Alcuni
ritengono che la preghiera sia un fenomeno del passato, un’evasione, o anche un
alibi rispetto alle responsabilità e ai compiti urgenti dell’uomo nella storia.
Non c’è dubbio che la preghiera può diventare un’evasione o un alibi. Si tratta
però di una degenerazione del pregare che è ben altra cosa.
Un noto pensatore e teologo di
punta dei nostri tempi, non allineato,Vito Mancuso, qualche anno fa affermava che pregare è
umano, un antichissimo e universale gesto umano. Gli esseri umani fanno
molte cose nella loro esistenza e tra queste, in ogni parte del mondo, pregano.
La preghiera, aggiungeva, è un fenomeno universale. Si può anche giungere al
paradosso di uomini che non credono in Dio ma che pregano, e cioè che almeno
qualche volta nella vita si ritrovano a formulare parole o pensieri in forme
non usuali rivolgendoli al mistero che avvolge la vita – esattamente nel senso
richiamato da Norberto Bobbio quando diceva: “Come uomo di ragione, non di fede, so di essere immerso nel
mistero”. Gli esseri umani preghiamo perché avvertiamo il bisogno
di rivolgerci alla potenza superiore che sovrasta le nostre vite e in qualche modo conoscerla, placarla, ringraziarla, a prescindere
poi se tale potenza venga da noi intesa come personale (il Dio della Bibbia) o
impersonale (il Fato degli antichi) o al di là delle categorie di
personale-impersonale (così, ad esempio, il Nirvana del buddismo, inteso come
il fine ultimo della vita). La ragione umana può giungere a non riconoscere
nulla di superiore a se stessa, ciononostante il sentimento complessivo
dell’esistenza sente in certi momenti il bisogno di rivolgersi alla potenza
imponderabile della vita che ci sovrasta dicendo “tu”, da spirito libero a
spirito libero.
Nel testo di Mancuso che ho
sintetizzato e aggiornato, si parla della preghiera in un senso molto generale,
per così dire ecumenico, globale. Ma cos’è veramente la preghiera? In alcuni
ambienti laici e filosofici, la definiscono come un riflettere, un narrare, un
situarsi dell’uomo nella riflessione sulla la propria radicale finitezza.
Pregare, in qualunque modo sia formulata la preghiera, è il tentativo di andare
oltre la precarietà dell’esistere. In questo contesto, altri comprendono la
preghiera come un atto intimo di riflessione sul senso di sé e
del tempo, carico di potenziale critico e addirittura rivoluzionario Altri ancora parlano della preghiera come un impegnativo
riflettere sulla vita in situazioni concrete di particolare interesse. In
questo contesto, la preghiera è considerata un’attività che illumina e orienta
le decisioni esistenziali. Possiamo affermare che la vita stessa può essere
preghiera. Può essere la ricerca di un bagliore di luce in mezzo alle tenebre,
o di un respiro di rimettere in moto, o un bisogno di rimettere ordine nei
propri pensieri. Riprendendo un’idea di Norberto Bobbio, il cardinale Carlo
Maria Martini affermava che “la differenza più importante non è tra chi crede e
chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi
dell’esistenza”.
Se per pregare si intende
“apertura verso il mistero che ci avvolge”, mi domando: è preghiera questa? La
preghiera implica che ci sia qualcuno che ascolta. La preghiera non può essere
soltanto riflessione interiore sul mio destino, sul male, sull’origine e la
fine delle cose, una riflessione in cui nessuno mi ascolta e che rivolgo
soltanto a me stesso. Per il cristianesimo pregare
è uscire da se stessi. Certamente pregare è anche un riflettere impegnativo
sulla vita in situazioni concrete. Ma non basta, pregare è principalmente
accogliere una presenza, o meglio accogliere la Presenza. Ma qui sta la
difficoltà principale per molti oggi: la crisi della preghiera è principalmente
la crisi di una immagine personale di Dio, non da tutti percepita, non da tutti
accolta.
La
preghiera agisce su colui che prega e fa emergere la sua identità profonda. Un
cristiano che si ritiene tale e non riesce a pregare, probabilmente è carente
di fede cristiana. Infatti, possiamo affermare che la preghiera non è altro che
fede applicata, una “fede parlante”. Come l’amore, neppure la fede parlante
vuole soltanto soddisfare i propri bisogni, imporre i propri desideri,
manipolare Dio, o addirittura costringerlo in maniera magica. Il senso più
nascosto della preghiera non è quello di attendersi la risoluzione dei propri
drammi o problemi, ma la speranza di comprendere a fondo quale sia il sentiero
di percorrere nella vita.
A
molte cose non si può pensare senza ringraziare (in tedesco, pensare e
ringraziare sono parole molto simili, che hanno un certo parentesco: Denken und Danken). È cosa profondamente
umana poter ringraziare. E chi devo ringraziare? Spesso è stato soltanto un
caso che tutto mi sia andato bene nella salute, nella professione, nella vita
familiare, ecc. Però non si può ringraziare il caso, non posso rivolgermi ad
esso. Come persona credente io vorrei ringraziare chi sta dietro alla cosa e anche
dietro a tutte le necessità.
Non
mancano nella vita momenti in cui abbiamo bisogno di chiedere qualcosa, aiuto e
sostegno. A chi dovrei chiedere? Come creature umane, siamo limitati e anche
manchevoli. Perché dovrei nascondere, tacere, rimuovere ciò davanti a Dio?
Come e quando pregare? Nella
Bibbia la preghiera della persona devota o meno viene praticata per lo più in
maniera naturale e spontanea, nel cuore della vita e a partire dalla vita: è
una ingenua effusione del cuore. Santa Teresa di Gesù Bambino ha definito la
preghiera con queste parole: “Per me la preghiera è uno slancio del cuore, è un
semplice sguardo gettato verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore
nella prova e nella gioia”.
La crisi della preghiera oggi,
è dovuta più che a fattori importanti, ma pur sempre estrinseci (progresso
tecnocratico, evoluzionismo, secolarizzazione), innanzitutto ad un progressivo
fraintendimento del senso (o quid est) della preghiera stessa, ad una
sua caricaturizzazione in senso formalistico e farisaico. In secondo luogo, la
crisi della preghiera proverrebbe da importanti obiezioni antropologiche e
teologiche a suo carico: da un lato, l’importanza assegnata
all’autosufficienza, che rende difficile “fidarsi dell’Altrove”; dall’altro,
l’incompatibilità tra il Dio della metafisica e una preghiera tradizionale, che
non sia quella propria di una fede filosofica.
Ci sono alcuni ostacoli che si
frappongono alla pratica della preghiera, sotto la forma di fenomeni annidati
nel clima culturale che si respira. Così, ad esempio, il narcisismo che segna
la nostra società. Un narcisismo che è
diventato un vero e proprio stile di vita dell’uomo contemporaneo. A livello
individuale si manifesta in un esagerato investimento nella propria immagine a
spese del’ “io” autentico, in un individualismo che compromette la capacità di
indirizzarsi ad un “tu” e di inserirsi in un “noi”. Ne risulta una personalità
patologica, descrivibile con i tratti del primato accordato all’emozionale sul
razionale. Non c’è perciò da meravigliarsi che il singolo si senta ormai
autorizzato alle più strane miscele religiose: un pizzico di islam, un altro di
giudaismo, qualche briciola di cristianesimo. La preghiera cristiana rifugge da
tecniche impersonali o incentrate sull’io, capaci di produrre automatismi nei
quali l’orante resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace di
una apertura libera al Dio trascendente.
Nel Padre nostro, che più che
una formula da ripetere, esprime lo stile della preghiera cristiana, mai si
dice “io”, mai “mio”; è una preghiera in cui si è liberi dalla tirannia di
questo “io” che vuol mettersi al centro. Il primo atteggiamento per pregare è
un decentramento, è imparare a dire “tu”: il tuo nome, il tuo Regno, la tua
volontà; e – di conseguenza – è imparare a dire “noi: il nostro pane, i nostri
debiti, le nostre tentazioni. Pregare è decentrarsi dal proprio io e
ricentrarsi nella relazione con Dio e con i nostri simili.
Il narcisismo è una variante
dell’antropocentrismo che caratterizza la cultura attuale che fa dell’uomo il
centro e il protagonista di ogni relazione che, invece per la fede cristiana ha
il suo inizio in Dio. Questa visione antropocentrica rischia, nei migliori dei
casi, di ridurre la preghiera a una semplice attività di riflessione, in vista
di un aggiustamento del proprio equilibrio psicologico. La preghiera non è un
sedativo per le nostre paure o una risposta al nostro bisogno di protezione. La
preghiera è invece anzitutto ascolto, non solo della natura, della storia, di
se stessi, ma per il cristiano ascolto soprattutto della Parola di Dio. Si
potrebbe dire che, se per Dio “in principio è la Parola” (cf. Gv 1,1), per
l’uomo “in principio è l’ascolto”.
La prima esperienza di umanità
che noi tutti facciamo è quella della “filialità”: noi esistiamo perché figli.
Figli di un uomo e di una donna e del loro amore, figli di una storia, figli di
Dio. La prima esperienza è l’essere generati, da altri, a una vita che non è
mia, che viene da prima di me e che va oltre me. A una vita che è dono. La prima
esperienza è che nessuno è figlio di se stesso. La prima parola del Padre
nostro ci apre alla trascendenza; la preghiera è sempre apertura alla
trascendenza, ad un “aldilà”, ad un “altrimenti”.
Se ritorniamo col pensiero ad
alcuni snodi decisivi della nostra vita, ci accorgiamo che spesso è stata la
parola di un amico, la lettura di un libro o l’incontro con qualcuno ad
illuminare una scelta difficile che dovevamo prendere, una situazione che
stavamo vivendo.
Per i cristiani la Bibbia è un
libro amico, che raccoglie un millennio
di esperienze-limite umane. In esso troviamo tutto il repertorio della storia
umana: guerre, deportazioni, stermini, ma anche gioia, misericordia, perdono, e
via dicendo.
La Bibbia è una biblioteca di
73 libri, divisi tra Antico Testamento e Nuovo Testamento. Possiamo dire che
essa racconta l’alleanza che Dio stabilisce con gli uomini lungo il tempo. Nei
diversi eventi raccontati dalla Bibbia troviamo le orme di questa alleanza che
trova il suo momento culminante nell’evento di Cristo Gesù.
La
Bibbia è stata scritta nel corso di 1600 anni circa. Gli uomini che l’hanno
scritta sono vissuti in periodi diversi. Alcuni di loro erano molto istruiti,
altri no. Alcuni erano agricoltori, altri pescatori, pastori, profeti, giudici
o re. Ma dietro questi uomini, noi crediamo che c’è lo stesso Dio.
È
vero che la Bibbia è un libro complesso, con alcuni brani difficili da leggere.
Ma è anche vero che il messaggio fondamentale non è difficile da comprendere,
La
Bibbia può diventare il libro delle nostre preghiere.
M. A.