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domenica 4 giugno 2017

IL "GLORIA"

 


Questo antichissimo canto della gloria di Dio, sorto inizialmente al di fuori del repertorio proprio della Messa e poi introdotto in essa, ebbe in origine un chiaro impianto cristologico, dovuto a un verosimile intento antiereticale, per assumere poi un andamento glorificativo del Padre, nella prima parte, con una supplica al Figlio, nella seconda; ci è giunto in diverse versioni in lingua greca, siriaca e latina, che hanno fatto la loro comparsa nel corso dei secoli con alcune varianti testuali. L’attuale testo latino corrisponde a una recensione del secolo IX, elaborata in ambito monastico. Questa “dossologia maggiore” veniva in genere eseguita dall’assemblea stessa (quando i virtuosismi melodici non inducevano a farne un pezzo di bravura artistica riservato ai cantori in forma alternata), ma aveva la peculiarità di venir intonato dal celebrante principale che si rivolgeva ai fedeli per invitarli alla lode.

 
Alcuni autori citano la notizia del Liber Pontificalis, secondo il quale il papa san Telesforo (125-136), avrebbe introdotto questo canto (chiamato qui hymnus angelicus) nella Messa del Natale. È una notizia senza fondamento, visto che, tra l’altro, tale festa appare a Roma solo nel IV secolo. La testimonianza più antica e sicura per il rito romano è l’indicazione del Sermone 6 per il Natale di san Leone Magno (440-461): “… Ripetiamo (dicamus) pertanto anche noi con le schiere della milizia celeste: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà’”. Il vangelo di Luca (2,14) avrebbe suggerito, in quel giorno, di far cantare questo antico inno all’inizio della celebrazione.

 
Al “propter magnam gloriam tuam”, il codice dell’Antifonario monastico irlandese di Bangor (databile al 691-698 e attestante la versione latina più antica a noi nota) contiene la variante: “propter magnam misericordiam tuam” (“per la tua grande misericordia”).

 
Dopo le parole “Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo”, l’attuale versione ha lasciato cadere il riferimento allo Spirito che determinava un impianto più esplicitamente trinitario nella composizione; a questo punto nel codice di Bangor si legge: “Sancte Spiritus Dei” (“Spirito Santo di Dio”).
 

“Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro. Viene iniziato dal sacerdote o, secondo l’opportunità, dal cantore o dalla schola, ma viene cantato o da tutti simultaneamente o dal popolo alternativamente con la schola, oppure dalla stessa schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori che si alternano. Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in celebrazioni di particolare solennità” (Ordinamento generale del Messale Romano 53).

 
 

Fonte: Il post si ispira soprattutto (ma non solo) al testo pubblicato nel volume Un solo corpo. Mistagogia della liturgia eucaristica attraverso i testi dei padri latini, Qiqajon, Comunità di Bose 2016, pp. 315-321.