2Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm
6,3-4.8-11; Mt 10,37-42
Dei brani della Scrittura
proposti oggi alla nostra attenzione si possono fare diverse letture. Cercheremo
di leggere i testi unitariamente sviluppando il tema del camminare alla luce
del volto del Signore, tema emerso già nel salmo responsoriale. Nella prima
lettura (2Re 4,8-11.14-16) si parla di un cammino che va dalla sterilità alla
fecondità: la vita di colui che accoglie il fratello, e con lui la visita di
Dio, diventa una vita feconda. Nella seconda lettura (Rm 6,3-4.8-11) san Paolo
ci propone un cammino che va dalla morte alla vita: nel battesimo siamo stati
sepolti con Cristo per camminare in una vita nuova, quella di Cristo risorto.
Si tratta di una partecipazione alla vita del Risorto che si sviluppa nel
pellegrinaggio terreno per giungere al suo definitivo compimento nella gloria.
È però sulla lettura
evangelica che vorrei soffermarmi. Le parole di Gesù raccolte in questo brano
sono particolarmente dure ed esigenti. Il Signore ci propone il cammino
paradossale della croce, quello che egli stesso ha percorso: “Chi ama il padre
o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me
non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di
me”. Di fronte alla radicalità di queste
parole, è giusto domandarsi quale sia il loro vero significato. Gesù non chiede
di “sentire” più affetto per lui che per i propri familiari. Non si tratta di
sentimenti, ma di valori, di porre cioè Cristo e la sua volontà prima di ogni
altro valore e di ogni altra volontà. Non sarebbe un buon figlio chi, per far
contenti i propri genitori, diventasse un ladro o un criminale. Anzi, questa
maniera di agire sarebbe proprio il modo di disprezzare quella vita e quella
dignità che i genitori ci hanno dato come valore da custodire. San Benedetto ha
sintetizzato in modo giusto questa dottrina quando indirizzandosi ai monaci,
che hanno fatto una scelta radicale di Cristo, dice nella sua Regola: “Nulla anteporre all’amore di
Cristo” (4,21), e poi, quando più avanti afferma, parlando dell’obbedienza:
“Essa è propria di coloro che ritengono di non avere assolutamente nulla più caro
di Cristo” (5,2). Nessun vincolo umano e nessuna illusoria tentazione deve
quindi sottrarci dalla fedeltà al Signore. Il legame con Gesù e, attraverso lui
con il Padre deve costituire la priorità rispetto a tutti gli altri tipi di
legami umani e la sua sequela deve essere più importante della vita stessa.
Il nostro passaggio sulla
terra non è una passeggiata turistica, ma un faticoso cammino, che tuttavia
nasconde e nello stesso tempo rivela un grande mistero, quello del Cristo morto
e risorto. Alla fine del cammino c’è la partecipazione piena e definitiva alla
vita del Risorto.