2Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38
Il Sal 16 si presenta in
forma di preghiera o supplica di un giusto falsamente accusato, il quale al tempo
stesso che protesta la propria innocenza si dichiara sicuro e fiducioso di
essere ammesso alla presenza di Dio nel tempio. Per noi cristiani, da questo
testo emergono due certezze: Dio ci difende, anzi ci protegge all’ombra delle
sue ali; superati i disagi del nostro pellegrinaggio, incontreremo il volto
radioso di Dio e ci sazieremo della sua presenza. Quest’ultima verità è quella
che il ritornello del salmo responsoriale mette in evidenza.
La prima lettura, tratta
dal secondo libro dei Maccabei, ci riporta alcuni tratti dell’epico racconto
del martirio dei “sette fratelli”, detti appunto Maccabei; sette fratelli che,
con la loro madre, vanno con fierezza incontro al martirio, per non rinnegare
la propria fede, nella certezza che Dio li “risusciterà a vita nuova ed
eterna”. E’ la prima volta che nella tradizione biblica dell’Antico Testamento
appare in maniera esplicita la credenza nella “risurrezione dei morti”. Nel
brano evangelico vediamo che Gesù in polemica con i sadducei, che non credevano
alla risurrezione, afferma, facendo riferimento a Mosè, che “Dio non è dei
morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. Il fatto che Dio si
presenta a Mosè nel roveto ardente come il “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di
Giacobbe” (Es 3,6), vuol dire che nel momento stesso che egli parla si sente in
rapporto “vitale” coi Patriarchi morti ormai da centinaia di anni. La seconda
lettura contempla il disegno di Dio su di noi: all’origine della nostra vita
c’è l’amore con cui Dio gratuitamente ci ha amato; al suo traguardo c’è il
compimento della speranza che Dio ha posto nei nostri cuori; nel momento presente
c’è il conforto con cui egli ci rende stabili “in ogni opera e parola di bene”.
Il futuro appartiene alla vita, perché Dio è fedele ai doni fatti e ci libera
da tutte le potenze del male e della morte. La vita oltre la vita esiste!
In queste ultime domeniche
dell’anno liturgico siamo invitati a dare uno sguardo fiducioso alle ultime e
misteriose realtà che ci attendono alla fine della nostra esistenza terrena.
Andiamo incontro ad una vita nuova e definitiva, che sarà il superamento di
tutto ciò che oggi ci limita, ci condiziona e ci opprime. Questa vita è una
vita trasformata per la forza dello Spirito Santo, ed è partecipazione alla
vita stessa di Cristo, “il quale è morto per noi, perché viviamo insieme con
lui” (Ufficio delle letture, responsorio). Tra la situazione attuale in cui ci
troviamo e lo stato di risorti che attendiamo si compia in noi, c’è continuità
ma anche radicale diversità. Ora siamo in cammino verso i beni futuri (cf
colletta). La nostra vita, quindi, non è allo sbaraglio, ma è orientata verso
un traguardo ben definito.
L’eucaristia è nutrimento
del nostro pellegrinaggio e pegno della vita futura. Gesù lo ha detto
chiaramente nel discorso pronunciato nella sinagoga di Cafàrnao: “Chi mangia
questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,58). Infatti, l’effetto proprio
dell’eucaristia è la mutazione dell’uomo in Cristo per cui possiamo dire con
san Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Questa
reciproca immanenza ci fa camminare ancora sulla terra, ma già abbracciati e in
comunione con Cristo, che ha detto: “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv
11,25). Dice il Vaticano II che Cristo “col nutrimento del proprio corpo e del
proprio sangue”, ci rende “partecipi della sua vita gloriosa” (Lumen Gentium, n.48). Nell’ora del
nostro passaggio da questa vita riceviamo questo sacramento come viatico per la
vita eterna e pegno della risurrezione.