Il sostantivo latino “munus” ha una varietà di significati in ambito liturgico. La liturgia è anzitutto opera di Cristo sacerdote o, come afferma Sacrosanctum Concilium al n. 7, “esercizio della funzione (munus) sacerdotale di Cristo”. Ma la liturgia è anche opera della Chiesa, corpo di Cristo, in cui “ciascuno, ministro o fedele, svolge il proprio ufficio (munus)” (SC 28). In particolare, i pastori “esercitano in essa la funzione (munus) di dispensatori dei misteri di Dio” (SC 19). Grazia suprema della partecipazione alla liturgia, che si esprime in modo pieno nella celebrazione eucaristica, è che il Signore “fa di noi stessi un’offerta (munus) eterna a lui” (SC 12). Questo testo riprende un concetto che si trova nelle fonti più antiche della liturgia romana e che il Messale Romano di Paolo VI (terza edizione tipica) riprende come preghiera sulle offerte ripetuta ben cinque volte nel Tempo pasquale: feria VI della domenica III di Pasqua; sabato della domenica IV di Pasqua; feria VI della domenica V di Pasqua; sabato della domenica VI di Pasqua; feria V della domenica VII di Pasqua:
“Propitius, Domine, quaesumus, haec dona sanctifica, et, hostiae spiritalis oblatione suscepta, nosmetipsos tibi perfice munus aeternum”.
Nell’aprire quindi questo blog su “Liturgia e dintorni”, ho pensato che una parola che esprime bene il mistero liturgico nella sua globalità è proprio il sostantivo latino “munus”.