unifica la prima e terza lettura di questa domenica.

 

La prima lettura ci parla della supplica coraggiosa e insistente di Abramo che si rivolge al Signore perché conceda misericordia alle città colpevoli di Sodoma e Gomorra, anche solo per la presenza di alcuni giusti. Purtroppo, però, questi giusti non ci sono. In ogni modo, il testo biblico sottolinea tutto il valore di intercessione di questa preghiera del patriarca, “nostro padre nella fede”; nello stesso tempo sta pure a dire che il Signore riconosce ai “giusti” una vera funzione “salvifica”. San Luca, nel brano evangelico ci racconta che un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e, quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare”. Gesù risponde con la preghiera del Padre nostro e aggiunge due brevi parabole che descrivono l’atteggiamento di fiduciosa perseveranza con cui i discepoli devono rivolgersi a Dio nella preghiera.

 

Notiamo anzitutto che la domanda del discepolo a Gesù è provocata dall’esempio dello stesso Gesù. I discepoli, come ogni ebreo, sapevano pregare, e tuttavia intuivano che c’era qualcosa di diverso nella preghiera di Gesù, un modo nuovo di rivolgersi a Dio. La novità della preghiera cristiana consiste in un nuovo rapporto con Dio, che viene invocato semplicemente come “Padre” in modo familiare: Abbà, caro Padre. L’audacia di Abramo è superata dall’audacia di Gesù e dei suoi discepoli che nel suo nome dicono: Abbà. Le parole di san Paolo (cf. seconda lettura) sembrano spiegarci il perché Dio va invocato come Padre: attraverso la morte di Cristo, Figlio di Dio, i nostri peccati sono stati perdonati, il “debito” con Dio è stato “pagato”; ormai possiamo avere con lui rapporti filiali. Un’antica tradizione raccomanda di recitare il Padre nostro “tre volte al giorno” (Didaché 8,3), mattino, mezzogiorno e sera, come preghiera fondamentale che conserva in noi l’atteggiamento filiale verso Dio. Sintesi di tutto il vangelo, come afferma Tertulliano, il Padre nostro più che una formula da recitare, esprime un atteggiamento da interiorizzare.

 

La preghiera si può compiere più facilmente durante il tempo libero delle vacanze. Non è però una semplice attività da eseguire accanto ad altre. Nella preghiera diventiamo noi stessi nel modo più autentico, ci ritroviamo senza maschera, esprimiamo il nostro nucleo più intimo. Dopo la rivelazione del mistero della preghiera filiale di Cristo, per noi cristiani questo nucleo più intimo è il nostro essere “figli”, con un atteggiamento di piena sottomissione e di altrettanto piena fiducia in Dio, nostro Padre. Pregare non significa cercare di imporre a Dio la nostra volontà, ma chiedergli di renderci disponibili alla sua, al suo progetto di salvezza (“venga il tuo regno”). Troppo spesso le nostre preghiere guardano invece l’immediato, senza incrociare lo sguardo di Colui che sa in cosa consista la nostra felicità.

 

Una visione antropocentrica, frequente oggi, rischia, nei migliori dei casi, di ridurre la preghiera a una semplice attività di riflessione, in vista di un aggiustamento del proprio equilibrio psicologico. La preghiera invece è anzitutto ascolto, non solo della natura, della storia, di se stessi, ma ascolto soprattutto della Parola di Dio. Si potrebbe dire che, se per Dio “in principio è la Parola” (cf. Gv 1,1), per l’uomo “in principio è l’ascolto”. 

 

domenica 17 luglio 2022

LA PREGHIERA EUCARISTICA MODELLO DELLA PREGHIERA CRISTIANA

 



 

Loris Della Pietra – Gianni Cavagnoli, “Rendiamo grazie al Signore nostro Dio”. La preghiera eucaristica, modello della preghiera cristiana (Preghiera e Liturgia 22), Centro eucaristico, Ponteranica 2022. 123 pp. (€ 13,00).

 

Gli autori di questo volumetto, due noti liturgisti, affermano che è alla scuola della preghiera liturgica, quella della Chiesa, che si apprende a pregare. In particolare, è la Preghiera eucaristica, momento centrale e culminante dell’intera celebrazione della Messa, il modello che viene proposto.

Con chiarezza e precisione di concetti, gli autori conducono il lettore alla conoscenza di questa straordinaria preghiera: Autentica scuola di preghiera cristiana; Rendere grazie; L’acclamazione alla santità divina; L’epiclesi; Il racconto dell’istituzione eucaristica; La “memoria” del mistero pasquale di Cristo; L’offerta del sacrificio eucaristico; Le intercessioni in comunione con tutta la Chiesa; La dossologia.

venerdì 15 luglio 2022

DOMENICA XVI DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 17 Luglio 2022

 



 

 

Gen 18,1-10a; Sal 14; Col 1,24-28; Lc 10,38-42

 

Gli antichi rabbini consideravano questo salmo una specie di compendio della legge data da Dio ad Israele. Soltanto un cuore semplice, sincero, amante della giustizia, libero da ogni cattiveria riesce a percepire la presenza di Dio nelle vicende di ogni giorno. Soltanto un cuore trasparente, umile e mite, capace di ascoltare la parola del Signore si rende degno di abitare in eterno nella casa del Signore. Le tre letture odierne ci invitano a passare dall’ospitalità che il Signore concede a noi, all’ospitalità che noi siamo chiamati ad offrire a Dio.

 

Il racconto proposto dal vangelo d’oggi è assai noto a tutti. Ci si potrebbe soffermare subito su Marta e Maria, spesso viste arbitrariamente come simboli contrapposti di una vita data all’attività, al servizio, alle opere, come quella di Marta, e di una vita data invece alla preghiera, alla contemplazione, come quella di Maria. E’ però più opportuno dare uno sguardo anche alle altre letture bibliche, in particolare alla prima. Vediamo infatti che sia la prima lettura che il racconto evangelico parlano dell’ospitalità: quella offerta da Abramo a tre personaggi misteriosi arrivati a casa sua, e quella offerta dalle sorelle Marta e Maria a Gesù. Possiamo quindi affermare che il tema centrale di questa domenica è l’ospitalità: sia Abramo che le sorelle di Lazzaro vengono presentati come modelli di accoglienza dell’ospite. Nei due episodi quest’ospite è Dio stesso. Possiamo perciò circoscrivere l’argomento e dire che si tratta di dare ospitalità a Dio. Non di rado la nostra vita appare frammentata, vuota, in balia degli eventi. Dio può dare senso e armonia alla nostra esistenza. E’ necessario però mettersi in atteggiamento di ascolto della sua parola, come Maria.

 

Le due sorelle rappresentano due modi diversi, non in contrasto ma complementari, di accogliere il Signore. Non si tratta di proclamare la superiorità della contemplazione sull’azione ma di richiamare sia Marta che Maria all’esigenza dell’ascolto della parola di Dio che deve precedere, alimentare e sostenere ogni scelta religiosa e umana del discepolo di Gesù. Perciò Maria è raffigurata nell’atteggiamento del discepolo davanti al maestro, “ai piedi del Signore” mentre ascolta la sua parola. Abbiamo bisogno di nutrire in noi un atteggiamento di ascolto della parola di Dio, sia che la nostra vita sia come quella di Marta, indaffarata in un lavoro che assorbe, o come quella di Maria, soli nell’interno di una casa quotidiana e solitaria. Nella seconda lettura, Paolo, che ha ricevuto da Dio la missione di “portare a compimento la sua parola”, ci ricorda che l’ascolto di cui parliamo porta all’impegno nel quotidiano. Anche il canto al vangelo parla di “coloro che custodiscono la parola di Dio” e “producono frutto con perseveranza” (cf. Lc 8,15). E nella colletta alternativa chiediamo che “nulla anteponiamo all’ascolto della parola di Dio”. Non ha senso la contrapposizione tra ascoltare e darsi da fare, tra contemplare e agire. Si tratta di due momenti che si compenetrano a vicenda. L’ascolto della Parola offre le motivazioni profonde che danno senso al servizio. Ecco, quindi, che ci viene offerta una linea per dare unità alla vita: l’ascolto. Tutti abbiamo bisogno di ascoltare la parola del Signore, che è capace di avvolgere di luce nuova il nostro lavoro, il nostro riposo, le nostre preoccupazioni, le nostre lotte quotidiane. 

 

domenica 10 luglio 2022

LA RELIGIOSITÀ

 



La religiosità non è solo un sentimento, o una guida morale, o un vademecum sociale. È anche un modo razionale e irrazionale insieme, di fare i conti con la dimensione del tragico nella storia e di scendere a patti con il mistero. Con Nietzsche ci eravamo convinti che “non esistono fatti, solo interpretazioni”. Poi qualcosa ci cambia per sempre la vita, come la Grande Epidemia, con migliaia di vittime, la paura lo spaesamento, la disruption che provoca, e ci accorgiamo che i fatti esistono, altroché.

Comprendiamo allora che la religione non può essere ridotta a un dispensatore di generi di conforto. Né possiamo richiuderla in un rapporto privato a due, tra fedele e Dio, perché ci serve invece che continui a rappresentare, come è stato per secoli, un fattore di civilizzazione.

[…]

La religione non serve solo a pregare in privato, è un legame di comunità, e la fede ha rilevanza nel dibattito pubblico. La Chiesa si chiama così perché viene da ecclesia, che in greco designava l’assemblea, la riunione, l’adunanza, esattamente come la riunione dei cittadini nell’agorà nella democrazia ateniese.

La religione è dunque un fatto sociale, prima ancora che personale. Secondo il fondatore della sociologia, Émile Durkheim, la sua originaria ragione d’essere sarebbe proprio quella di tenere insieme la comunità di uomini. Ce ne accorgiamo quando non c’è, o quando si rinchiude o si estremizza, e non esercita più con efficacia il suo magistero.

 

Fonte: Antonio Polito, Le regole del cammino. In viaggio verso il tempo che ci attende (Universale Economica Feltrinelli), Marsilio, Venezia 2022, pp. 101-102.

venerdì 8 luglio 2022

DOMENICA XV DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 10 Luglio 2022

 



 

Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37

 

Il tema del comandamento dell’amore vicendevole, di cui parla il brano evangelico, ci viene proposto più volte lungo l’anno liturgico. Si tratta della legge fondamentale del credente, quella legge di cui Mosè tesse le lodi nella la prima lettura. Alla domanda del dottore della legge su che cosa debba egli fare per ereditare la vita eterna, Gesù non risponde ma rimanda l’interlocutore a ciò che sta scritto nella Legge di Mosè e che lo stesso dottore della legge riassume bene così: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Partendo dall’amore di sé e da quello di Dio, diventa autentico l’amore per l’altro. Diversamente, c’è il pericolo di amare il prossimo, presentandogli il conto. La novità però dell’insegnamento di Gesù sta nella risposta alla seconda domanda formulata dallo scriba: “chi è il mio prossimo?”, questione dibattuta dal rabbinismo. A questa domanda Gesù risponde con la splendida parabola del Samaritano. Con questa parabola Gesù invita a superare ogni diatriba teorica ed evasiva sul contenuto reale da dare al termine “prossimo”: ogni uomo che si trova in bisogno sia esso amico o nemico, è “prossimo” a tutti gli altri uomini che, in qualsiasi maniera, vengono in contatto con lui.  

 

Cosa fa il Samaritano? Prima di tutto si ferma perché si muove a compassione, che qui è vero amore. Per chi ha sempre troppo da fare, preso dai propri interessi, fermarsi per interessi altrui significa accorgersi che esiste un altro, che soffre e che è nel bisogno. In secondo luogo, si fa vicino all’uomo sofferente, non solo fisicamente ma anche con una vicinanza affettiva: se i cuori sono distanti, la vicinanza fisica non serve. In terzo luogo, si prodiga nei primi aiuti, cioè si rimbocca le maniche e offre un aiuto concreto. Finalmente, il buon Samaritano si assicura che il suo assistito possa ricuperarsi pienamente dalla disavventura. Non si accontenta di fare una buona azione, ma si preoccupa dell’individuo incontrato per caso affinché questi possa ritornare alla vita normale.

 

Nella seconda lettura si parla di Cristo “immagine del Dio invisibile”, espressione perfetta del volto del Padre, e perciò anche del suo amore infinito. Nel malcapitato i Padri vedono l’umanità peccatrice e nel buon Samaritano vedono il Cristo, che su tale umanità si china per prendersene cura. In Cristo Dio si è fatto “vicino” (cf Rm 10,5-10) e in lui e con lui è possibile amare il prossimo. Nell’eucaristia “l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. Solo a partire da questo fondamento cristologico-sacramentale si può capire correttamente l’insegnamento di Gesù sull’amore” (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 14).