In realtà lo spessore
teologico e spirituale dell’azione liturgica è quanto il Concilio Vaticano II
solennemente ha affermato. L’idea di actuosa participatio, infatti, non
soltanto riconosce nell’assemblea radunata e unita a Cristo il soggetto della
celebrazione (participatio), ma vede nell’azione (actuosa) la
mediazione attraverso la quale la Chiesa incontra il suo Signore e riceve i
doni di salvezza. Forse c’è stata una stagione nella quale una certa insistenza
sulla partecipazione, giustamente intesa come diritto e dovere dei battezzati
(SC 14), ha fatto perdere di vista a livello teorico e pratico proprio l’azione
e ci si è illusi di poter partecipare senza agire facendo prevalere, tra le
tante aggettivazioni desunte dal magistero conciliare, la partecipazione conscia
su quella actuosa. Ora, quale apporto irrinunciabile del lungo cammino
della riflessione sulla liturgia nell’ultimo secolo, si comprende sempre
più e sempre meglio che la partita va giocata sul terreno dell’azione agita,
sulla performance rituale: è questa, infatti, a risultare efficace
coinvolgendo i soggetti e rendendo possibile la fede. Senza questo actus
fidei, ovvero senza l’azione della fede, il rito può essere soltanto
funzionale alla produzione di un significato già pensato a monte. E,
dunque, risulta del tutto dispensabile.
[…]
L’azione liturgica può essere
ancora considerata come risorsa spirituale per un mondo distratto e smaliziato
eppure affamato di Dio, di una fame non facilmente saziabile con i concetti e i
precetti. Crocevia tra l’uomo e Dio e tra immanenza e trascendenza, il rito è
ancora una scommessa per chi vuole scoprire Dio non come oggetto da mettere a
tema, ma come partner di una relazione vitale.
Poco più di un secolo fa
Romano Guardini pubblicava Formazione liturgica (1923), un testo dove
coniugava la sua passione pedagogica con il tema della liturgia e nel quale
denunciava l’incapacità simbolica dell’uomo contemporaneo: proprio nella
liturgia l’uomo poteva ritrovare quell’armonia tra anima e corpo per troppo
tempo compromessa. Nel simbolo l’anima si dà nel corpo e non potrebbe essere
diversamente in una totalità dell’uomo insopprimibile: “Ciò che assume l’atteggiamento
liturgico, che prega, offre e agisce non è l’ ‘anima’, non l’ ‘interiorità’: è
l’ ‘uomo intero’ il soggetto dell’attività liturgica”. Quarantun anni più tardi,
esattamente sessant’anni fa, con la sua lettera sull’atto di culto (1964)
prospettava una nuova fatica, non più dilazionabile: “portare l’uomo attuale a
compiere anche realmente l’atto”, affrancandolo dall’individualismo religioso e
dall’intimismo che lo caratterizzava. In tal modo si sarebbe raggiunto il vero
obiettivo della riforma liturgica o, per usare le sue parole, si sarebbe
realizzata “la chance liturgica così mirabilmente apertasi”.
Fonte: Testo tratto dalla
Presentazione di Loris Della Pietra del volume di Sebastiano Bertin, Actio.
L’azione rituale crocevia tra Dio e l’uomo, Edizioni Liturgiche –
Roma, Abbazia di Santa Giustina – Padova, 2024, pp.8-10.