A partire dagli anni ’90, la
ricerca di una liturgia più spirituale e meglio rispettosa del primato di Dio
ha assunto la forma di un vero e proprio movimento controcorrente di “riforma
della riforma”, che non ha temuto di individuare nel recupero della tradizione
rituale tridentina una via praticabile per riportare la liturgia rinnovata del
Concilio alla sua sorgente divina, ritrovando alcuni valori fondamentali come
quelli dell’orientazione, dell’adorazione, del senso del sacro. I pericoli di
questa posizione sono gli opposti a quelli della fase precedente: se prima il
pericolo era quello di non onorare la dimensione divina della liturgia (una
liturgia troppo umana, che non alza il sipario sul Mistero di Dio), ora il
pericolo è quello di non rispettarne l’umanità profonda. Là dove, per
rivolgersi a Dio, la liturgia volge le spalle al mondo, il rischio è quello di
un Mistero divenuto estraneo alla vita; di una liturgia a tal punto concentrata
sul primato dell’azione di Dio da dimenticare che il Mistero di Dio è
rivelazione di una azione divina che si compie “per l’uomo”; un mistero
pasquale di amore, perdono, vita donata per gli uomini e le donne che vivono in
un dato tempo e in una determinata cultura. Si comprende perciò la delicatezza
del linguaggio liturgico, chiamato a rivolgere lo sguardo a Dio senza volgere
le spalle al mondo.
Ed eccoci, finalmente, a papa
Francesco, in una ideale quarta tappa di una riforma liturgica tutt’ora
impegnata in un cammino di affinamento e approfondimento. Pur non entrando di
petto nella questione liturgica, egli suggerisce in Evangelii gaudium (EG) la strada di una liturgia non “mondana”,
vale a dire non ripiegata su di sé, in una vera cura ostentata dell’apparenza
(EG 95); di una liturgia “materna”, attenta alla cultura del popolo (EG
139-140); di una liturgia “fraterna”, disponibile all’abbraccio di una
fraternità mistica (EG 92).
È evidente a tutti l’ingenuità
di qualsiasi opposizione tra la liturgia i papa Francesco e la liturgia di
Benedetto XVI, quasi si trattasse di due modelli differenti di liturgia: da una
parte una liturgia dell’adattamento alle culture dei popoli, dall’altra una
liturgia dell’orientamento all’unico protagonista; da una parte una liturgia
della partecipazione attiva del popolo di Dio, dall’altra una liturgia
dell’adorazione interiore dell’anima individuale; da una parte una liturgia
umana, evangelica, vicina alla vita; dall’altra una liturgia divina, “sacra”,
non mondana; sul fronte di EG, una liturgia delle assemblee locali, disponibile
alle traduzioni necessarie; sul fronte di Liturgiam
Authenticam, una liturgia della Chiesa universale, vigilante su ogni
pericolo di possibile “tradimento” da parte della traduzione.
Tale contrapposizione non
renderebbe giustizia alla natura della liturgia, che è sintesi di “opposizioni
polari”, per riprendere il linguaggio di Romano Guardini. La sfida che attende
la presente stagione della riforma liturgica è quella di comporre tali polarità
nell’unità simbolica dell’azione liturgica.
Fonte: Paolo Tomatis, Celebrare: il linguaggio per comunicare il
mistero, in Una liturgia viva per una
Chiesa viva. I 70 anni del CAL (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” –
Sectio pastoralis 38), CLV Edizioni Liturgiche, Roma 2018, p. 74-75.