Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv
3,1-3; Mt 5,1-12a
Il Sal 23, nella sua prima
parte riportata dal salmo responsoriale odierno, è un cantico di pellegrinaggio
e riflette una situazione storica ben concreta. Giunti nella prossimità del
tempio di Gerusalemme, i pellegrini si pongono la domanda: “Chi potrà salire il
monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?”. La risposta è
categorica: “Chi ha mani innocenti e cuore puro”. I cristiani possiamo
riprendere le parole del salmo perché pure noi siamo in cammino, pellegrini
verso il luogo santo, verso la dimora del Signore, verso “la città del cielo,
la santa Gerusalemme che è nostra madre” (prefazio). Ricuperando e
attualizzando il messaggio del salmo, la Chiesa ribadisce che saranno ammessi
all’assemblea festosa della gloria e vedranno Dio “i puri di cuore”.
La prima lettura, tratta
dall’Apocalisse, propone due visioni di san Giovanni: nella prima, contempliamo
la schiera dei santi che si trovano ancora nel tempo del loro pellegrinaggio
terrestre; nella seconda, vediamo la moltitudine di quelli che già godono della
gloria eterna. Il numero degli eletti è simbolico, ad indicare la pienezza:
centoquarantaquattromila, il quadrato di dodici moltiplicato per mille. Esso ha
inoltre il carattere dell’universalità; infatti, gli eletti o “segnati con il
sigillo” provengono da “ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. Nel brano del
vangelo viene proclamata una pagina centrale del messaggio di Gesù, il
programma di vita che egli propone a coloro che intendono seguirlo: le Beatitudini.
E’ un programma impegnativo; un progetto costruito non secondo i valori del
mondo e le possibilità di successo ad essi collegate ma secondo i valori di Dio
e i doni che da lui ci vengono offerti gratuitamente. La santità è, come in
Cristo, donazione totale dell’essere nella “povertà”, cioè nell’apertura
dell’essere intero a Dio, al suo regno e al prossimo.
La santità non è impresa
per pochi eroi: tutti “siamo chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla
perfezione della carità” (Lumen Gentium,
n. 40). Il traguardo della santità è per tutti perché, come dice san Giovanni
nella seconda lettura, tutti siamo stati oggetto dell’amore di Dio. Infatti, la
santità è anzitutto il dono di Dio che ci ama e ci si dona nel suo proprio
Figlio. Il progetto del Padre è che noi siamo simili all’immagine del Figlio
suo Gesù Cristo. In ciascuno di noi è quindi presente il germe della santità;
compito nostro è svilupparlo in pienezza per la vita eterna. Al traguardo della
santità ci si arriva attraverso un impegno costante, come ricorda san Giovanni:
“Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli - cioè Gesù
- è puro”. In modo simile, san Paolo afferma: “purifichiamoci da ogni macchia
della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione,
nel timore di Dio” (Secondi vespri, lettura breve: 2Cor 7,1).
Nel Credo professiamo la fede nella “comunione dei santi”. La solennità
odierna celebra i santi appunto come nostri “amici e modelli di vita”
(prefazio). Cristo è l’archetipo di ogni santità, il santo per eccellenza, anzi
il “solo santo”. Coloro che noi chiamiamo santi sono quindi tali nella misura
in cui si identificano con Cristo. Nei santi noi possiamo contemplare
realizzata in modo multiforme ed esemplare l’immagine di Cristo ed in essi
abbiamo degli amici che ci proteggono nel nostro pellegrinaggio e intercedono
perché anche noi possiamo raggiungere l’ambito traguardo.
L’eucaristia è la sorgente
di ogni santità e il nutrimento spirituale “che ci sostiene nel pellegrinaggio
terreno” verso il traguardo (orazione dopo la comunione).