Sof
2,3; 3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a
Nella
prima lettura il profeta Sofonia ci ricorda che il resto fedele di Israele sarà
un popolo umile e povero capace di cercare il Signore. Nella seconda lettura
san Paolo, invitando i Corinzi a considerare la vocazione cristiana, dice loro,
riferendosi alla croce di Cristo, che Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole
per confondere i forti. Infine, la lettura evangelica riporta il testo delle
beatitudini che iniziano proclamando “beati i poveri in spirito, perché di essi
è il regno dei cieli”. Due concetti dobbiamo chiarire: che significato hanno le
beatitudini nel vangelo e, in particolare, chi sono questi “poveri in spirito”
proclamati beati.
Il
brano del vangelo odierno inizia così: “vedendo le folle, Gesù salì sul monte:
si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e
insegnava loro dicendo...” In questo modo solenne viene introdotto il
cosiddetto discorso della montagna che rappresenta il cuore del vangelo di san
Matteo e il modello di vita del cristiano. Come Mosè sul Sinai ricevette da Dio
la legge fondamentale del suo popolo, così Gesù sale sulla montagna per
proclamare la nuova legge che dà compimento alla legge antica. Le beatitudini
sono il sunto di questa nuova legge, vera carta costituzionale del nuovo popolo
di Dio. Esse hanno trovato in Cristo la perfetta attuazione. Le beatitudini
diventano allora l’identikit del discepolo di Gesù che cerca di seguire il suo
Maestro. Più che le singole affermazioni del testo delle beatitudini interessa
rilevare il movimento che orienta la vita secondo un itinerario che va da un
presente di croce verso un futuro di gloria: “Beati... perché saranno
consolati... avranno in eredità la terra... saranno saziati... troveranno
misericordia... vedranno Dio... saranno chiamati figli di Dio”. Questo
programma trova riscontro nella vita di Gesù, soprattutto nella sua passione,
morte e risurrezione. In sintesi, possiamo affermare che le beatitudini ci
collocano di fronte alla presenza di Dio affinché riusciamo a misurare la
nostra vita non secondo i valori del mondo e le possibilità di successo ad essi
collegate ma secondo i valori di Dio e i doni che da lui ci vengono
gratuitamente elargiti e che hanno trovato nell’esistenza di Gesù perfetta
realizzazione.
La
“povertà in spirito” è la prima beatitudine del vangelo, animatrice di ogni
altra beatitudine. “Beati i poveri in spirito - dice Gesù - perché di essi è il
regno dei cieli”. Che s’intende qui per poveri? I poveri non sono persone
particolarmente virtuose, ma semplicemente persone particolarmente bisognose.
La loro beatitudine significa quindi risposta al loro bisogno da parte di Dio
che è ricco di misericordia. La condizione di povertà, poi, pone l’uomo davanti
a Dio nella condizione del bisognoso. La povertà così intesa apre l’uomo alla
fiducia semplice e docile nel Signore. A questo punto, è lecito dire che la
povertà può diventare addirittura un ideale di vita, perché apre degli spazi per
Dio, strappa dalle sicurezze mondane e orienta verso altri traguardi, altre
gioie. In poche parole, la povertà in spirito significa una disposizione
interiore di abbandono, di disponibilità a Dio, alla sua volontà, alla sua
provvidenza.