La
maggior parte dei problemi in liturgia nasce laddove la tensione fra azioni,
parole e tradizione perde il proprio equilibrio.
Se
diciamo: “prese il pane” con l’intenzione di spezzarlo e condividerlo con i
presenti, allora non è corretto sollevare un’ostia destinata a una sola persona
e poi servirsi di particole preconfezionate per l’eucaristia.
Se
affermiamo che si tratta di una preghiera al Padre mediante suo Figlio Gesù, ma
in realtà le azioni si concentrano sull’eucaristia intesa come mera presenza
del Cristo, con incenso, lunghe pause, fanfare o campanelli subito dopo le
formule di istituzione, si crea una divergenza di significato tra le parole
della liturgia e quel che viene percepito come l’oggetto del rito. Se stiamo cercando
di essere una comunità di fedeli in cammino verso il Padre, ma poi alcune persone
sono incluse e altre escluse, alcune hanno ruoli di primo piano e altre di second’ordine,
quello che ne risulta non è il modello del nuovo popolo che guarda alla venuta
del Regno. Se affermiamo di essere fratelli e sorelle ma poi ci comportiamo
come dei singoli e anonimi consumatori, allora parole e azioni risultano
divise. Potremmo moltiplicare gli esempi, ma il messaggio chiave dovrebbe
essere chiaro: dobbiamo prestare attenzione a come celebriamo in quanto
comunità di fede.
Non
avremo mai un equilibrio perfetto – la perfezione arriverà solo alla fine dei
tempi, quando non avremo più bisogno della liturgia – ma dobbiamo continuare a
impegnarci per ottenerlo. La sfida è cercare di collegare parole, azioni e
tradizione nella prossima eucaristia che celebreremo. La chiesa necessita
sempre di riforma: ecclesia semper riformanda.
Fonte:
Thomas O’Loughlin, Quale mensa per noi tu prepari, Queriniana, Brescia
2025, pp. 52-53.