Manuel Belli, L’epoca
dei riti tristi (Nuovi saggi Queriniana 101), Brescia 2021. 233 pp. (€
16,00).
Dopo il volume di Byung-Chul
Han, La scomparsa dei riti, di cui ho postato una sintesi lo scorso 11
aprile, ecco un’altra opera che si occupa
della crisi della ritualità. Abbiamo constatato che l’assioma “spiegare di più per celebrare meglio”
non funziona. Come anche fallimentari si sono dimostrati i tentativi che molti
fanno di rendere i riti “stravaganti”: celebrare con paramenti settecenteschi
in latino o con il naso da clown e sostituendo scenette alla predica non
differiscono. Si tratta di fraintendimenti rituali opposti, ma con la stessa
matrice: l’illusione sottesa è che il problema siano i riti proposti dal libro
liturgico. Le soluzioni cambiano poi a seconda dei gusti personali: qualcuno
preferisce “fughe retrò” e qualcuno “slanci cabarettistici”, ma sono solo due
lati della stessa medaglia.
Occorre guardare oltre:
il problema non è né spiegare la messa né renderla meno noiosa. L’attuale
generazione non ha problemi solo con i riti religiosi: ad essere in crisi è la
ritualità in genere. Infatti, la ritualità è la parte fondamentale della nostra
umanità: noi esistiamo istituendo riti. E anche i riti più complessi (come
quelli religiosi) scaturiscono dalla combinazione di azioni simbolico/rituali
elementari: camminare, mangiare, toccare, leggere, cantare, illuminare, lavare,
pregare.
Abbiamo problemi con i
riti liturgici perché abbiamo problemi più ampi con i riti, e viceversa.
Qualcuno ha definito il nostro tempo, l’epoca delle passioni tristi. Potrebbe
essere che la tristezza che ammala la nostra epoca dipenda dai “riti tristi”
che la costellano. Viviamo un’epoca di riti tristi caratterizzata da basse
densità di significato. Nei riti che costellano la vita c’è un potenziale di
tristezza che si riversa nei riti liturgici.
Se si perde il senso del
far festa, vista soprattutto come semplice tempo libero, si perde anche il
senso della domenica come “festa primordiale” dei cristiani. Se diventa una
prassi frequente mangiare da soli in un fast food, si perde il senso
conviviale del pasto e quindi si affievolisce il senso conviviale
dell’eucaristia. La parola di Dio custodita in un libro e affidata alla lettura
e alla predicazione sembra non collimare con le esigenze della ritualità
comunicativa indotte dalla rivoluzione informatica. E ancora, visto che siamo
sempre on line e sempre meno in presenza, a che scopo insistere sulla
convocazione dell’assemblea? Sono solo alcuni esempi che ci invitano a
riflettere. Il libro del Prof. Manuel Belli ci aiuta in questa riflessione.