Es 17,8-13°; Sal 120; 2Tm
3,14-4,2; Lc 18,1-8.
“Il mio aiuto viene dal
Signore”. Così abbiamo risposto alle singole strofe del salmo responsoriale.
Riprendendo le stesse parole, esprimiamo la nostra fede nella presenza del
Signore alla sua Chiesa e, in essa, a ciascuno di noi. E’ una presenza vigile e
premurosa, nella quale troviamo sempre aiuto e sicurezza. Il Signore copre con
la sua vigilante protezione tutto il percorso della nostra vita, dall’uscita
dal grembo materno fino all’ingresso nel grembo della terra.
Anche il canto d’ingresso,
preso pure esso da un salmo di fiducia, esprime le idee di fondo del salmo
responsoriale e ne trae ispirazione per rivolgersi a Dio con una toccante
preghiera: “Io t’invoco, o Dio, poiché tu mi rispondi; tendi a me l’orecchio,
ascolta le mie parole. Custodiscimi come la pupilla degli occhi, all’ombra
delle tue ali nascondimi” (Sal 16,6.8). Il brano evangelico illustra come Dio
sia buono e giusto e venga in aiuto a chi lo prega con fede e con perseveranza.
L’accostamento col vangelo invita a vedere nel gesto di Mosè con le mani
alzate, di cui parla la prima lettura, un gesto di preghiera insistente ed
efficace. Questa è poi l’interpretazione che fa del testo l’antifona al
Magnificat dei Primi Vespri: “Le mani di Mosè rimasero alzate in preghiera fino
al tramonto del sole”. La lettura apostolica esalta il ruolo della parola di
Dio nella vita cristiana. In fine, il canto al vangelo esalta l’efficacia della
parola di Dio: “La parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti e i
pensieri del cuore” (cf. Eb 4,12).
La liturgia odierna ci
invita a riflettere sull’efficacia della preghiera, in particolare di quella di
supplica. Non si tratta di una efficacia meccanica, quasi che il pregare fosse
un’attività magica. La preghiera è anzitutto un’esperienza profonda di fede e
di fiducia in Dio. Quando Gesù ci esorta a “pregare sempre, senza stancarsi”, a
“gridare” e “importunare” non intende indurci a pregare per ottenere favori
casuali. Egli ci spinge a pregare perché il regno di Dio si compia, come ci
ricorda il Padrenostro: “Venga il tuo regno” (Mt 6,33). Tutte le suppliche,
anche quelle dirette alla propria salvezza personale, mirano in ultimo termine
alla venuta del regno di Dio, nel quale la nostra individualità è inserita senza
nel contempo scomparire, e il cui arrivo porta con sé il nostro essere salvati.
E’ necessario però ricordare che il compimento del regno di Dio si attua
attraverso il cammino della croce che conduce alla pasqua. La prima lettura ci
insegna che preghiera e impegno debbono andare insieme: la preghiera dà
all’impegno il suo riferimento essenziale a Dio, e l’impegno dà alla preghiera
la sua serietà e coerenza. La preghiera non sostituisce lo sforzo quotidiano
nel servire Dio con lealtà.
L’eucaristia nutre la
nostra speranza, perché la Chiesa celebra l’eucaristia “finché egli venga”
(1Cor 11,26). La presenza di Cristo nell’eucaristia è dinamica e ci pone
nell’attesa del suo ritorno: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20). Partecipando
all’eucaristia viviamo già, anticipatamente e in speranza, la realtà piena di
una salvezza che ora è offerta sotto il velo dei segni sacramentali e con i
limiti di tutte le cose umane.