Is
52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
Nel Natale di Cristo, la Chiesa ci invita a lodare con le parole profetiche del salmo 97 il Signore che ha compiuto prodigi e ha manifestato la sua salvezza e il suo amore per la casa d’Israele. Nel bambino di Betlemme questa salvezza si è manifestata, non solo ad Israele, ma a tutti gli uomini e donne della terra che possono ormai contemplarla e accoglierla. L’ingresso del Salvatore nel mondo e nella storia provoca un sussulto di felicità in tutti e in tutto. La gioia del Natale però sarebbe superficiale se non fosse fondata sulla contemplazione del mistero natalizio alla luce della fede. Ecco perché in questa messa del giorno siamo invitati a contemplare, guidati dalla parola di Dio, le profondità di questo mistero.
La
prima lettura riporta un brano del Secondo Isaia, l’anonimo annunziatore del
ritorno di Israele dall’esilio di Babilonia. Il profeta parla di un messaggero
che annunzia pace, felicità, salvezza. Questa missione, nel Nuovo Testamento,
Gesù l’attribuirà a se stesso (cf. Lc 4,43). La seconda lettura conferma che
Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio. La lettura evangelica è presa dal
grandioso prologo al vangelo di Giovanni. Vale la pena di concentrare la nostra
attenzione su questo sublime brano. Giovanni annunzia che il Verbo di Dio si è
fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi; ma al tempo stesso annunzia
che tutti coloro che accolgono questo bambino, il Figlio di Dio fatto carne, ricevono
anch’essi il potere di diventare figli di Dio. In Cristo ci viene offerta la
possibilità di una nuova origine, non più fondata sul sangue e sulla carne, ma
su Dio stesso. Il mistero del Natale riguarda quindi anche noi. Il mistero di
un Dio fatto uomo ci immerge nel mistero dell’uomo che diventa figlio di Dio.
Si tratta di quel “misterioso scambio” di cui parla il III prefazio di Natale:
il Verbo di Dio assume la nostra natura umana nella sua debolezza e fragilità,
e noi, uniti a lui in comunione mirabile, condividiamo la sua vita immortale
(cf. anche la preghiera dopo la comunione). La stessa dottrina esprime san
Paolo in un brano che viene proposto oggi alla nostra attenzione: “Quando venne
la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la
legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo
l’adozione a figli” (Primi vespri, lettura breve - Gal 4,4-5). Nel Natale noi
contempliamo gli inizi della nostra salvezza. L’antifona alla comunione, annuncia
profeticamente questo evento quando dice: “tutti i confini della terra hanno
veduto la salvezza del nostro Dio” (cf. Sal 97,3).
Il
grande padre della Chiesa romana, san Leone Magno, contemplando il mistero
dell’Incarnazione, esclama: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso
partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con
una condotta indegna” (Ufficio delle letture, seconda lettura). Questa stessa
esortazione è implicita nel testo del prologo di Giovanni quando si dice che a
colui che accoglie il Figlio di Dio fatto carne, viene dato potere di
“diventare” figlio di Dio: la nostra identità di figli di Dio è inserita dentro
un processo dinamico che si apre ad una crescita progressiva e senza sosta e ci
conduce verso gli spazi della vita divina.
L’eucaristia
che oggi celebriamo è per eccellenza il sacrificio della nuova alleanza, il
rito della nuova umanità, che ci introduce progressivamente alla partecipazione
della vita divina. Celebrare in Natale significa
celebrare l’umanità come luogo in cui il divino trova la sua massima
manifestazione