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venerdì 29 luglio 2022

DOMENICA XVIII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 31 Luglio 2022

 



 

 

Qo 1,2; 2,21-23; Sal 89; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21

 

Il riconoscimento della fragilità e della caducità della nostra esistenza di fronte all’infinita grandezza di Dio e alla sua pienezza di vita, è la condizione prima per stabilire la verità nei nostri rapporti con Dio, sia nella preghiera che nella vita.

         

Il breve brano della prima lettura ci offre una visione profondamente disincantata della vita che ci lascia un po’ perplessi. Qoèlet, che di per sé vuol dire “Predicatore”, pseudonimo sotto cui si cela l’autore di questo libro dell’Antico Testamento, descrive un mondo che è vanità: “vanità delle vanità, tutto è vanità”. Si tratta di un pessimista che vede attorno a se soltanto il vuoto, il nulla, l’assurdità del vivere e dell’affannarsi quotidiano. Le cose, la vita, il mondo, tutto ciò che l’uomo ha costruito, è destinato a passare ad altri o a scomparire. Il Qoèlet guarda con disincanto, cinismo e profondo pessimismo al fondo delle esperienze umane. Su questo filone sapienziale si innesta il brano del vangelo, dove Gesù insegna a valutare e usare i beni terreni nell’orizzonte della fede in Dio creatore e Signore della vita. La sua istruzione prende lo spunto dall’intervento di uno della folla che gli dice: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Nella sua risposta, Gesù non si perde nella “casistica”, ma rimane al suo livello altissimo di Maestro, che sa scoprire e indicare le ragioni ultime che determinano le divisioni e i contrasti fra gli uomini e che si riassumono praticamente nell’egoismo e nella cupidigia. Egli affida la sua risposta alla parabola del ricco insensato: un uomo abile nel coltivo dei suoi campi, ha raggiunto un buon raccolto e sogna per sé un futuro roseo. Ma Dio interviene e lo chiama “stolto” e aggiunge: “questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”. E conclude il brano: “Così è di chi accumula tesori per sé, e non si arricchisce presso Dio”. Gesù non condanna il successo economico, ma ciò che a questo successo è stato sacrificato; il ricco della parabola ha reso gonfio il suo portafoglio, ma ha reso arido il suo cuore.

 

La parola di Dio che ci viene rivolta oggi è un invito a riflettere sulla scala dei valori che devono governare la nostra vita. Anche san Paolo nel brano della seconda lettura si muove nella stessa linea quando invita a guardare in alto, “dove è Cristo seduto alla destra di Dio”. Le cose terrene non sono il nostro orizzonte ultimo. Prendere coscienza della relatività del presente e delle cose, la loro fondamentale fragilità, la loro inadeguatezza, può avere una grande importanza ai fini di una retta impostazione della vita orientandola verso i beni definitivi. Non di soldi, ma di ben altre ricchezze ha bisogno il nostro cuore.

 

Possiamo concludere queste riflessioni dando uno sguardo all’affresco di Raffaello, chiamato “La scuola di Atene”, in cui sono raffigurati Aristotele e Platone. Il primo ha una mano protesa sulla terra, ma accanto Platone ha l’indice puntato verso il cielo. In questo quadro Raffaello ha saputo esprimere in modo geniale la duplice tendenza e vocazione dell’uomo, di conquistare la terra e di mirare al di là di essa, di esplorare la natura e di guardare oltre l’orizzonte del sensibile, che oggi si chiamerebbe lavorare e contemplare, impegnarsi nel quotidiano con lo sguardo fisso dove sono i valori trascendenti. L’eucaristia è al tempo stesso presenza e caparra di questi valori trascendenti e definitivi.