Una ostensione. Nel Missale
Romanum (anche nell’edizione del 1962), nel racconto dell’istituzione, dopo
le parole sul pane, la rubrica prescrive: “Hostiam consecratam ostendit
populo”; e dopo le parole sul calice: “Calicem ostendit populo”. Si
tratta quindi di una ostensione al popolo. Questo gesto non deve prolungarsi e
diventare una sorta di rito di adorazione eucaristica. L’acclamazione
dell’assemblea che il Messale di Paolo VI ha introdotto dopo l’ostensione,
proclama il mistero pasquale nella sua globalità e orienta l’atteggiamento
spirituale dell’assemblea partecipante in questo momento.
Una elevazione. Il
testo della dossologia con cui si chiude la preghiera eucaristica è identico
nelle due edizioni del Missale Romanum, ma il gesto prescritto dalla
rubrica è diverso in ambedue i Messali. Nel Messale di Paolo VI, la rubrica
prescrive che l’intera dossologia sia recitata “hostiam et calicem elevans…”
Qui non si tratta di mostrare al popolo i santi Doni, ma di offrirli in alto
alla Ssma Trinità. Questo gesto offertoriale conclude e sintetizza tutta
l’azione eucaristica svolta nella preghiera eucaristica. È una offerta che esprime
la glorificazione trinitaria massima da parte della Chiesa. Invece, nel Messale
di Pio V la dossologia viene assorbita da cinque segni di croce e solo alla
fine, si prescrive: “elevans parum calicem cum hostia, dicit: omnis honor et
gloria”. Le cinque croci mirano a rafforzare il nome di Cristo. L’offerta
alla Ssma Trinità rimane nel testo, ma diventa sbiadita nel gesto.
Se nel primo caso i due
Messali conservano il gesto della ostensione dei santi Doni al popolo, nel
secondo caso il Messale di Paolo VI ha cancellato le cinque croci della
dossologia finale (che risalgono ad interpretazioni allegoriche medioevali) e
ha rivalutato il gesto dell’offerta con l’elevazione dei santi doni, gesto che
la liturgia romana conosceva già ai tempi di papa Gregorio Magno.