Translate

venerdì 14 marzo 2025

DOMENICA II DI QUARESIMA (C) – 16 Marzo 2025

 


  

 



Domenica scorsa abbiamo visto Gesù uscire vittorioso dalle insidie del tentatore perché si è fidato di suo Padre, perché non ha avuto paura di sottomettere la propria libertà, i propri progetti alla volontà e al progetto che Dio ha su di lui. Tutto questo significa, implicitamente, per Gesù iniziare il cammino verso la passione. L’esperienza della trasfigurazione che ci narra il vangelo è da leggersi in questo contesto. La meta del cammino intrapreso da Gesù è la risurrezione, di cui la trasfigurazione è anticipo, ma la strada passa attraverso l’esperienza dolorosa della passione e della morte. Questa è la verità che Gesù intende far capire ai tre discepoli che l’hanno accompagnato. Perciò, dopo averli resi testimoni della gloria della trasfigurazione, Egli annuncia la sua morte e risurrezione. 

Gesù offre ai tre discepoli prediletti, Pietro, Giovanni e Giacomo, una visione anticipata della sua gloria di risorto, che culmina nella testimonianza del Padre che rivela l’identità profonda di Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. È da sottolineare l’invito all’ascolto, ripreso dalla orazione colletta del giorno. Come ricorda il prefazio, poco prima dell’evento della trasfigurazione, Gesù fa il primo annuncio della sua passione e morte e, in seguito, indica le condizioni per seguirlo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). In questo contesto, l’invito ad ascoltare Gesù acquista un senso preciso e particolare: ascoltate Gesù perché è mio Figlio; ascoltatelo nonostante le parole che dice siano paradossali. 

Fidatevi anche se vi propone un cammino di sofferenza; seguitelo anche se dovete passare per sentieri stretti e disagevoli. La trasfigurazione è la grande rivelazione di Gesù, la scoperta piena della sua realtà a cui si è invitati attraverso l’ingresso nell’oscurità della fede che ci conduce attraverso la via della croce, sorretti dalla speranza, all’esperienza della risurrezione. 

La seconda lettura è un’esortazione alla speranza, non in una terra o in una discendenza, come per Abramo, ma in Dio stesso che si pone come terra promessa, come futuro capace di appagare pienamente le nostre attese: “La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”. La contemplazione anticipata della gloria di Gesù non ci risparmia lo scandalo della croce, ma lo sostiene nella speranza.  

La pienezza perpetua e stabile della nostra trasfigurazione in Cristo avverrà nella vita eterna, ma si prepara e anticipa qui e ora. La celebrazione eucaristica è prefigurazione e anticipazione del banchetto eterno nel quale contempleremo il volto glorioso del Cristo, quel volto trasfigurato di cui i discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo ebbero sul monte Tabor un saggio transitorio

 

 

venerdì 7 marzo 2025

DOMENICA I DI QUARESIMA (C) – 9 Marzo 2025



 

Dt 26,4-10; Sal 90 (91); Rm 10,8-13; Lc 4,1-13

 

Il salmo responsoriale, ripreso poi dall’antifona alla comunione, parla della protezione divina accordata a colui che ha fiducia in Dio. Nel vangelo con la citazione di questo salmo il diavolo ricorda a Gesù che, in quanto Figlio di Dio, ha il diritto di essere salvato dalla morte e da ogni pericolo; ha questo diritto perché Dio stesso ha promesso il suo aiuto a chi confida in lui. Gesù però risponde: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”. Non si può usare la parola di Dio per eludere la sua volontà. Bisogna piuttosto fidarsi di lui nell’obbedienza incondizionata al suo volere.

 

Le letture odierne sono incentrate sulla fede, che è anche un atteggiamento interiore di fiducia nelle promesse divine. Il brano del Deuteronomio riporta una lunga preghiera che, per ordine di Mosè, l’israelita doveva pronunciare nel momento in cui egli offriva le primizie dei frutti del suolo per ringraziare il Signore di avergli donato la terra. Questa preghiera è la più antica professione di fede in Dio del popolo d’Israele, in un Dio fedele alle sue promesse. Infatti, il dono della terra è visto come l’ultimo di una serie di doni, di interventi salvifici che Dio ha compiuto lungo la storia del suo popolo, da Abramo in poi. Con il gesto dell’offerta delle primizie e la professione di fede che l’accompagna, Israele riconosce che tutto quanto è e possiede è dono di Dio. Anche il brano di san Paolo è una professione di fede, in questo caso di fede cristiana in Gesù quale “Signore”, fonte di salvezza per tutti: chi riconosce e proclama che Gesù Cristo, il crocifisso, è il Signore risorto dai morti, approda alla salvezza che è il dono di Dio promesso ai credenti.

 

L’evento delle tentazioni di Gesù, riportato dal vangelo, episodio che tradizionalmente apre la Quaresima, può anch’esso essere considerato una vera professione di fede. La fede è messa alla prova dalla tentazione, la quale non risparmia neppure il Cristo. Ma vediamo come egli affronta questa prova. Tutte le risposte che Gesù dà al tentatore sono ispirate alle parole della Scrittura. Satana cerca in modo subdolo, usando anche lui le parole della Scrittura, di indurre Gesù a fare delle scelte personali e comode contrarie al disegno di Dio su di lui. Ma Gesù, rispettando la libertà sovrana del disegno salvifico, al cui compimento è votato, pronuncia il suo “sì” definitivo al Padre e si abbandona totalmente al suo destino. In questo modo, “vincendo le insidie dell’antico tentatore” (prefazio), Gesù diventa per noi l’emblema luminoso della fede in Dio, cioè dell’adesione piena e totale a Dio e al suo piano tracciato nel cosmo e nella storia. “La vittoria di Gesù sul tentatore nel deserto anticipa la vittoria della passione, suprema obbedienza del suo amore filiale per il Padre” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 539). Come per Cristo, anche la nostra strada di fedeltà alla parola di Dio è cosparsa di ostacoli e tentazioni. Dio però ci assicura il suo aiuto e la sua forza per superare ogni prova. Abbiamo la certezza che Cristo ha vinto le forze del male e la sua vittoria è anche di tutti coloro che si uniscono a lui per mezzo della fede e dei sacramenti.

 

La Quaresima si apre con un forte appello alla riscoperta della purezza della fede liberata da tutte le ignoranze, i surrogati e le escrescenze abitudinarie e magiche. Bisogna prendere chiara coscienza di tutto ciò che nella nostra vita contraddice la scelta fondamentale fatta nel battesimo abbracciando i valori del vangelo, scelta che deve orientare l’intero corso della nostra esistenza. Di fronte alla tentazione costante, che per la nostra naturale fragilità avvertiamo, di emanciparci da Dio e di prostituirci agli “idoli”, occorre riaffermare la fedeltà alla parola di Dio e la fede nella potenza salvatrice del Signore. 

lunedì 3 marzo 2025

MERCOLEDI DELLE CENERI – 5 Marzo 2025



 

 

Gl 2,12-18; Sal 50 (51); 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18

 

Il Mercoledì delle Ceneri è la porta della Quaresima, il periodo dell’anno liturgico che ha lo scopo di preparare la Pasqua. Il cammino quaresimale verso la Pasqua è un viaggio gioioso perché ci porta alla Vita. Questa gioia però scaturisce dai cuori purificati dalle opere del peccato che conducono, invece, alla morte. Il secondo prefazio di Quaresima definisce questo Tempo quale “tempo di rinnovamento spirituale”. Sulla stessa lunghezza d’onda, le due prime letture della messa d’oggi parlano della conversione. La calamità che ai tempi di Gioele ha colpito la terra di Giuda diventa per il profeta un segno per invitare il popolo alla conversione: “Così dice il Signore: ritornate a me con tutto il cuore” (prima lettura). San Paolo ci ricorda che la conversione, nella prospettiva cristiana, non è il cammino che noi dobbiamo fare per andare a Dio, ma piuttosto il cammino di riscoperta di quanto Dio in Cristo Gesù ha fatto per noi: “lasciatevi riconciliare con Dio” (seconda lettura). La riconciliazione fra noi e Dio è possibile perché il Padre ha già rappacificato il mondo nella croce del Figlio. Da parte sua, il brano evangelico illustra il significato delle pratiche quaresimali tradizionali: elemosina, preghiera e digiuno, con un continuo richiamo a superare il formalismo. Gesù ne parla nel contesto del discorso sulla nuova giustizia, superiore all’antica; egli illustra le caratteristiche di questa nuova giustizia e le applica alle tre pratiche fondamentali della pietà giudaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno.  

 

Il rito penitenziale dell’imposizione delle ceneri si compie subito dopo la liturgia della Parola. Si tratta di un gesto, antico ma non antiquato, che intende esprimere lo stesso messaggio che illustrano le letture bibliche della messa. Nell’ultima riforma si è voluto conservare la formula classica dell’imposizione delle ceneri: “Ricordati, uomo, che polvere tu sei, e in polvere ritornerai”, ma se ne è aggiunta un’altra: “Convertitevi, e credete al Vangelo”. La prima si ispira a Gn 3,19; la seconda a Mc 1,15. Sono formule che si completano a vicenda: una ricorda la caduta umana, il cui simbolo sono la polvere e la cenere; l’altra indica l’atteggiamento interiore di conversione a Cristo e al suo Vangelo, proprio della Quaresima. Con il gesto della cenere iniziamo la Quaresima, ma finiremo con quello dell’acqua della Veglia pasquale. Cenere all’inizio; acqua battesimale alla fine. Ambedue i gesti esprimono un’unità dinamica. La cenere sporca; l’acqua pulisce. La cenere parla di distruzione e morte; l’acqua battesimale della Veglia pasquale è la fonte della Vita. Nella notte di Pasqua accendiamo il fuoco nuovo, simbolo di rinnovamento e di vita risorta: la cenere è, invece, fuoco spento, morto. La Quaresima comincia con la cenere e finisce con il fuoco nuovo e l’acqua battesimale.

 

La Quaresima che iniziamo oggi è un tempo di maturazione individuale e collettiva della fede. Fuori di una prospettiva di fede, essa corre il pericolo di svilirsi in un periodo di tempo in cui lo sforzo morale e le pratiche ascetiche rischiano di diventare fine a sé stesse e pertanto possono condizionare negativamente l’approfondimento di una autentica esperienza di vita cristiana. La Chiesa non insiste più, come ha fatto in tempi passati, nelle pratiche penitenziali in sé come gesti puntuali da compiere. Mutati i tempi, possono e debbono cambiare anche i modi concreti di esprimere l’ascesi; non può scomparire però il sincero slancio di conversione verso Dio. L’orazione colletta della messa parla della Quaresima come di “un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male”. La partecipazione all’eucaristia ci è di sostegno in questo cammino (cf. orazione dopo la comunione)

 

  

venerdì 28 febbraio 2025

DOMENICA VIII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 2 Marzo 2025



 

Sir 27,5-8; Sal 91 (92); 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45

Le letture bibliche odierne sono un pressante invito a rientrare in se stessi per arricchire il cuore e trasformare la propria vita in un “albero che produca frutti buoni”. Il breve brano del libro del Siracide, proposto come prima lettura (Sir 27,4-7) mette in risalto l’importanza e la funzione della parola: essa prova quanto valga una persona e rivela i sentimenti più intimi del suo cuore. Soltanto chi ha un cuore ricco di Dio potrà dire parole di vero amore che infondano gioia e speranza.

 

Nel brano evangelico (Lc 6,39-45) Gesù con un linguaggio semplice e concreto, a portata di coloro che lo ascoltano, allarga il discorso e parla della vera ricchezza dell’uomo che, radicata nel suo cuore, e si manifesta nelle sue opere: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene”. Parole, intenzioni, programmi, non bastano. Si richiedono i frutti, che a loro volta rivelano la natura buona o cattiva dell’albero. Per l’uomo quello che conta è il cuore, il centro dei suoi pensieri e delle sue scelte, dove la libertà esprime se stessa: il cuore “è il luogo della decisione […] È il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2563). Quando le parole e le opere non sono in sintonia, allora il nostro cuore è diviso. È l’ipocrisia di cui parla Gesù. L’epiteto “ipocrita” nella lingua classica greca designa l’attore che recita una parte mettendosi la maschera. Chi si comporta con la presunzione di condannare gli altri si rivela un ipocrita, che per dissimulare le proprie miserie si mostra zelante della perfezione altrui. Dio solo è il giudice perché soltanto lui conosce veramente le profondità del cuore umano. All’ipocrisia, alla doppiezza si oppone la sincerità del cuore.

 

In una società, come la nostra, fondata sulla comunicazione orale, le parole non mancano mai. Possiamo ben dire però che oggi troppe parole si vendono a buon mercato. È un chiasso assordante! Si ha poi la sensazione che le parole non hanno valore per quel che esprimono ma per come si dicono. Sembra addirittura che abbia ragione chi grida di più. La parola è svalutata perché non è in armonia col cuore e con la vita. La parola ritroverà tutto il suo valore a condizione che diventi espressiva di fatti, di autentici valori di vita, e ciò è possibile solo se le nostre parole vengono ricollegate alla Parola di verità che è Cristo. Si tratta di accogliere questa Parola nel cuore e attuarla nella vita. È un impegno quotidiano del discepolo di Gesù, una fatica che, come dice san Paolo nella seconda lettura (1Cor 15,54-58) non è vana, perché per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo Dio ci dà la vittoria.

  

domenica 23 febbraio 2025

L’UNICO ED ETERNO SACRIFICIO DI CRISTO


 


Cristo, essendo solidale con l’umanità in senso reale e non metaforico, diviene il perfetto mediatore: egli è come un ponte che ha una base nei cieli, ove Cristo è assiso come Figlio di Dio, e un altro fondamento sulla terra, ove Cristo è fratello degli uomini e delle donne, sofferente come loro e votato come loro alla morte. Proprio questa unità di divino e di umano, fa sì che il suo sacrificio sia incastonato nella storia ma sia anche un atto eterno. Il nostro oratore usa a più riprese (Eb 7,27; 9,12.26.28; 10,10) l’espressione greca ephápax, “una volta per sempre”, per indicare l’intreccio di tempo e di eterno che si consuma sulla croce del Golgota. Il sacrificio di Cristo accade un volta sola, in una data e in un luogo preciso, ma non si esaurisce là.

All’interno di quell’evento, infatti, c’è il seme del divino e quindi di un’eternità che pervade tutti i secoli, sostiene tutte le celebrazioni cristiane, si irradia nella distesa del tempo e dello spazio, alimenta la vita di tutti i credenti, salva le generazioni umane. Un unico sacrificio, ma una presenza ininterrotta; un unico sacrificio che si effonde nella molteplicità dei riti; un'unica alleanza che però coinvolge l’intera umanità. “Con un’unica offerta Cristo ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (Eb 10,14).

 

Fonte: Gianfranco Ravasi, Ero un blasfemo, un persecutore e un violento. Biografia di Paolo (Scienza e Idee 370), Raffaello Cortina Editore, Milano 2024, p. 129.

venerdì 21 febbraio 2025

DOMENICA VII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 23 Febbraio 2025

 

 

 

1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 102 (103); 1Cor15,45-49; Lc 6,27-38

 

Le letture bibliche di questa domenica al tempo stesso che ci invitano a celebrare la misericordia di Dio, ci propongono di imitarla. Infatti, il vertice dell’insegnamento di Gesù nel vangelo d’oggi è costituito dall’invito a diventare “misericordiosi” come lo stesso Padre celeste è misericordioso. Attraverso questa imitazione di Dio noi ci trasformiamo in figli suoi.

 

La liturgia eucaristica inizia col canto d’ingresso il quale è una fiduciosa e gioiosa confessione di fede nella misericordia di Dio: “Io nella tua fedeltà ho confidato […] Canterò al Signore che mi ha beneficato” (canto d’ingresso - Sal 12,6). La prima lettura ci propone la grandezza di animo di Davide che, pur avendo occasione di eliminare il suo nemico, il re Saul, si mostra misericordioso con lui e lo risparmia perché, nonostante tutto, è “il consacrato del Signore”. Con questo gesto Davide, eminente figura messianica, annuncia il superamento della vendetta e apre la strada al perdono. Gesù nel brano evangelico odierno proclama il suo nuovo comandamento sull’amore che si estende anche ai nemici, che non solo bisogna amare, ma anche fargli del bene, benedirli e per i quali si deve pregare. L’insegnamento di Gesù è fondato su due principi: il primo, preso dalla saggezza degli antichi, dice “come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”; il secondo è squisitamente teologico e dice “siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”. Il modello proposto è infinito, è l’amore stesso di Dio. In particolare, il perdono dei nemici è un gesto di bontà, di grandezza e di sapienza, perché è imitazione del modo di agire di Dio, che “è benevolo verso gli ingrati e i malvagi”. Alla fine del brano evangelico viene enunciato il criterio che regola il rapporto dell’agire dell’uomo e quello di Dio: “con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”. Si fa esperienza dell’amore salvifico di Dio nella misura in cui si è generosi e misericordiosi con gli altri, anche se nemici.

 

Lungo l’anno liturgico ritorna più volte il tema dell’amore come centro della vita cristiana. C’è forse il rischio di assuefarsi al solito e vago discorso che ci richiama ad amarci gli uni gli altri. L’appello di Gesù è però estremamente concreto, realistico, al tempo stesso che esigente e radicale. L’amore cristiano deve essere vissuto in modo profondo e totalizzante, come comportamento interiore ed esteriore che abbraccia tutti, che non esclude nessuno. Se è rivoluzionario l’annuncio delle “beatitudini”, proclamate domenica scorsa, lo è forse anche di più l’annuncio di un amore che insegna ad amare l’altro solo perché è l’altro. Questo ideale sublime lo ha incarnato perfettamente Cristo, l’ultimo Adamo, la cui immagine sarà compiuta in noi con la nostra partecipazione piena alla risurrezione del Signore (cf. seconda lettura). Occorre passare dalla mensa della Parola alla mensa del corpo di Cristo: “nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri […] L’amore può essere ‘comandato’ perché prima è donato” (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 14).