Anzitutto bisogna
ricordare che nella liturgia è all’opera Dio stesso che, nella sua iniziativa
di salvezza, ci santifica mediante Cristo nello Spirito, ci raduna nella santa
Chiesa e ci abilita nel medesimo Spirito alla lode filiale, al culto integrale
nell’offerta del sacrificio perfetto che egli gradisce. Ecco, quindi, che tutto
scaturisce dal Padre come salvezza e tutto ritorna a lui come lode o culto.
Perciò l’azione liturgica è adorazione indivisa del Dio Uno nella Trinità delle
persone divine, come risposta e accoglienza dell’azione unitaria e trinitaria
di Dio, che opera la nostra santificazione. È dalla contemplazione dell’agire
della SS.ma Trinità che scaturisce il vero volto della liturgia della Chiesa.
Tra celebrazione liturgica e adorazione c’è un rapporto intrinseco (cf.
Benedetto XVI, Esortazione apostolica Sacramentum
caritatis, n. 66). L’adorazione al tempo stesso che prende le distanze da
Dio in quanto ne riconosce la trascendenza, avvicina a lui perché ci rende
consapevoli della sua presenza salvifica. A questo proposito, è utile ricordare
il concetto biblico di “timore di Dio”. In rapporto all’atteggiamento religioso
di timore che l’uomo greco aveva dinanzi ai suoi dèi, il rapporto con Dio
dell’uomo biblico non è solo di timore ma anche di amore, come esprime bene il
Sal 103,17: “L’amore del Signore è da sempre, per sempre su quelli che lo
temono”. Il timore/amore di Dio è consapevolezza della sua presenza salvifica
in mezzo a noi ed è quindi condizione necessaria affinché la celebrazione
liturgica appaia “in conspectu Domini”,
“coram Domino”.