Es 12,1-8.11-14; Sal 115
(116); 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15
Il
brano evangelico d’oggi inizia con queste parole: “Prima della festa di Pasqua
Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo
amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”. La sera del Giovedì Santo celebriamo l’ora
di Gesù, l’ora in cui egli manifesta pienamente se stesso facendosi dono per
noi. Infatti, in questa celebrazione del Giovedì Santo la Chiesa fa memoria di
tre avvenimenti, apparentemente diversi, ma in realtà strettamente connessi:
l’istituzione dell’eucaristia, l’istituzione del sacerdozio ministeriale e il
comandamento nuovo della carità fraterna. Questi tre doni di Cristo alla sua
Chiesa sono l’autentico testamento di Gesù vicino ormai alla sua ora, cioè al
passaggio da questo mondo al Padre. È un testamento dettato dal grande amore di
Gesù per noi, segno vivo ed efficace della sua presenza a nostro favore.
Qual è
il senso profondo di questo testamento? Possiamo coglierne il significato nel
gesto della lavanda dei piedi: Gesù lava i piedi ai suoi discepoli. Questo
gesto non è solo un atto di umiltà. E’ qualcosa di più profondo. San Giovanni
ha voluto parlarne al posto del racconto dell’ultima cena. Tutti gli altri
evangelisti, e anche san Paolo (cf. seconda lettura), ci narrano con grande
cura l’istituzione dell’eucaristia e, implicitamente, quella del sacerdozio
ministeriale (cf. “Fate questo in memoria di me”). San Giovanni invece ha
voluto darci attraverso il gesto della lavanda dei piedi il significato del
dono offerto a noi da Cristo nell’eucaristia: “Se io – dice Gesù – il Signore e
il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli
altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho
fatto a voi”. Non è tassativamente la lavanda dei piedi in se stessa che
prescrive Gesù, quanto piuttosto quella disponibilità totale di servizio, di
dono di sé ai fratelli che si esprime nel gesto della lavanda. Gesù compie un
gesto di servizio e di abbassamento, di dono di sé per il bene degli altri. San
Giovanni presenta quindi l’eucaristia come il sacramento dell’abbassamento,
dell’obbedienza, del sacrificio spirituale e dell’amore di Cristo, del dono
totale di sé per la salvezza di noi tutti.
Il dono
di sé che Gesù consuma il Venerdì Santo quando porta a compimento la sua
missione in totale sottomissione alla volontà del Padre fino alla morte e morte
di croce, è perennemente presente nell’eucaristia affinché noi possiamo
ricevere i frutti di questo donarsi del Signore per noi. Quando Gesù prende il
pane fra le sue mani dice: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per
voi...” Quando prende il calice del vino dice: “Questo è il calice del mio
sangue versato per voi...” Ecco quindi che quando Gesù istituisce l’eucaristia
ci spiega il significato della sua morte come dono di sé per la vita del mondo,
dono perennemente presente in mezzo a noi nei segni del pane e del vino.
Possiamo
affermare che il messaggio del Giovedì Santo è tutto qui. Vivere, ad esempio di
Cristo, la nostra fede come dono di noi stessi al servizio dei nostri fratelli
e sorelle, nella obbedienza a Dio Padre. Questo è il senso dell’eucaristia,
questa è la missione fondamentale del sacerdozio ministeriale nella Chiesa e
questo è il nocciolo della vita cristiana sintetizzata nel comandamento nuovo
dato da Gesù quando dice: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni
gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12).