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venerdì 1 novembre 2024

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI – 2 Novembre 2024 1° formulario di Messa

 



 

Gb 19,1.23-27; Sal 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

 

I tre brani della Scrittura che sono proclamati in questa messa aprono il nostro cuore alla speranza. L’orazione colletta riassume bene questa tematica quando ci invita a rivolgerci a Dio chiedendogli di confermare in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a nuova vita. Questa speranza è declinata con diversità di sfumature nelle tre letture bibliche e negli altri testi della messa. Ci guidano in questa riflessione: Giobbe, san Paolo e Gesù.

 

Il libro di Giobbe, da cui è presa la prima lettura, si ispira a un’esperienza dell’uomo di ogni tempo, quella del dolore. Più in particolare, questo libro si sofferma sulla sofferenza che colpisce l’innocente e il giusto, di fronte alla quale sembra stendersi l’ombra del silenzio di Dio. C’è un momento in cui Giobbe, sprofondato nel dolore per le accuse che tutti gli rivolgevano, nella solitudine totale, disprezzato e deriso – secondo la credenza che considerava la sofferenza una punizione per il peccato –, sente che ormai i suoi giorni vengono meno. Ma anche nel naufragio di tutte le speranze umane, egli ha ancora una speranza nel cuore, che lo proietta al di là del sepolcro che ormai l’attende e lo spinge in uno slancio dello spirito a proclamare la sua fede: “Io so che il mio redentore è vivo […] Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne vedrò Dio”. San Girolamo e molti altri Padri della Chiesa hanno visto in queste parole una dichiarazione di fede nella risurrezione. La lettera di Giacomo cita l’esempio della pazienza di Giobbe e “la sorte finale che gli riserbò il Signore” (Gc 5,11).

 

Il “redentore” di cui parla Giobbe è Dio stesso, il “redentore” di Israele dalla schiavitù dell’Egitto. La seconda lettura e quella evangelica vedono il volto del nostro redentore in Gesù morto e risorto. San Paolo afferma che il fondamento della nostra speranza è solido: possiamo far fronte alle angosce della vita e alle tenebre della morte, perché Dio ci ama ormai per sempre: “siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo”. La speranza cristiana non è un vago sentimento, qualcosa di cui si teme il carattere illusorio o di cui ci si dovrebbe addirittura vergognare; è vero invece il contrario: noi ora abbiamo qualcosa di cui vantarci e gloriarci senza timore, “ci gloriamo in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione”.

 

Le parole di Gesù, raccolte e trasmesse dal brano evangelico, ci rassicurano che Egli accoglie ciascuno di noi come dono del Padre e con tre significative espressioni sintetizzano la sua missione: non lo caccerò fuori, farò sì che non si perda, lo risusciterò nell’ultimo giorno. E conclude il discorso con queste parole: “Questa, infatti, è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Vita è la metafora preferita da san Giovanni per esprimere la salvezza di Dio in tutta la sua complessità. Eterna indica la durata della vita e la sua qualità: una vita senza fine in contrapposizione alla caducità della vita umana, e una vita davanti a Dio e con Dio. Risurrezione dice che la vita donata da Dio vince la morte, una vittoria che abbraccia l’uomo nella sua interezza di corpo e spirito. L’operare di Gesù è conforme alla volontà del Padre: ciò che egli desidera e opera è quella vita che il Padre vuole donare all’umanità insidiata dalla morte, perché il Figlio è in piena comunione con il Padre e ne condivide totalmente i disegni.