Is 45,1.4-6; Sal 95; 1Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21
Dio ha scelto l’imperatore persiano Ciro il
Grande per far ritornare gli Ebrei in patria (cf. prima lettura) ridando in
questo modo libertà e dignità al popolo di Dio. Il re persiano Ciro, che era un
despota e non conosceva il vero Dio, diventa in questo modo strumento della
misericordia del Signore. Il profeta intende dimostrare che Dio è presente e
agisce nella storia, facendo notare come operi in e per mezzo di persone che
vivono al di fuori del suo popolo. Ciò ci insegna che Dio è alla guida della
storia e sceglie con libertà le vie e i mezzi più opportuni per realizzare il
suo progetto. In questo modo il profeta fa una interpretazione della storia
alla luce della fede.
La fede però, pur avendo il diritto di
contemplare l’intervento di Dio nella storia e di dare la propria valutazione
dei fatti, non può per questo negare o sottovalutare la responsabilità e i
compiti che spettano a ciascuno di noi. Nel vangelo d’oggi ce lo ricorda Gesù
con la sua famosa affermazione: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a
Dio quello che è di Dio”, l’unico pronunciamento ‘politico’ esplicito di Gesù.
Poche sentenze del Vangelo hanno avuto la fortuna di questa che ci viene oggi
ricordata. Non sempre però è stata capita in modo giusto. Gesù, nella risposta
al tranello che gli tendono i farisei e gli erodiani, non si schiera né con la
reazione né con la rivoluzione. Un “sì” o un “no” sulla legittimità di pagare
il tributo a Cesare poteva essere un valido pretesto per screditare Gesù presso
l’autorità politica o presso quella religiosa su un tema molto dibattuto. Nella
sua risposta, Gesù riconosce il potere romano come dominazione di fatto, anche
se non entra in merito alla sua legittimità o meno. La risposta di Gesù suppone
implicitamente che quando un cittadino paga le tasse non per questo sottrae
qualcosa a Dio; anzi, proprio operando in questo modo egli obbedisce a Dio.
Infatti, della volontà divina fa parte anche l’ordine economico, sociale,
politico che è chiamato a governare secondo giustizia i rapporti tra gli uomini.
Insomma, Dio e la politica si collocano su livelli diversi di esperienza, ma
non si tratta di livelli contrapposti. Ciò non toglie la possibilità di
conflitti che l’esperienza storica mostrerà ben frequenti. È compito di ogni
credente discernere se un tipo di obbedienza richiestogli si collochi
coerentemente entro la sua obbedienza a Dio oppure no. La persona umana non è
un “animale” meramente politico, così come non è un “animale” meramente
religioso. Le due dimensioni devono stare insieme per raggiungere i loro fini
propri a beneficio della stessa persona umana, che è un essere indivisibile.
In ogni caso, non si può relegare Dio entro una
sfera puramente interiore, tentazione frequente nei nostri giorni. Il cristiano
deve far emergere nella sua vita personale e nei suoi rapporti con gli altri i
valori in cui crede: la fede operosa, la carità matura e la speranza costante
in Gesù Cristo. Così insegna san Paolo ai cristiani di Tessalonica (cf. seconda
lettura). Come preghiamo nell’orazione colletta della Messa, dobbiamo sempre e
in ogni circostanza servire il Signore “con cuore sincero”.