Non
senza sollevare qualche polemica, in quasi tutti i Paesi del mondo il
confinamento ha impedito a milioni di fedeli di celebrare l’Eucaristia, cosa
che non era mai accaduta prima. Alcuni sacerdoti hanno celebrato la Mesa in
privato e l’hanno trasmessa tramite i social media, supportando la comunione
spirituale con la parola e con l’immagine e mantenendo così certi vincoli
comunitari. Ciò nonostante, per quanto ci si sia sforzati di minimizzare gli
effetti del confinamento, il popolo di Dio ha dovuto sopravvivere
spiritualmente senza la pratica abituale dei sacramenti, o per lo meno senza
mantenerne la continuità. Qui non è in gioco soltanto la relazione con Dio, ma
anche quella con la Chiesa, con la comunità e con se stessi.
Quando
verranno meno tutte le attuali restrizioni, forse molti cristiani torneranno in
chiesa rafforzati da una fede che si nutre dei sacramenti, e questo particolare
digiuno sarà servito loro per rendersi conto di quanto i sacramenti siano
importanti. Purtroppo però a qualche comunità cristiana questa
“desacramentalizzazione” temporanea recherà problemi, e alcuni fedeli si
perderanno per strada per il semplice fatto che la consuetudine forgia la
virtù. Pensiamo a parrocchie con fedeli di salute cagionevole, per i quali
uscire per strada e tra la gente può diventare rischioso. O a quei genitori
che, avendo sperimentato una certa difficoltà a educare i figli alla fede, ora
dovranno convincerli daccapo dell’importanza di partecipare alla Messa dopo
vari mesi di assenza. E che dire delle comunità giovanili in formazione, alle
quali sono venute meno le consuetudini che favoriscono la pratica sacramentale?
O di quelle persone che – magari dubbiose sulla fede, o impaurite, o
sovraccariche di lavoro – hanno perso la sana abitudine di celebrare ogni
settimana i sacramenti, e ora mettono in dubbio la propria appartenenza alla
Chiesa?
È
bene inoltre tenere presente che la difficoltà non è limitata alla celebrazione
dell’Eucaristia. L’attività pastorale richiede un grande investimento di tempo
e di immaginazione, perché mira a creare processi nelle persone. Con la
pandemia attuale questo lavoro probabilmente è rimasto interrotto, e in alcuni
casi andrà ripreso da zero. Parimenti, bisognerà ripensare le liturgie, gli
incontri e le celebrazioni senza il calore della folla – processioni, gruppi,
ritiri, preghiere comunitarie, conferenze, Giornate mondiali della gioventù
ecc. –, perché ancora per qualche tempo non si potranno tenere come si è sempre
fatto.
Consapevoli
che la nostra fede cattolica è imperniata su una vita sacramentale, ci troviamo
nell’urgenza di ridisegnare nuove proposte pastorali che rispondano alla vita
spirituale del popolo di Dio e possano tornare a tessere nuovi vincoli
comunitari. Tutto ciò esige uno sforzo supplementare e creatività da parte di
agenti pastorali che talvolta non sono in numero sufficiente. Questo già
avviene in alcune parti del mondo dove mancano sacerdoti, e nell’attuale
situazione si aggiunge il fatto che molte comunità devono ricomporsi a ritmi
forzati dopo vari mesi di assenza delle celebrazioni fisicamente condivise. Per
fortuna non mancano il tempo, i motivi e la creatività sufficiente peer
celebrare la vita.
(Álvaro
Lobo Arranz S.I., Postumi spirituali del Covid-19. In “La Civiltà
Cattolica” 2021 I 437-449 [qui 440-442] 4097 [6/20 marzo 2021])