Renato L. De Zan, Erudi, Domine,
quaesumus, populum tuum spiritualibus instrumentis. La lettura dell’eucologia
latina: appunti per la ricerca di un metodo (Bibliotheca ”Ephemerides
Liturgicae” “Subsidia” 195), CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 2021. 279 pp. (€
28,00).
In questo volume il Prof. De Zan ci offre il frutto di anni
di riflessione e insegnamento sul metodo di lettura/interpretazione
dell’eucologia latina della Chiesa cattolica. In un primo capitolo, si valutano
le proposte metodologiche fatte da diversi autori, dalla seconda metà del
secolo scorso fino ai nostri gironi. A partire dal capitolo II, l’autore illustra
alcuni passaggi fondamentali di una metodologia organica: la codicologia e le
ricchezze racchiuse in un manoscritto liturgico, la critica testuale propria ai
testi liturgici, l’analisi filologica di un latino in continua evoluzione, la
critica storica, l’analisi dell’autenticità, la dimensione letteraria, un
progetto di teologia dei testi liturgici. Il tutto si conclude con
l’interessante capitolo IX dedicato alla traduzione dei testi eucologici, tema
sempre attuale.
Mi permetto un’osservazione che riguarda la mia persona. Il Prof. De Zan valutala la mia proposta ermeneutica con alcune osservazioni critiche, per cui lo ringrazio (pp. 14-17). Vorrei solo spiegare la terminologia che adopero nella suddivisione delle parti del prefazio: “Formula di esordio e protocollo iniziale, parte centrale o embolismo e formula o protocollo finale”. L’autore afferma che è difficile che un protocollo sia finale; sembra un ossimoro (p. 158). Con "protocollo finale" intendo dire ciò che altri esprimono con il termine, sinonimo, “escatocollo” (comp. del gr. ἔσχατος "ultimo" e -collo di protocollo -Treccani), che precede e introduce al Sanctus.
Credo che il volume del Prof. De Zan segna un punto di
arrivo nella ricerca di un metodo di interpretazione dell’eucologia latina. Ma,
come afferma lo stesso autore, l’applicazione di ogni singola metodologia va
dosata sulla singolarità del testo e la dosatura di ogni passaggio metodologico
non è un fatto meccanico, ma dipende dalla capacità di empatia che lo studioso
ha con il testo che studia (p. 33).