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domenica 18 giugno 2017

IL SILENZIO NELLA LITURGIA


 
 



 
Nel Messale tridentino, le rubriche non prescrivevano nessun silenzio e nessuna pausa durante la celebrazione della Messa. Gli unici momenti nei quali il sacerdote era invitato a fare una pausa si trovavano nel Canone, al momento della commemorazione dei vivi e dei defunti, al fine di pregare per loro. La parole “silenzio” appariva nell’Ordo Missae solo nell’espressione sub silentio riferita all’Amen del Padrenostro del Venerdì Santo, che il sacerdote doveva dire sub silentio.
 

I fedeli avevano l’impressione di vivere dei lunghi spazi di silenzio durante la Messa, soprattutto in quella letta. Ciò viene dal fatto che numerose preghiere il celebrante le diceva secrete, cioè sottovoce. Questa consuetudine si è poi accentuata con la Controriforma. Bisognava distinguere bene fra sacerdote e fedeli perché i riformatori avevano l’incresciosa tendenza a negare il carattere proprio dello stato sacerdotale. Si cercò dunque, con decisione, di evitare che le preghiere latine della Messa venissero messe alla portata dei fedeli; e affinché la Messa restasse un rito da rispettare, le si stese sopra un velo di mistero.
 

Una timida apparizione del silenzio liturgico la si trova nel 1951 con la riforma della Veglia pasquale promulgata da Pio XII. Nelle orazioni che seguono le letture della Veglia pasquale, fra i famosi Flectamus genua e Levate, tutti sono invitati a pregare in silenzio per un certo tempo. Si tratta di una restaurazione perché il tempo di preghiera in silenzio esisteva già nelle liturgie antiche. Nel corso dei secoli questo breve intervallo era stato abbandonato e si assisteva ad un insensato doppio invito contradditorio: non si finiva di dire Flectamus genua che già si diceva Levate. Il Messale del 1962 prescriveva che la processione d’entrata dell’ufficio della Passione del Signore venisse fatta in silenzio. I fedeli venivano invitati a mettersi in ginocchio durante l’adorazione della croce e a “adorare per qualche minuto in silenzio”… Vediamo dunque che le rubriche erano più precise e che comparivano per prima volta delle indicazioni a rispettare dei tempi di silenzio.
 

Nel Messale di Paolo VI, ormai il silenzio fa parte della celebrazione, in fedeltà a quanto prescrive il Vaticano II: “Si osservi anche, a tempo debito, un sacro silenzio” (SC 30). È la prima volta che il silenzio trova realmente posto in un documento ufficiale della liturgia. La Costituzione liturgica lo presenta come una delle modalità di partecipazione attiva dei fedeli. Nell’attuale terza edizione tipica del Missale Romanum, nell’Institutio generalis la parola “silenzio”, che nella precedente versione ricorreva dodici volte, ora vi ricorre ventitré volte. La natura del silenzio varia a seconda del momento della celebrazione a cui si fa riferimento. Ci sono silenzi di “raccoglimento”, silenzi di “meditazione”, silenzi di “lode e di preghiera”.
 

Ci sono anche silenzi intempestivi che spezzano il ritmo della celebrazione. Per esempio, fare un tempo di silenzio prolungato dopo la consacrazione non è opportuno perché la preghiera eucaristica è un tutt’uno e costituisce essa stessa un atto di adorazione. Ci sono poi cattivi silenzi, per esempio quando l’assemblea non risponde o non canta, e allora la celebrazione diventa un lungo monologo impersonale, freddo e noioso.
 

Come mai il silenzio è stato riscoperto proprio col movimento liturgico e col Vaticano II? La Costituzione liturgica ha chiesto che siano aperti “più largamente i tesori della Bibbia, in modo che […] si legga al popolo la maggior parte della sacra Scrittura” (n. 51). Pian piano si è venuta a formare una specie di legge: più parola di Dio implica più silenzio della comunità cristiana riunita.
 

Il silenzio nella liturgia  dice qualcosa della teologia della Chiesa: Osservato da tutti, sacerdote e fedeli, il silenzio è un’azione liturgica alla quale ognuno, in ragione del proprio sacerdozio battesimale, partecipa attivamente e personalmente; il silenzio manifesta che la Chiesa è il popolo di Dio che si raduna per celebrare, pregare, cantare, tacere insieme; il silenzio favorisce un incontro personale con il Signore; il silenzio di raccoglimento testimonia una Chiesa che si sa peccatrice e invoca la grazia e il perdono di Dio; il silenzio di meditazione indica che la celebrazione e anche luogo dove Dio parla al suo popolo attraverso le Scritture, e questa parola ha bisogno di essere meditata; il silenzio di preghiera e di lode, in particolare quello dopo la comunione, attesta una Chiesa che continua ad essere nutrita dalla presenza reale del Salvatore che la costituisce  e la fa vivere.

 
 

Fonte: Questo post è frutto, e libera sintesi, di un libro che vale la pena di leggere: Pascal Desthieux, Vivere il silenzio nella liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017. 219 pp.