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domenica 17 novembre 2019

HA ANCORA SENSO PREGARE?




Alcuni ritengono che la preghiera sia un fenomeno del passato, un’evasione, o anche un alibi rispetto alle responsabilità e ai compiti urgenti dell’uomo nella storia. Non c’è dubbio che la preghiera può diventare un’evasione o un alibi. Si tratta però di una degenerazione del pregare che è ben altra cosa.

Un noto pensatore e teologo di punta dei nostri tempi, non allineato,Vito Mancuso, qualche anno fa affermava che pregare è umano, un antichissimo e universale gesto umano. Gli esseri umani fanno molte cose nella loro esistenza e tra queste, in ogni parte del mondo, pregano. La preghiera, aggiungeva, è un fenomeno universale. Si può anche giungere al paradosso di uomini che non credono in Dio ma che pregano, e cioè che almeno qualche volta nella vita si ritrovano a formulare parole o pensieri in forme non usuali rivolgendoli al mistero che avvolge la vita – esattamente nel senso richiamato da Norberto Bobbio quando diceva: “Come uomo di ragione, non di fede, so di essere immerso nel mistero. Gli esseri umani preghiamo perché avvertiamo il bisogno di rivolgerci alla potenza superiore che sovrasta le nostre vite e in qualche modo conoscerla, placarla, ringraziarla, a prescindere poi se tale potenza venga da noi intesa come personale (il Dio della Bibbia) o impersonale (il Fato degli antichi) o al di là delle categorie di personale-impersonale (così, ad esempio, il Nirvana del buddismo, inteso come il fine ultimo della vita). La ragione umana può giungere a non riconoscere nulla di superiore a se stessa, ciononostante il sentimento complessivo dell’esistenza sente in certi momenti il bisogno di rivolgersi alla potenza imponderabile della vita che ci sovrasta dicendo “tu”, da spirito libero a spirito libero.

Nel testo di Mancuso che ho sintetizzato e aggiornato, si parla della preghiera in un senso molto generale, per così dire ecumenico, globale. Ma cos’è veramente la preghiera? In alcuni ambienti laici e filosofici, la definiscono come un riflettere, un narrare, un situarsi dell’uomo nella riflessione sulla la propria radicale finitezza. Pregare, in qualunque modo sia formulata la preghiera, è il tentativo di andare oltre la precarietà dell’esistere. In questo contesto, altri comprendono la preghiera come un atto intimo di riflessione sul senso di sé e del tempo, carico di potenziale critico e addirittura rivoluzionario Altri ancora parlano della preghiera come un impegnativo riflettere sulla vita in situazioni concrete di particolare interesse. In questo contesto, la preghiera è considerata un’attività che illumina e orienta le decisioni esistenziali. Possiamo affermare che la vita stessa può essere preghiera. Può essere la ricerca di un bagliore di luce in mezzo alle tenebre, o di un respiro di rimettere in moto, o un bisogno di rimettere ordine nei propri pensieri. Riprendendo un’idea di Norberto Bobbio, il cardinale Carlo Maria Martini affermava che “la differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza”.  

Se per pregare si intende “apertura verso il mistero che ci avvolge”, mi domando: è preghiera questa? La preghiera implica che ci sia qualcuno che ascolta. La preghiera non può essere soltanto riflessione interiore sul mio destino, sul male, sull’origine e la fine delle cose, una riflessione in cui nessuno mi ascolta e che rivolgo soltanto a me stesso. Per il cristianesimo pregare è uscire da se stessi. Certamente pregare è anche un riflettere impegnativo sulla vita in situazioni concrete. Ma non basta, pregare è principalmente accogliere una presenza, o meglio accogliere la Presenza. Ma qui sta la difficoltà principale per molti oggi: la crisi della preghiera è principalmente la crisi di una immagine personale di Dio, non da tutti percepita, non da tutti accolta.

La preghiera agisce su colui che prega e fa emergere la sua identità profonda. Un cristiano che si ritiene tale e non riesce a pregare, probabilmente è carente di fede cristiana. Infatti, possiamo affermare che la preghiera non è altro che fede applicata, una “fede parlante”. Come l’amore, neppure la fede parlante vuole soltanto soddisfare i propri bisogni, imporre i propri desideri, manipolare Dio, o addirittura costringerlo in maniera magica. Il senso più nascosto della preghiera non è quello di attendersi la risoluzione dei propri drammi o problemi, ma la speranza di comprendere a fondo quale sia il sentiero di percorrere nella vita.

A molte cose non si può pensare senza ringraziare (in tedesco, pensare e ringraziare sono parole molto simili, che hanno un certo parentesco: Denken und Danken). È cosa profondamente umana poter ringraziare. E chi devo ringraziare? Spesso è stato soltanto un caso che tutto mi sia andato bene nella salute, nella professione, nella vita familiare, ecc. Però non si può ringraziare il caso, non posso rivolgermi ad esso. Come persona credente io vorrei ringraziare chi sta dietro alla cosa e anche dietro a tutte le necessità.

Non mancano nella vita momenti in cui abbiamo bisogno di chiedere qualcosa, aiuto e sostegno. A chi dovrei chiedere? Come creature umane, siamo limitati e anche manchevoli. Perché dovrei nascondere, tacere, rimuovere ciò davanti a Dio?

Come e quando pregare? Nella Bibbia la preghiera della persona devota o meno viene praticata per lo più in maniera naturale e spontanea, nel cuore della vita e a partire dalla vita: è una ingenua effusione del cuore. Santa Teresa di Gesù Bambino ha definito la preghiera con queste parole: “Per me la preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore nella prova e nella gioia”.

La crisi della preghiera oggi, è dovuta più che a fattori importanti, ma pur sempre estrinseci (progresso tecnocratico, evoluzionismo, secolarizzazione), innanzitutto ad un progressivo fraintendimento del senso (o quid est) della preghiera stessa, ad una sua caricaturizzazione in senso formalistico e farisaico. In secondo luogo, la crisi della preghiera proverrebbe da importanti obiezioni antropologiche e teologiche a suo carico: da un lato, l’importanza assegnata all’autosufficienza, che rende difficile “fidarsi dell’Altrove”; dall’altro, l’incompatibilità tra il Dio della metafisica e una preghiera tradizionale, che non sia quella propria di una fede filosofica.

Ci sono alcuni ostacoli che si frappongono alla pratica della preghiera, sotto la forma di fenomeni annidati nel clima culturale che si respira. Così, ad esempio, il narcisismo che segna la nostra società.  Un narcisismo che è diventato un vero e proprio stile di vita dell’uomo contemporaneo. A livello individuale si manifesta in un esagerato investimento nella propria immagine a spese del’ “io” autentico, in un individualismo che compromette la capacità di indirizzarsi ad un “tu” e di inserirsi in un “noi”. Ne risulta una personalità patologica, descrivibile con i tratti del primato accordato all’emozionale sul razionale. Non c’è perciò da meravigliarsi che il singolo si senta ormai autorizzato alle più strane miscele religiose: un pizzico di islam, un altro di giudaismo, qualche briciola di cristianesimo. La preghiera cristiana rifugge da tecniche impersonali o incentrate sull’io, capaci di produrre automatismi nei quali l’orante resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace di una apertura libera al Dio trascendente.

Nel Padre nostro, che più che una formula da ripetere, esprime lo stile della preghiera cristiana, mai si dice “io”, mai “mio”; è una preghiera in cui si è liberi dalla tirannia di questo “io” che vuol mettersi al centro. Il primo atteggiamento per pregare è un decentramento, è imparare a dire “tu”: il tuo nome, il tuo Regno, la tua volontà; e – di conseguenza – è imparare a dire “noi: il nostro pane, i nostri debiti, le nostre tentazioni. Pregare è decentrarsi dal proprio io e ricentrarsi nella relazione con Dio e con i nostri simili.

Il narcisismo è una variante dell’antropocentrismo che caratterizza la cultura attuale che fa dell’uomo il centro e il protagonista di ogni relazione che, invece per la fede cristiana ha il suo inizio in Dio. Questa visione antropocentrica rischia, nei migliori dei casi, di ridurre la preghiera a una semplice attività di riflessione, in vista di un aggiustamento del proprio equilibrio psicologico. La preghiera non è un sedativo per le nostre paure o una risposta al nostro bisogno di protezione. La preghiera è invece anzitutto ascolto, non solo della natura, della storia, di se stessi, ma per il cristiano ascolto soprattutto della Parola di Dio. Si potrebbe dire che, se per Dio “in principio è la Parola” (cf. Gv 1,1), per l’uomo “in principio è l’ascolto”.

La prima esperienza di umanità che noi tutti facciamo è quella della “filialità”: noi esistiamo perché figli. Figli di un uomo e di una donna e del loro amore, figli di una storia, figli di Dio. La prima esperienza è l’essere generati, da altri, a una vita che non è mia, che viene da prima di me e che va oltre me. A una vita che è dono. La prima esperienza è che nessuno è figlio di se stesso. La prima parola del Padre nostro ci apre alla trascendenza; la preghiera è sempre apertura alla trascendenza, ad un “aldilà”, ad un “altrimenti”.

Se ritorniamo col pensiero ad alcuni snodi decisivi della nostra vita, ci accorgiamo che spesso è stata la parola di un amico, la lettura di un libro o l’incontro con qualcuno ad illuminare una scelta difficile che dovevamo prendere, una situazione che stavamo vivendo.

Per i cristiani la Bibbia è un libro amico, che raccoglie un millennio di esperienze-limite umane. In esso troviamo tutto il repertorio della storia umana: guerre, deportazioni, stermini, ma anche gioia, misericordia, perdono, e via dicendo.

La Bibbia è una biblioteca di 73 libri, divisi tra Antico Testamento e Nuovo Testamento. Possiamo dire che essa racconta l’alleanza che Dio stabilisce con gli uomini lungo il tempo. Nei diversi eventi raccontati dalla Bibbia troviamo le orme di questa alleanza che trova il suo momento culminante nell’evento di Cristo Gesù.

La Bibbia è stata scritta nel corso di 1600 anni circa. Gli uomini che l’hanno scritta sono vissuti in periodi diversi. Alcuni di loro erano molto istruiti, altri no. Alcuni erano agricoltori, altri pescatori, pastori, profeti, giudici o re. Ma dietro questi uomini, noi crediamo che c’è lo stesso Dio.

È vero che la Bibbia è un libro complesso, con alcuni brani difficili da leggere. Ma è anche vero che il messaggio fondamentale non è difficile da comprendere,

La Bibbia può diventare il libro delle nostre preghiere.

M. A.