La lettura del volumetto Elogio
della Parola di Lamberto Maffei (Il Mulino 2018), mi ha suscitato questo
breve elogio della “Liturgia in lingua volgare”.
Nel mondo moderno la globalizzazione e l’espandersi degli scambi
commerciali sembra spingere ad adottare una lingua unica, che renda facile e
più spedita la comunicazione tra popoli diversi. Questo processo, positivo
nelle intenzioni e praticamente necessario, non è privo di grosse insidie, tra
cui il pericolo della scomparsa o dell’impoverimento delle varie lingue e delle
culture che le hanno accompagnate e che stanno alla base delle civiltà fiorite
nelle diverse parti del mondo.
Rischiamo di essere uniti da una lingua di mercato, l’inglese globish, una lingua povera. Basta
ricordare che l’Oxford Dictionary conta 615.000 termini, mentre l’inglese
globalizzato si aggira sui 1.500.
Le lingue dei popoli non sono solo un mezzo di comunicazione, ma portano
con sé una ricchezza culturale di tradizioni, di storia che implica un
comportamento sociale, un insieme di valori nell’interpretazione del mondo, e
sostanzialmente una maniera razionale ma anche emotiva di comportamento che
caratterizza e distingue ogni singolo popolo. È dalla diversità che nasce la dialettica
e da essa la creatività e il progresso.
Il latino ha dominato la cultura europea per ben 12 secoli e ha creato
indubbi legami di pensiero e di comportamento tra i diversi popoli. La Chiesa
occidentale ha un enorme patrimonio in lingua latina, in particolare gli
scritti dei Padri e gli antichi libri liturgici nonché i documenti del
magistero dei Concili e dei Papi. Ma anche qui possiamo dire che il latino,
oltre a non essere più una lingua di comunicazione tra i popoli, è diventato
nei documenti della Chiesa che ancora lo adoperano un latino povero, un
linguaggio non più all’altezza dei tempi passati. Il latino “curiale” è non di
rado un latino simile a quello maccheronico che ha lasciato tracce, non proprio
gloriose, anche in alcuni nuovi testi latini del Missale Romanum.
Ecco quindi le lunghe premesse per giustificare l’elogio delle lingue
volgari nella liturgia. I testi della tradizione latina possono arricchirsi
attraverso la traduzione alle lingue volgari che in maniera progressiva potrebbero
diventare lingue liturgiche, “splendenti non diversamente dal latino liturgico
per l’eleganza dello stile e la gravità dei concetti al fine di alimentare la
fede” (Papa Francesco, Motu proprio Magnum
principium).