Ripropongo una stringata e incompleta sintesi di uno
studio di Emmanuela Zurli, di
qualche anno fa, sul “Kyrie eleison. L’invocazione biblica a Dio, che ci ama
come una madre” (Rassegna di
Teologia 51 (2010) 215-232). Si può essere d’accordo o meno con la
studiosa. In ogni modo, si tratta di un esempio di come la traduzione è capace
di attirare intorno a sé le più vaste tematiche ermeneutiche.
Lo studio della Zurli si propone di verificare
significato e contesto originari dell’invocazione di origine biblica Kyrie eleison, tradotta
nella liturgia: “Signore, pietà”. Sin dall’indagine semantica, condotta sul
linguaggio originario e le successive traduzioni, sia da quella contestuale,
svolta sui Vangeli, risulta che l’invocazione si rivolge all’amore “materno” di
Dio e non nasce da una richiesta di perdono dei peccati. L’autrice, quindi, suggerisce di
tradurla : “Signore, amami teneramente”.
Se risaliamo alla lingua originaria dell’invocazione,
l’aramaico, ci rendiamo conto che nella prima traduzione – in greco, a cui ha
fatto seguito quella in latino e, quindi, nelle lingue moderne – si sono
verificati due fenomeni: l’occultamento del carattere materno di Dio nonché
l’accentuazione della colpevolezza umana.
L’invocazione ricorre dieci volte nei Vangeli sinottici
ed è rivolta a Gesù (Mt 9,27; 15,22; 17,15; 20,30-31 [2x]; Mc 10,47-48 [2x]; Lc
17,13; 18,38-39 [2x]). L’invocazione non ci è giunta nella sua lingua originale
(l’ebraico/aramaico) ma soltanto nella sua versione greca: Kyrie eléēson. Al verbo
greco utilizzato nell’invocazione è sotteso un termine ebraico con cui
nell’Antico Testamento veniva descritta la componente materna dell’amore di
Dio. Infatti il più delle volte il verbo eléēo
traduce l’ebraico rhm,
che viene usualmente reso con “provare misericordia”, “sentire pietà”, “provare
tenerezza”, “commuoversi”, “amare (teneramente)”. Notiamo però che tutte le
volte che eléēson
appare nei Vangeli, è stato reso con il verbo latino misereri. In questo modo
non è scomparso soltanto il riferimento all’amore materno di Dio che
l’invocazione vuole suscitare, ma è stato spostato l’accento sulla colpevolezza
dell’uomo. Il collegamento della peccaminosità al Kyrie eleison è entrato anche nella prassi
della spiritualità, sia ortodossa che cattolica, delle Chiese cristiane di
lingua greca.
Come detto, la Zurli suggerisce di tradurre l’invocazione
in questione “Signore, amami teneramente”, ma più avanti dice: “Appurata la
mancanza, nelle lingue moderne, di un termine unico che renda sia la componente
materna sia il profondo coinvolgimento contenuti nell’espressione originaria, una soluzione è forse lasciare
l’invocazione, consapevoli del suo significato più autentico, nella lingua
nella quale la tradizione cristiana l’ha tramandata per quasi duemila anni, il
greco”.