Nm 21,4b-9; Sal 77 (78); Fil
2,6-11; Gv 3,13-17
Il
Sal 77 è uno dei più grandiosi del Salterio. Dagli avvenimenti della storia
d’Israele e, in particolare, dal ricordo della misericordia di Dio e delle
infedeltà del popolo, il salmo cerca di trarre insegnamenti per il presente.
Alcuni Padri hanno attribuito le espressioni del Sal 77 alla storia della
passione di Cristo. La liturgia del Venerdì Santo traduce il lamento del salmo
nei “rimproveri” rivolti da Cristo al suo popolo infedele. I versetti ripresi dall’odierno
salmo responsoriale possono essere considerati un insegnamento che Cristo
rivolge alla sua Chiesa, affinché riponga la sua fiducia in Dio, non dimentichi
ciò che egli ha compiuto per lei e sia fedele alla sua alleanza.
Le
feste della santa Croce (prima del 1960 erano due: Invenzione della santa Croce
[3 maggio] e Esaltazione della santa Croce [14 settembre]) nella loro origine
risalgono alla dedicazione delle due basiliche fatte costruire da Costantino a
Gerusalemme, una sul luogo del Calvario e l’altra su quella del sepolcro di
Cristo. L’attuale festa del 14 settembre celebra la Croce come mistero di
salvezza, come bene esprime il prefazio della messa: “Nel legno della Croce tu
hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché da dove sorgeva la morte di là
risorgesse la vita, e chi dall’albero dell’Eden traeva vittoria, dall’albero della
croce venisse sconfitto”. Le letture bibliche si muovono su questa linea.
La
prima lettura ricorda l’infedeltà d’Israele nel deserto e la conseguente punizione
di Dio che manda i serpenti velenosi, i quali causano la morte di gran numero
d’Israeliti. Dopo il pentimento del popolo, Dio ordina a Mosè di fare un
serpente di rame e metterlo sopra un’asta: “chiunque sarà stato morso e lo
guarderà, resterà in vita”. Questo evento è stato interpretato dal libro della Sapienza
come “segno” o “pegno” di salvezza offerto da Dio ad Israele (16,6-7).
La
lettura evangelica riporta un brano del colloquio di Gesù con Nicodemo, in cui anche
Gesù fa riferimento all’episodio del serpente nel deserto: “Come Mosè innalzò
il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Per essere salvati,
bisognerà “guardare” il Cristo, il Verbo di Dio “disceso” dal cielo e poi
“innalzato” sulla Croce, bisognerà cioè credere che Egli è “l’unigenito Figlio di
Dio” (Gv 3,18). La parola “innalzato” significa,
in Giovanni, tanto l’inalberamento di Cristo sul tronco della Croce, quanto la
sua esaltazione gloriosa (cf. Gv 8,28; 12,32-34). La Croce è esaltazione
dell’amore di Dio per noi: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito…” Perciò la colletta della messa può affermare che “con la Croce di
Cristo […] abbiamo conosciuto in terra il suo mistero” di amore.
Anche
il grandioso inno paolino della seconda lettura interpreta il mistero di Cristo
attraverso lo schema: discesa, spogliazione o abbassamento (incarnazione) ed
elevazione o esaltazione (morte e risurrezione). La croce è l’abisso
dell’abbassamento, ma anche l’apice dell’esaltazione nella gloria pasquale. Dinanzi
a questo mistero, ogni lingua deve proclamare che “Gesù Cristo è il Signore”. La
Croce è l’albero della vita e noi nell’eucaristia ne cogliamo i frutti (cf. le
orazioni sulle offerte e quella dopo la comunione).