Questo
antichissimo canto della gloria di Dio, sorto inizialmente al di fuori del
repertorio proprio della Messa e poi introdotto in essa, ebbe in origine un
chiaro impianto cristologico, dovuto a un verosimile intento antiereticale, per
assumere poi un andamento glorificativo del Padre, nella prima parte, con una
supplica al Figlio, nella seconda; ci è giunto in diverse versioni in lingua
greca, siriaca e latina, che hanno fatto la loro comparsa nel corso dei secoli
con alcune varianti testuali. L’attuale testo latino corrisponde a una
recensione del secolo IX, elaborata in ambito monastico. Questa “dossologia
maggiore” veniva in genere eseguita dall’assemblea stessa (quando i virtuosismi
melodici non inducevano a farne un pezzo di bravura artistica riservato ai
cantori in forma alternata), ma aveva la peculiarità di venir intonato dal
celebrante principale che si rivolgeva ai fedeli per invitarli alla lode.
Alcuni
autori citano la notizia del Liber
Pontificalis, secondo il quale il papa san Telesforo (125-136), avrebbe
introdotto questo canto (chiamato qui hymnus
angelicus) nella Messa del Natale. È una notizia senza fondamento, visto
che, tra l’altro, tale festa appare a Roma solo nel IV secolo. La testimonianza
più antica e sicura per il rito romano è l’indicazione del Sermone 6 per il Natale di san Leone Magno (440-461): “… Ripetiamo
(dicamus) pertanto anche noi con le
schiere della milizia celeste: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in
terra agli uomini di buona volontà’”. Il vangelo di Luca (2,14) avrebbe
suggerito, in quel giorno, di far cantare questo antico inno all’inizio della
celebrazione.
Al “propter magnam gloriam tuam”, il
codice dell’Antifonario monastico irlandese di Bangor (databile al 691-698 e
attestante la versione latina più antica a noi nota) contiene la variante: “propter magnam misericordiam tuam” (“per
la tua grande misericordia”).
Dopo
le parole “Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo”, l’attuale versione ha
lasciato cadere il riferimento allo Spirito che determinava un impianto più
esplicitamente trinitario nella composizione; a questo punto nel codice di
Bangor si legge: “Sancte Spiritus Dei”
(“Spirito Santo di Dio”).
“Il Gloria è un inno
antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo,
glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. Il testo di questo inno non può
essere sostituito con un altro. Viene iniziato dal sacerdote o, secondo
l’opportunità, dal cantore o dalla schola, ma viene cantato o da tutti
simultaneamente o dal popolo alternativamente con la schola, oppure
dalla stessa schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme
o da due cori che si alternano. Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori
del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in
celebrazioni di particolare solennità” (Ordinamento
generale del Messale Romano 53).
Fonte: Il post si ispira
soprattutto (ma non solo) al testo pubblicato nel volume Un solo corpo. Mistagogia della liturgia eucaristica attraverso i testi
dei padri latini, Qiqajon, Comunità di Bose 2016, pp. 315-321.