Domenica scorsa abbiamo visto
Gesù uscire vittorioso dalle insidie del tentatore perché si è fidato di suo
Padre, perché non ha avuto paura di sottomettere la propria libertà, i propri
progetti alla volontà e al progetto che Dio ha su di lui. Tutto questo
significa, implicitamente, per Gesù iniziare il cammino verso la passione.
L’esperienza della trasfigurazione che ci narra il vangelo è da leggersi in
questo contesto. La meta del cammino intrapreso da Gesù è la risurrezione, di
cui la trasfigurazione è anticipo, ma la strada passa attraverso l’esperienza
dolorosa della passione e della morte. Questa è la verità che Gesù intende far
capire ai tre discepoli che l’hanno accompagnato. Perciò, dopo averli resi
testimoni della gloria della trasfigurazione, Egli annuncia la sua morte e
risurrezione.
Gesù offre ai tre discepoli
prediletti, Pietro, Giovanni e Giacomo, una visione anticipata della sua gloria
di risorto, che culmina nella testimonianza del Padre che rivela l’identità
profonda di Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. È da
sottolineare l’invito all’ascolto, ripreso dalla orazione colletta del giorno.
Come ricorda il prefazio, poco prima dell’evento della trasfigurazione, Gesù fa
il primo annuncio della sua passione e morte e, in seguito, indica le
condizioni per seguirlo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé
stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). In questo
contesto, l’invito ad ascoltare Gesù acquista un senso preciso e particolare:
ascoltate Gesù perché è mio Figlio; ascoltatelo nonostante le parole che dice
siano paradossali.
Fidatevi anche se vi propone
un cammino di sofferenza; seguitelo anche se dovete passare per sentieri
stretti e disagevoli. La trasfigurazione è la grande rivelazione di Gesù, la
scoperta piena della sua realtà a cui si è invitati attraverso l’ingresso nell’oscurità
della fede che ci conduce attraverso la via della croce, sorretti dalla
speranza, all’esperienza della risurrezione.
La seconda lettura è
un’esortazione alla speranza, non in una terra o in una discendenza, come per
Abramo, ma in Dio stesso che si pone come terra promessa, come futuro capace di
appagare pienamente le nostre attese: “La nostra cittadinanza è nei cieli e di
là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il
nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”. La contemplazione
anticipata della gloria di Gesù non ci risparmia lo scandalo della croce, ma lo
sostiene nella speranza.
La pienezza perpetua e stabile della nostra trasfigurazione in Cristo avverrà nella vita eterna, ma si prepara e anticipa qui e ora. La celebrazione eucaristica è prefigurazione e anticipazione del banchetto eterno nel quale contempleremo il volto glorioso del Cristo, quel volto trasfigurato di cui i discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo ebbero sul monte Tabor un saggio transitorio