Non è il Tempio il luogo principale dove Cristo
predica, agisce, dona ciò che di più prezioso ha, bensì è la strada, la piazza,
le case delle persone semplici ma anche quelle sei farisei. È fuori dalla città
di Gerusalemme, e non sul sagrato del Tempio, che viene crocifisso.
Cosa significa tutto questo? Che dobbiamo
distruggere il Tempio e il Sacro? Qualcuno ha pensato esattamente questo. E la
grande crisi che stiamo attraversando è dovuta anche a questa ingenuità. È
invece esattamente il contrario di tutto ciò. È proprio il Sacro e il Tempio che
ci allenano a riconoscere Dio, perché la categoria del sacro è la categoria
della giusta distanza, di ciò che rende un quadro di Rembrandt un
capolavoro o una poltiglia di colori. L’abolizione di quella distanza è
l’abolizione dell’occasione che noi abbiamo di accorgerci di quella bellezza.
Ecco perché l’abolizione del Sacro è la cosa peggiore che noi possiamo fare. E
lo scollamento liturgico che viviamo nelle nostre comunità è sintomo di questo
grande fraintendimento.
È la bellezza della liturgia che mi può aiutare a
riconoscere Cristo anche nel volto dei poveri, o nella bellezza del creato, o
nelle ombre di un dolore come nello splendore di una gioia. Ma se la liturgia diventa
solo ritualismo consegnato alla mercé di chi celebra, allora essa non è più
sacro ma narcisismo.
Fonte: Cfr. Luigi Maria Epicoco, Solo i malati
guariscono. L’umano del (non) credente, San Paolo Cinisello Balsamo 2024,
pp. 37-39.