Gianfranco
Ravasi nel suo recente volumetto sul Miserere
(Miserere. Il più celebre salmo
penitenziale, EDB 2016) commenta i vv. 20-21 del Sal 50 (51) sotto il
titolo “Appendice liturgica” (pp. 122-123). Ecco il testo:
Già
Teodoreto di Cirro aveva riconosciuto il carattere secondario di quest’aggiunta
che trasforma il canto di supplica individuale in un carme nazionale. Dopo l’esilio visto come
un lungo atto penitenziale che ha reso “contrito” il cuore peccatore di
Israele, il popolo di Dio può ritornare a celebrare il culto a Sion nel tempio
ricostruito, secondo lo spirito proposto dalla profezia (Ger 31,38; Is 16,1;
33,20; 62,6; Sal 102,14; 147,2). Il moderno commentatore ebreo dei salmi che si
nasconde sotto lo pseudonimo di Emmanuel, nella linea della tradizione
rabbinica (Ibn Ezra), scrive:
“I
due ultimi versetti del Sal 51 furono aggiunti dopo l’esilio di Babilonia e
così questo salmo, che esprime il dolore di ogni uomo in particolare, riceve
bruscamente una nuova e meravigliosa interpretazione. Non è più solo il
peccatore che si pente e sollecita il perdono, è il popolo intero che domanda a
Dio di dimenticare le sue trasgressioni perché possa di nuovo essere degno di
guidare tutti gli uomini verso la santità…” (Emmanuel, Commentaire juif des Psaumes, Paris 1963, 101-102).
Chi
invece sostiene l’unità del salmo e lo colloca totalmente nell’ambito
post-esilico pensa che i vv. 20-21 sono l’esempio vivo dell’attualizzazione
della parola di Dio secondo nuovi contesti e nuovi interrogativi. Israele, dopo
aver “scontato la sua iniquità ed aver ricevuto dalla mano del Signore doppio
castigo per tutti i suoi peccati” (Is 40,2) attraverso l’esilio, ritorna a
rialzare il tempio e la città santa. L’allusione alle mura fa pensare a Neemia
(Ne 2,17-20). Se nell’esilio poteva solo offrire il sacrificio del suo pianto
(Sal 137), ora può nel tempio ricostruito riprendere un culto più puro perché
sgorgato da un cuore contrito e purificato attraverso le prove dell’esilio […]