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domenica 20 ottobre 2024

L’ASSEMBLEA CELEBRANTE





A differenza del Credo, che prevede un “io” come soggetto di quella che è una dichiarazione, la preghiera eucaristica si esprime nel “noi”, che ha per soggetto l’intera assemblea, anche se uno solo proclama a titolo comune. Il termine “sacerdote” per indicare il singolo che prega a nome di tutti, va considerato nel suo mero uso colloquiale, bisognoso di molti distinguo. Nella storia cristiana, infatti, non sono mancati i momenti in cui si sono reintrodotti quegli elementi di interdetto e di mediazione tipici di una sacralità che la liturgia cristiana ha sempre voluto superare. Per secoli il “sacerdote” è tornato ad essere nei fatti un mediatore del sacro, vecchia maniera. Essere speciale e separato, egli era il solo a poter maneggiare le cose sante, è l’unico, sostanzialmente, a rendere vera e valida la celebrazione.

La logica del sacro, le cui radici antropologiche affondano dentro profondità che a stento controlliamo, sta sempre in aguato. Il canone della preghiera però vigila più di noi, e nella parola prescritta tiene fermo quello che è dirimente. Quindi essa ci ricorda che magari uno presiede, ma a celebrare sono tutti. Anche quello che sta in fondo alla chiesa, nascosto dietro al confessionale, e non lo sa. Il popolo sacerdotale è anche santo, non perché tutti sono santi, nel senso convenzionale del termine, ma in virtù dell’essere parte di un organismo che è la santità di Gesù a qualificare nella sua interezza.

 

Fonte: Giuliano Zanchi, Preghiera e liturgia; San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 66-67.