Ml 3,19-20°; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19
La fine del mondo e il giudizio
universale, temi che ci propone oggi la parola di Dio, sono da considerarsi
come un giorno di festa in cui Dio viene a stabilire definitivamente la
giustizia. Dopo le severe parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo, può
sembrare fuori posto questa affermazione.
Invece questo giorno, che
la Bibbia chiama “giorno del Signore”, è descritto dalla prima lettura come “un
giorno rovente come un forno”, in cui Dio annienterà i superbi e gli ingiusti,
ma salverà coloro che hanno timore del suo nome, e cioè quelli che servono Dio
con fedeltà. Per questi “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” (cf
anche I Vespri, ant. al Magn). Il vangelo raccoglie le parole di Gesù sulla
fine del Tempio di Gerusalemme. E quando gli chiedono: “Signore, quando accadrà
questo…?”, Gesù non risponde, ma prende l’occasione per portare l’attenzione
dei suoi discepoli sugli ultimi tempi, di cui ne rivela l’incertezza del giorno
e dell’ora. In attesa del compimento della vicenda terrena, ci viene dato come
codice di comportamento l’esortazione di san Paolo ai cristiani di Tessalonica:
in attesa del trionfo della giustizia, in attesa che il male sia vinto,
l’Apostolo ci invita a vivere la nostra vita nella pace lavorando, cercando di
non essere di peso agli altri, guadagnandoci così il nostro destino. Questa
esortazione coincide con l’affermazione di Gesù che conclude il discorso sulla
fine dei tempi con queste parole: “Con la vostra perseveranza salverete le
vostre anime” (II Vespri, ant. al Magn.).
La perseveranza è frutto
della grazia, è frutto dello Spirito, ma è anche risposta coerente e quotidiana
della nostra volontà al dono di Dio. La vita cristiana non è passiva attesa di
doni che piovono dal cielo; è invece ricerca appassionata, impegno generoso che
si traduce in un concreto sforzo per testimoniare la giustizia e la salvezza di
Dio. In questo mondo siamo di passaggio. Tante volte invece le realtà terrene
ci si offrono in tutta la loro forza seducente, in modo che non è facile
mantenersene liberi. Il nostro sguardo deve rivolgersi verso quei beni che ci
procurano “felicità piena e duratura” (colletta). A questo proposito, sant’Agostino
dice che il cristiano deve “servirsi del mondo, non farsi schiavo del mondo”
(Ufficio delle letture, 2a lettura). Dio ha progetti di pace su di
noi, non progetti di sventura (cf ant. d’ingresso, Ger 29,11). Infatti, dopo le
severe parole di Gesù, abbiamo ascoltato che egli afferma: “Nemmeno un capello
del vostro capo perirà”. Pertanto, il linguaggio immaginoso che usa la
Scrittura per descrivere il giorno finale non deve incutere paura. Non serve vivere
in attesa ansiosa e oziosa del futuro. L’attesa cristiana si chiama speranza,
la quale non è né ansiosa né oziosa ma attiva. La vita è amministrazione di un
dono che ci è stato -affidato, quindi è responsabilità. Bisogna prendere sul
serio il tempo presente. Siamo chiamati non all’evasione dal mondo, ma a
costruire qui e ora le premesse che preparano l’avvento definitivo del regno di
Dio.
Il Signore che verrà alla
fine dei tempi come giudice è realmente presente nell’Eucaristia sotto gli
umili segni sacramentali del pane e del vino. Nell’Eucaristia quindi è
racchiusa e già in atto la beata speranza che alimenta l’attesa e il desiderio
della Chiesa e di ogni credente nel ritorno del Signore. Perciò possiamo
gridare ai quattro venti con gli antichi cristiani: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).