Ap
7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a
Se a Pasqua abbiamo celebrato il Cristo vivente per
sempre alla destra del Padre, oggi, grazie alle energie sprigionate dalla
risurrezione di Cristo, contempliamo quelli che sono con Cristo alla destra del
Padre: i santi. La prima lettura ci
dice che questi santi sono “una moltitudine immensa”. La seconda lettura
descrive la radice della santità cristiana: essa consiste nell’essere figli di
Dio e nel vivere come tali. Nella lettura evangelica Gesù ci offre la “magna carta”
della santità, dove troviamo la fisionomia del perfetto discepolo di Cristo
tratteggiata nel messaggio delle Beatitudini.
I santi non sono superuomini, ma persone che si sono
realizzate umanamente seguendo la via indicata da Cristo e sintetizzata nelle
Beatitudini. San Matteo colloca le Beatitudini all’inizio del Discorso della
montagna (Mt 5,1-7,29). La tradizione ecclesiale considera questi capitoli di
Matteo le basi fondanti dell’etica cristiana, il modo di vivere di chi si dice
cristiano. Le Beatitudini sono una proclamazione messianica, l’annuncio che il
Regno di Dio è arrivato per tutti. I profeti avevano descritto il tempo
messianico come il tempo dei poveri, degli affamati, dei perseguitati, degli
inutili. Gesù proclama che questo tempo è arrivato. Per Gesù le Beatitudini si
riducono a una sola: la gioia del Regno arrivato. Ed è alla luce del Regno
arrivato (Regno che ha capovolto i valori umani) che si giustifica la
paradossalità delle sue affermazioni.
Dopo una lettura rapida delle Beatitudini, dentro di
noi risuona come un’eco la parola “beati” che Gesù pronuncia otto volte,
all’inizio di ogni beatitudine. E’ una parola nota alla tradizione biblica, una
parola augurale, un’invocazione di tutti quei beni che vengono da Dio. Beato è
l’uomo che riceve la salvezza. Essa richiede come presupposto la fede (Mt
16,17; Lc 11,28), la perseveranza nella fede (Gc 1,12) e la vigilanza per
attendere il Signore (Lc 12,37). Gesù chiama beati i poveri, i miti, gli afflitti,
gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di
pace, i perseguitati a causa della giustizia. Ogni augurio è accompagnato da
una promessa. E notiamo subito che l’ultima corrisponde alla prima: “di essi è
il regno dei cieli”. Mentre l’Antico Testamento giungeva ad identificare la
beatitudine con Dio stesso, Gesù si presenta a sua volta come colui che porta a
compimento l’aspirazione alla beatitudine: il regno dei cieli è presente in
lui. Più ancora, Gesù “incarna” le Beatitudini vivendole perfettamente. Ecco
perché la proclamazione delle Beatitudini è preceduta da un’annotazione
generale che riassume l’attività di Gesù (Mt 4,23-24): lo circondavano ammalati
di ogni genere, sofferenti, indemoniati, epilettici, paralitici. Ha cercato i
poveri e li ha amati con amore di predilezione. Egli fu povero, sofferente,
affamato, perseguitato: eppure amato da Dio e salvatore. La vita di Cristo
dimostra che i poveri sono beati, perché essi sono al centro del Regno e perché
sono essi, i poveri, i crocifissi, che costruiscono la salvezza. Gesù ha
vissuto l’ideale delle Beatitudini e in lui tutte le promesse di Dio si sono
realizzate. Non siamo quindi di fronte ad una pura utopia, ma a un programma di
vita che è possibile per ogni discepolo. Ce lo dimostra la schiera immensa dei
santi che oggi la Chiesa venera come modelli e intercessori (cf. il prefazio).
La festa odierna costituisce inoltre un forte
richiamo a riscoprire il santo che è accanto a noi, a sentirci parte di un
unico corpo che è la Chiesa santa, cattolica e apostolica.